Le trasformazioni della distribuzione della popolazione incidono sull'assetto urbanistico sia a livello di bacini locali, di quartiere, metropolitani, regionali, che a livello globale. Un caso europeo paradigmatico, e una prospettiva di osservazione che troppo spesso sfugge, anche alle star del giornalismo nostrano.
The New York Times, 13 agosto 2013, postilla (f.b.)
Titolo originale: Germany fights population drop - Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
SONNEBERG — A una prima occhiata, questa cittadina di medie dimensioni nella Germania centrale, schiere di ampie case costruite quando qui fioriva l'industria dei giocattoli, appare linda e prosperosa. Ma Heiko Voigt, vicesindaco, ci indica decine di abitazioni vuote, che dubita troveranno mai un acquirente. Il fatto è che la popolazione tedesca diminuisce, e centri come questo fanno di tutto per nascondere i vuoti. Voigt ha già fatto da supervisore alla demolizione di sessanta case e dodici condomini, infilando strategicamente spazi verdi in quelli che erano un tempo insediamenti assai più densi. “Cerchiamo di mantenere almeno un bell'aspetto” spiega.
Non c'è nulla di meglio della Germania profonda, per osservare gli effetti di un calo di fertilità in tutta Europa che dura da decenni, una questione inquietante per l'economia e anche la psicologia del Continente. In alcune aree abbondano giardini abbandonati, finestre sbarrate, problemi con le fognature che non funzionano adeguatamente per il fatto di essere troppo vuote. Una forza lavoro sempre più coi capelli bianchi, e le catene di montaggio che vengono riorganizzate per ridurre al minimo piegamenti e spostamenti di pesi. Dall'ultimo censimento, la Germania ha scoperto di aver perduto un milione e mezzo di abitanti. Entro il 2060, secondo gli esperti, il paese potrebbe perderne ancora un 19%, fino a scendere a 66 milioni.
E a parere dei demografi c'è un futuro simile in vista per altri paesi europei, una questione sempre più urgente dato che con la crisi il problema non fa altro che aggravarsi. Al tempo stesso col peso dei problemi bancari e di bilancio, sono davvero in pochi a riuscire a far qualcosa in proposito. Ma la Germania è una specie di oasi di tranquillità, e qui si prova a investire parecchio per cercare una via d'uscita dalle fosche prospettive, e indicare la strada anche al resto del Continente. Però sinora, nonostante i quasi 200 miliardi di euro in sostegni alle famiglie, si è solo capito quanto sia difficile provarci. Ciò anche perché la soluzione sta nel ridefinire valori, atteggiamenti, abitudini, in un paese con una storia difficile riguardo all'accoglienza degli immigrati, e dove le donne con figli che lavorano vengono tuttora considerate in qualche modo “corvi”, che trascurano la famiglia.
Ma se la Germania vuole non ritrovarsi senza una adeguata forza lavoro, secondo gli esperti, deve trovare un modo per far continuare a lavorare anche gli anziani, dopo decenni di tentativi per farli andare presto in pensione, e attirare immigrati facendoli sentire a casa propria e costruirsi una nuova vita. Deve anche far entrare più donne nel mercato del lavoro, sostenendole al tempo stesso perché facciano più figli: cosa difficile in un paese che tradizionalmente mette sull'altare la madre casalinga. Pochi dubbi che per l'Europa si tratti di una crisi urgente. Molti recenti studi mostrano come storicamente tassi elevati di disoccupazione — oltre il 50% dei giovani — in paesi quali Grecia, Italia o Spagna, facciano abbassare ulteriormente il numero delle nascite. Secondo l'Unione Europea, il totale dei nati vivi in 31 paesi è calato del 3,5%, da 5,6 a 5,4 milioni, fra il 2008 e il 2011. Solo nel 1960 nei 27 paesi dell'unione erano nati 7,5 milioni di bambini.
Anche prima dell'emergere di queste tendenze c'erano previsioni di calo demografico per molti paesi entro il 2060; in alcuni casi, vedi Lettonia o Bulgaria, anche più della Germania. Con una quota di anziani sempre più elevata. A ciascun pensionato nell'Unione corrispondono quattro persone in attività. Nel 2060, in media diventeranno due, secondo i calcoli ufficiali sull'invecchiamento pubblicati nel 2012. Alcuni esperti temono che la Germania abbia atteso anche troppo a lungo per affrontare il problema. Altri giudicano questa posizione troppo pessimista. Comunque sia, la Germania ci sta pensando molto seriamente.
Le famiglie numerose hanno smesso di essere la norma già dagli anni '70 in quella che era allora la Germania Occidentale, paese ricco e con un tasso di fertilità che diminuiva a 1,4 figli per donna, restandoci poi in seguito, ben al di sotto del 2,1 che garantisce una popolazione. Storia simile in altri paesi anche se non in tutti. Esiste in Europa una fascia della fertilità estesa dalla Francia alla Gran Bretagna ai pesi della Scandinavia, sostenuta sia dagli immigrati che dai servizi sociali per le donne che lavorano. Accrescere il tasso di fertilità per la Germania si è rivelato assai poco facile. Secondo i critici il paese ha sbagliato sprecando soldi messi a disposizione delle famiglie, secondo criteri di sostegno a figli, casalinghe, esenzioni fiscali per coppie sposate. Secondo i demografi sarebbe assai meglio investire a sostegno delle donne che provano a bilanciare maternità e lavoro, ampliando i servizi scolastici e per l'infanzia. Dati recenti dimostrerebbero che così si potrebbe accrescere il tasso di fertilità. “Osservando le cifre si nota come più eguaglianza tra i generi significhi più nascite” commenta Reiner Klingholz dell'Istituto Berlinese per la Popolazione e lo Sviluppo.
