Martin Schulz ha sintetizzato i mali dell’Unione europea che vorrebbe sradicare. Sono quelli della «politica di austerity a senso unico per stati e cittadini». Quelli che avrebbero trasformato Ue da «un progetto di pace e di prosperità in un insieme di regole». Per cui l’Ue avrebbe perduto «la capacità di raccontarsi, di entusiasmare e di far guardare al futuro con ottimismo». A questa Ue il progetto socialdemocratico, di cui è portatore, oppone non una «unione burocratica ma un’unione politica ed economica». Quanto alla crisi accusa l’Europa «di essersi aggrappata alle regole» di essere stata «senza leadership … e di aver utilizzato i Trattati come «giustificazione dell’inazione» Trattati «ove non è scritto come uscire dalla crisi». (vedi articolo de la Repubblica).
Non va esclusa affatto, e si può anche esser certi della sensibilità sociale del dr. Shulz. Credo però che queste sue dichiarazioni generino non poche e non infondate perplessità. Cominciamo dalla prima. La politica di austerity a senso unico non è stata certo inventata e poi imposta all’Ue da una potenza extra europea. Consegue immediatamente dai Trattati che non hanno affatto provocato inerzie. Hanno prodotto invece un coerente indirizzo di politica economica e finanziaria che ne ha attuato principi, fini e norme, mediante atti esattamente corrispondenti a detti principi. Tutti adottati dalla Commissione e dal Consiglio e, per quanto di competenza, dal Parlamento europeo, riluttante talvolta, ma certamente non svincolato dai compiti che i Trattati gli assegnano.
La perdita della capacità di «entusiasmare» ne è stata la conseguenza ineluttabile. Soprattutto perché il «raccontarsi» come progetto di prosperità era, più che ottimistico, bugiardo. Bugiardo perché l’unione progettata era esattamente quella burocratica disegnata per eseguire le norme dei Trattati secondo lo spirito dei Trattati, con la logica che ne derivava. Univoca, esplicita trasfusa innanzitutto nell’architettura dell’Unione che faceva, e fa, di tutte le sue istituzioni gli esecutivi dei Trattati. Parlamento compreso, la cui attività si traduce, infatti, nel potere deliberare solo quello che gli propone la Commissione il cui compito assorbente e vincolante ogni altro è quello di organo che «vigila sull’applicazione dei Trattati e delle misure adottate dalle istituzioni in virtù dei Trattati». (art. 17 del Trattato sull’Unione). Un’architettura quindi che realizza il trionfo degli esecutivi, rendendoli tutti tali, qualsivoglia nome o veste assumessero ed abbiano assunto.
Esecutivi di che cosa, di quale progetto, di quale principio fondamentale? I Trattati non nascondono affatto la norma fondamentale dell’Unione. Non la si trova negli articoli 2 e 3 del Trattato sull’Unione che elencano declamazioni inebrianti di valori, principi, fini che simboleggiano le conquiste della costituzionalismo e della democrazia degli ultimi due secoli. La norma fondamentale dell’Unione contraddice radicalmente questi valori, principi, fini. È un po’ nascosta, in verità, forse anche per quel pudore che accompagna spesso l’ipocrisia. È scritta nel Trattato sul funzionamento dell’Unione, agli articoli 119 e 120, secondo i quali «l’azione degli Stati membri e dell’Unione comprende …. l’adozione di una politica economica …. condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta ed in libera con concorrenza». La norma fondamentale dell’Ue è questa. Ne sancisce la dinamica ed il fine. Ha carattere esclusivo ed escludente.
È questa la norma che non permette che si esca dalla crisi. Non lo permette perché ne è la causa, la ha provocata. È questa la norma fondamentale da abrogare. Shulz non può non saperlo. Ma non dice di volerla espungere.
Con Tsipras si può. È una ragione decisiva per votarlo.