Lo strumento essenziale della democrazia rappresentativa continua a essere trattato come se il Palazzo si fosse trasformato in un mercato delle vacche (pardon, delle cacche) Il manifesto, 4 marzo 2014
L’intreccio è apparentemente senza soluzione, salvo che una soluzione c’è sempre: prendere un po’ di tempo. La corsa di Renzi sulla legge elettorale — quando era solo il segretario del Pd voleva approvarla in prima lettura entro febbraio, scadenza poi spostata di un mese causa più alto incarico — sbatte contro l’equivoco fondativo del suo governo. I garanti del patto sulle riforme, Berlusconi e Renzi medesimo, hanno interessi opposti a quello del partito che con i suoi 32 senatori tiene in piedi l’esecutivo, il Nuovo centrodestra di Alfano. Al presidente del Consiglio e al Cavaliere interessa tenere sulla corda i partiti con la minaccia di elezioni nel 2015, al ministro dell’interno sta a cuore prolungare la legislatura fino a quando Berlusconi sarà politicamente tramontato (per raccogliere la leadership che non può contendere). I primi hanno fretta, il secondo rallenta. Con Alfano sta la minoranza Pd che vuole mettere in crisi l’asse tra Firenze ed Arcore, oltre che una straordinaria ragione di buonsenso: l’Italicum applicato al bicameralismo paritario peggiora i suoi già numerosi difetti. Ecco spiegati gli emendamenti dei bersaniani Lauricella e D’Attorre, che rinviano l’operatività della nuova legge elettorale all’entrata in vigore della riforma del senato. Altra promessa, o minaccia, renziana.
L’aula della camera affronterà l’argomento oggi pomeriggio, partendo dal voto degli emendamenti al testo del relatore Sisto (Fi) che rispecchia il vecchio accordo Pd-Fi-Ncd. Ci sono i tempi contingentati e Renzi spera ancora di chiudere il discorso entro fine settimana. Stamattina il comitato dei nove della commissione affari costituzionali deciderà sull’ammissibilità dei nuovi emendamenti che andranno ad aggiungerci agli oltre duecento da votare. Tra questi nuovi quello D’Attorre che trasforma l’Italicum in una legge elettorale valida solo per la camera dei deputati. Dal punto di vista costituzionale nulla impedisce, ne ha impedito, di avere due sistemi diversi per le due camere — anche se la Consulta nella recente sentenza ha sottolineato i rischi per la governabilità. In teoria (ma non si è mai fatto) la Costituzione consentirebbe di sciogliere in anticipo anche una sola camera.
Con l’emendamento D’Attorre in caso di elezioni anticipate a prima della riforma del senato, per palazzo Madama si voterebbe con il sistema uscito dalla sentenza della Consulta, con soglia di sbarramento per le coalizioni persino più alta dell’Italicum (20%) ma più bassa per i partiti coalizzati (3%). E senza premio di maggioranza, quindi il vincitore della camera non avrebbe la garanzia di poter governare senza alleanze successive al voto. Per Renzi questa eventualità appare comunque preferibile rispetto alla proposta Lauricella, che rinvia l’entrata in vigore dell’Italicum alla riforma del senato, per la quale è decisivo ogni singolo voto del Ncd. In ogni caso potrebbe minacciare le elezioni anticipate, accada quel che accada. Il presidente del Consiglio non è però riuscito ancora a convincere il berlusconiano Verdini. Ha ancora qualche ora, perché gli emendamenti in questione, sui quali è possibile un pericoloso voto segreto, sono all’articolo due della legge e dunque non sarebbero stati in ogni caso votati oggi.
Nel frattempo è completamente uscita dai radar la proposta di riforma del senato, che il segretario Pd aveva promesso per metà febbraio. Si sa che persino il presidente della Repubblica ha fatto conoscere i suoi dubbi per la progettata «camera dei sindaci», e che Renzi sta immaginando correzioni. Ha fretta ma non riesce a correre.