Ma è certo difficile ribaltare anni di sussidi alla famiglia tradizionale. “Toccare queste cose significa suicidarsi politicamente” spiega Michaela Kreyenfeld dell'Istituto Max Planck per la Ricerca Demografica di Rostock. E tutte le madri che lavorano affrontano ostacoli tali da disincentivare più figli. Nonostante la recente legge che garantisce un posto all'asilo per tutti i bambini oltre un anno, contro il minimo di tre anni precedente, secondo gli esperti le strutture sono ancora carenti per accessibilità a tutti. Poi le scuole finiscono le lezioni a mezzogiorno, pochi i programmi di doposcuola. Melanie Vogel, 39 anni, di Bonn, trova difficile, costoso, deprimente cercare di conciliare casa e lavoro, e ha deciso di avere un solo figlio. Tutte le sue amiche lavorano al massimo a tempo parziale, la suocera disapprova, e lo stesso vale per i clienti dell'impresa di cui è contitolare insieme al marito. “Prima che nascesse il figlio, per tutti ero Melanie, donna d'affari” racconta la Vogel. “Poi per quasi tutti sono diventata solo una mamma”.
Molte madri che lavorano si ritrovano emarginate in “mini” occupazioni a bassi salari: diciamo 17 ore la settimana per meno di 500 euro al mese. Sono più di quattro milioni in Germania, circa un quarto della forza lavoro femminile, con lavori così. Un altro modo per intervenire sul declino demografico è convincere gli anziani a posticipare la pensione. Il governo sta agendo gradualmente, da 65 a 67 anni, e le imprese hanno reagito in fretta. La quota della fascia d'età dai 55 ai 64 anni è cresciuta al 61,5% nel 2012, contro il 38,9% del 2002. La Volkswagen ha riorganizzato la catena di montaggio per rendere più rari i piegamenti e sollevare le braccia, cose che affaticavano. Tre anni fa sono stati introdotti sgabelli reclinabili che sostengono il collo anche nelle posizioni più difficili per raggiungere alcuni punti dell'automobile in costruzione, mentre l'installazione delle parti pesanti, ruote e frontali, oggi è totalmente automatizzata.
Altre compagnie offrono orari flessibili per i più anziani. Hans Driescher, fisico dell'ex Germania Orientale, a 74 anni lavora ancora al Centro Aerospaziale, a dieci anni dall'età del pensionamento ufficiale. Ha iniziato con 55 ore al mese, ma ora è sceso a 24. D'estate sta nel suo orto, lavora il resto dell'anno. Con i forti tassi di disoccupazione in Europa orientale e meridionale, il paese ha un'ottima occasione per scegliere i migliori lavoratori dai paesi vicini, e ha iniziato a farlo. Ma con migliaia di posizioni ancora disponibili è opinione di molti che sia necessario modificare le leggi sull'immigrazione, accettando curricula esteri, per competere con altri paesi nella medesima situazione.
Si è dimostrato difficile in passato integrare in Germania i lavoratori stranieri, specie i turchi, e oggi si riflette sulla propria cultura, su cosa c'è da fare per diventare più ospitali. Non è chiarissimo con quali risultati. Una recente ricerca rileva che più della metà dei greci e spagnoli se ne vanno dalla Germania entro un anno. Molti sono i giovani altamente qualificati che guardano al mercato globale. E tanti se se ne presentasse la possibilità tornerebbero volentieri a casa. L'immigrazione è un fatto più temporaneo, con gli spostamenti facili tra un paese europeo e l'altro. “Credo che dovremo cominciare a guardare anche fuori dall'Europa” conclude Klingholz.
postilla
Ecco, questo scenario europeo con l'esempio della Germania, è esattamente l'opposto di quanto ci raccontano in Italia non solo la Lega Nord e le formazioni razziste sempre terrorizzate all'idea della convivenza, ma anche fonti “insospettabili” come il professor Giovanni Sartori. Il quale proprio il giorno di Ferragosto ha approfittato di un editoriale su Corriere della Sera per affiancare in modo assolutamente incongruo la crisi climatica globale, la bomba demografica della sovrappopolazione del pianeta, e last but not least la cosiddetta incompetenza tecnica del ministro Cécile Kyenge a trattare di ius soliius sanguis. Tutto proprio nel momento in cui, come ci racconta l'articolo dal New York Times, parrebbe delinearsi uno scenario in cui esiste un rapporto diretto fra uscita dalla crisi economica (che impedisce tra l'altro politiche demografiche e energetico-ambientali) e libera circolazione e integrazione (f.b.)