La Repubblica, 14 marzo 2013
Dati i numeri elettorali e l’umore nelle Cinque Stelle, non stupisce l’impasse: forte d’una minuscola maggioranza (124 mila voti alla Camera, sui quali escresce il premio affatturato dal Caimano 2006), il leader Pd tenta un’apertura ai nuovi venuti; e l’escandescente condottiero risponde picche; vuole l’intero governo; la sindrome egocratica regna anche fuori d’Arcore. P. B. non demorde e formula un programma stabilendo che la destra berlusconiana non sia contraente possibile, mai: sugli otto punti ivi definiti chiederà la fiducia; e se gliela nega, smentendo quel che predicava, l’homo novus ne risponde agli elettori. L’ovvio sèguito è uno scioglimento delle Camere appena nate ma qui cala un silenzio ambiguo. I visi nel summit Pd lasciano pochi dubbi: nessuno o quasi crede possibile l’accordo; è sottinteso che, cadendo l’offerta, i giochi cambino. Vediamo le alternative, cominciando dal discorso serio: qualora il fattore personale osti, cambiare cavallo, rectius uomo, prendendolo fuori della nomenclatura; e definire il programma in tal modo che l’eventuale rifiuto non sia decorosamente sostenibile «in piazza»; allora l’inevitabile bis elettorale diventa occasione da cogliere, se etica e intelligenza politiche contano ancora qualcosa (non è detto dopo i devastanti vent’anni berlusconiani).
Agli antipodi sta l’accordo col Pdl: lo invocano i berluscones fingendosi patrioti accorati; ma nemmeno i piagnoni delle «larghe intese» osano trescare in pubblico con chi, governando in due delle tre ultime legislature, affossava l’Italia; e nei tredici mesi della maggioranza spuria 2011-12 impediva riforme capitali, dal meccanismo elettorale alle norme contro una corruzione che dissangua il paese; né agirebbe diversamente, patrono organico del malaffare. La rentrée gli garantisce comode vittorie finché viva e magari oltre, quando gli addetti al culto svelino ai fedeli cos’hanno udito dalla venerabile mummia (l’ultimo coup de théatre è il ricovero notturno al San Raffaele col quale guadagna tempo nel dibattimento Ruby; e i farceurs ululano: s’erano mai visti inquisitori così crudeli da infierire sul sofferente nelle congiuntive?). Ormai è partita a carte scoperte: gl’italiani sanno chi sia, mago della frode, così avendo accumulato l’enorme fortuna; in che conto tenga gli animali umani, dall’harem olgiatense al mercato parlamentare; e l’arte gangsteristica nel colpire gli avversari (Boffo, Fassino, Fini, Marrazzo). L’audience meno sveglia poteva bere la favola: imprenditore ingegnoso, selfmade, lontano dal cinismo politicante (i cui favori pagava gonfiandosi); vent’anni dopo solo qualche circonvenuto può ancora crederlo. Esiste un motivo dominante nel voto dei sei milioni che gli restano: l’Impunito è figura carismatica; l’ammirano; ha del capolavoro lo schernevole scacco in cui tiene Dike schivando d’un filo le condanne (ogni tanto lamenta che le strategie d’impunità costino un occhio). Gli misurano le braccia, lunghe quanto nessuno sinora le sognava: dispone d’una macchina da guerra, e l’avere perso solo metà dei voti 2008 è impresa d’agonista, dato lo stato disastroso in cui versava 16 mesi fa. Lo vedono talmente forte da sostenere che il bianco sia nero, e affascinati, saltano sul carro sbagliando calcolo: il profitto va agli arruolati nella compagnia; i creduloni pagano. Insomma, corrompe e froda anche gli elettori. Ovvio quindi che fuori del giro mercenario nessuno osi candidarlo a consorte dell’Union sacrée.
Torniamo al voto plenario col quale il Pd salutava P. B. prendendo le misure della bara: i fatti diranno come uscire dall’impasse, supponendo insensibili le Cinque stelle, e tutti le ritengono tali; il presupposto è «mai in compagnia dell’Olonese ». Clausola lodevole, non sappiamo fin dove arrivi. L’insigne Bicamerista M. D’Alema, ad esempio, appare ancora più dialogante d’allora (5 febbraio 1997-9 giugno 1998), gravi essendo i pericoli: secondo lui, l’accordo con la destra sarebbe in re ipsa se non vi fosse un ostacolo; ed è Silvio Berlusconi. Deprecatio d’alto effetto, perentoria, ma la mimica lascia intuire i sottintesi: difficoltà insuperabile?; Dio non voglia. Casi simili esigono sano ottimismo: divus Berlusco appartiene alla storia d’Italia; compia un gesto nobile tirandosi indietro; ed ecco il governo virtuoso, trasversalmente composto da uomini dei due campi (armonia perfetta se convolassero i Letta, zio e nipote). Dovendo riscrivere Tartuffe nello scenario italiano 2013, cosa direbbe Molière? Ovvio: un Pdl absente Berluscone è forse pensabile nella luna, non quaggiù; appena Dominus comandi, vanno in scena spettacoli d’umanità avvilita, perché ha un potere degradante sulle persone e se ne compiace. Con quante smorfie dolenti il garrulo notabile Cl deplora la richiesta d’una visita medica fiscale (venerdì 8 marzo). L’indomani la Corte d’appello nega il rinvio e i tromboni soffiano l’anima: «macabra caccia all’uomo », medici legali nazisti, terrore staliniano; un difensore rinuncia all’arringa. Siano più cauti nell’usare gli aggettivi, arnesi pericolosi: quel «macabro» è cospicua gaffe; evoca figure del teatro nero d’Arcore. Le abbiamo negli occhi. Se anziché mastino dell’Olonese, il Pdl fosse un partito dove contano le idee e dei pensanti le discutono, Fini l’avrebbe svuotato andandosene, e tra i voti raccolti dal redivivo nove su dieci sarebbero in mano a Monti, collettore d’una destra pulita; ma le logiche politiche non c’entrano: costoro vogliono Re Lanterna, inscindibile dalle sue opere (tra le più consuete, parlamentari corrotti, testimoni comprati, menzogna assordante). In greco un Pdl che non dipenda da B. è oxýmoron, formato da due parole incompatibili: che il partito sia Lui, lo esclamava dal cuore Angelino Alfano, occhi sgranati, e consta dal quotidiano servizio liturgico vocale. Quando anche l’istrione simuli malinconico disinteresse, muore suicida un Pd che s’imbranchi col Pdl. Lì Grillo raddoppia i voti pigliando tutto. La via d’uscita sta nelle urne, al più presto, chimerica essendo l’ipotesi d’un governo trasversale che cambi in meglio le regole elettorali. Al pirata viene comodo scegliersi gli automi parlamentari.