Mentre il fondatore del giornale è contento della vittoria di Napolitano e rimprovera Rodotà di non avergli telefonato, Concita De Gregorio e Curzio Maltese scrivono gli articoli fortementi critici che abbiamo scelto.
La Repubblica, 21aprile 2013
Sono le sei e dieci del pomeriggio, e i Cinquestelle sono i soli che restano seduti e non applaudono. Vergognatevi, alzatevi, gli gridano da destra – a destra sono in effetti i più entusiasti. Non si vergognano né si alzano. Pippo Civati, che ha votato scheda bianca e che per settimane ha fatto la spola fra i dirigenti Pd e i cinquestelle, dice: «Mi hanno mandato da loro a trattare e poi mi hanno lasciato lì come il soldato Ryan. Nessuno voleva avere notizie. A nessuno interessava niente, dei cinquestelle, in realtà. Volevano solo l’eterno ritorno dell’uguale». Alessia Rotta, neoeletta pd di Verona, dice che «i vecchi del pd hanno fatto come le murene dietro gli scogli, hanno affos-
sato Prodi per i loro calcoli, non hanno voluto Rodotà per la loro sopravvivenza e poi hanno provato a dare la colpa a noi, dicendo che sono i giovani incontrollabili che danno retta al web, quelli eletti dalle primarie, ad aver tradito. Ma non è così, non è vero. Io ho votato Prodi, e poi Napolitano: la resa dei conti è tutta roba loro». Altre schede bianche, nel voto a Napolitano, sono arrivate da Tocci, da Antonio Decaro deputato barese che ha proprio scritto “Bianca”, il nome di sua figlia. Corradino Mineo aveva votato contro già nella riunione mattutina del gruppo, unico no.
Civati era un ragazzino, dice che se lo ricorda di quando nel ’92 Rodotà scrisse un testo durissimo contro la corruzione a Milano, contro i miglioristi del Pci lombardo. Si ricorda che poi, subito dopo, gliela fecero pagare eleggendo alla presidenza della Camera un migliorista del Pci, appunto, e non lui: l’eletto era Giorgio Napolitano. Hanno la memoria lunga, gli eredi del Pci. Racconta Laura Puppato che venerdì mattina è andata nella stanza di Bersani, al piano terra di Montecitorio, a dirgli: per quel che sento dai cinquestelle si può provare a chiedere a Rodotà di ritirarsi di fronte alla candidatura Prodi, lo vuoi chiamare tu, segretario? Bersani ha risposto no, io non lochiamo, parlaci tu. E così nessuno degli anziani compagni di partito ha chiamato Rodotà, hanno mandato avanti la neoeletta Puppato. «Doveva essere lui a chiederci i voti», dice il “giovane turco” Matteo Orfini. Chiami tu, chiamo io, no chiama lui. Una candidatura naufragata così, le vere ragioni occultate dalle presunte buone maniere.
Una rielezione, questa di Napolitano, che nasce – dice Walter Verini, veltroniano – «dalla Capaci della politica come quella di Scalfaro nel ’92 fu determinata dalla morte di Falcone. Solo che oggi la voragine è qui dentro». Tutta la manfrina sui nomi “divisivi” non era altro che un modo per occultare – male, tra l’altro – l’incapacità dei tre blocchi usciti dalle elezioni di allearsi alla luce del sole: Pd-Pdl era un inciucio, e così è morto Marini, Pd-Cinquestelle era una resa, e così è morto Rodotà. Prodi è stato ucciso invece per mano del Pd, che ha fatto al tempo stesso harakiri. Si torna ora alle case madri, come da anni invoca D’Alema: un partito nettamente di sinistra che vedrà protagonisti Vendola e Barca, quest’ultimo ieri tardivamente intervenuto a sostegno di Rodotà. E poi il sindaco Emiliano, e i tanti altri che dal Pd in tutta Italia hanno chiesto invano un cambio di passo. «Chiederemo di entrare nell’internazionale socialista», ha detto Vendola. Chiarissimo: saremo la sinistra in Europa. Dall’altra un partito di centro con una lieve propensione a sinistra, con Renzi alla guida. La scissione è ormai alle porte. Chi ieri ha votato “Francesco Guccini”, nell’urna, dice che «non si può andare avanti guardando all’indietro». Dice anche che quando cadono gli equilibristi, al circo, entrano in scena i clown. Ma non c'è niente da ridere, perchè «siamo come funamboli che camminano sulla fune, in bilico sul baratro, e l’idea di restare immobili fermando il film di Napolitano non può funzionare a lungo». Perché, come tutti sanno, quando si è sulla fune a restare immobili si cade. La paura paralizza, poi uccide.
Una new company del cambiamento
Eppure la sinistra, nella sua massima espressione politica, il Partito Democratico, non c’è più. Esiste un vasto popolo di sinistra, più ampio di quanto non dica il risultato elettorale, che condivide valori e progetti comuni e ha maturato negli anni del berlusconismo un idem sentire solido e coerente, manifestato in mille occasioni. Esistono élite di sinistra in ogni settore del Paese, nell’economia e nella cultura, nel mondo delle professioni e nell’informazione e perfino nella politica, che godono di stima e considerazione in patria e all’estero. L’elenco dei candidati presidenti votato dagli iscritti militanti 5 Stelle ne comprendeva un bel campionario. La questione è: perché questo pezzo di società vitale e intelligente esprime un ceto politico dirigente così lontano da se stesso? Cosa c’entra la sinistra che s’incontra tutti i giorni nel paese reale con questi personaggi che si odiano da vent’anni, capaci di qualsiasi tradimento o compromesso pur di far valere le proprie immotivate ambizioni e soprattutto far fallire quelle del compagno di partito?
Il problema di rappresentanza è serio e antico. Da sempre si dice che Berlusconi identifica quasi antropologicamente gli elettori del centrodestra ed è vero. Ora vale anche per Grillo e i suoi elettori, contenti di chiamarsi grillini. In tanti anni invece non s’è mai trovato un leader del centrosinistra che ne identifichi gli elettori. Non per caso ne abbiamo avuti una decina. Le primarie sembravano la soluzione, ma non lo sono state. Al principio perché non erano vere e l’ultima volta perché si sono rivelate una recita. Almeno da parte del vincitore, Pierluigi Bersani. Il tracollo della linea dell’ex segretario di questi giorni è soltanto il precipitato finale di una lunga serie di ambiguità e finzioni cominciata subito dopo la vittoria su Renzi. Se Bersani avesse tenuto la barra dritta sulle idee delle primarie, probabilmente avrebbe vinto anche le elezioni. Si è invece lanciato in una
serie di giravolte e omissioni, non ha detto nulla su programmi e alleanze, nel tentativo di lasciarsi tutte le porte aperte dopo il voto. Dopo che il voto degli italiani gliele ha chiuse in faccia, Bersani ha finto per cinquanta giorni di volere un accordo con i grillini.