La lista per l'altra Europa punta oggi al risultato elettorale che scaturirà dalle urne, ma le donne e gli uomini che hanno lavorato controcorrente nei mesi scorsi proiettano già il loro impegno al di là delle elezioni.
Il manifesto, 25 maggio 2014
Negli infiniti incontri «di chiusura» di questa campagna elettorale, c’era sempre un momento in cui l’applauso scattava immediato, istintivo, convinto. Ed era quando si diceva che «non termineremo il 25 maggio». Che l’appuntamento è già il 26, per continuare il percorso insieme. Perché sarebbe folle disperdere il «bene comune» accumulato in questi due mesi di fatica e di passione dalla moltitudine di donne e di uomini che ne hanno condiviso l’impegno.
Non so per gli altri. Ma nelle mie esperienze di territorio, da un palco su una piazza o da un banchetto a un angolo di strada, in un teatro o in un sottoscala, l’immagine che mi porto dietro è quella di una sinistra che scopre, quasi con sorpresa, ciò che potrebbe essere, se solo riuscisse ad andare oltre il proprio passato prossimo di frammentazione, chiusure mentali e gergali, sconfitte. Una sorta di respiro ampio, nel senso comune delle persone più che nei riflessi d’organizzazione. Uno stato d’animo più che un progetto consapevole, ma forte: la sensazione di poter tornare a parlare al di fuori di sé, dei propri steccati, e di poter trovare ascolto, se solo la parola riesce a forare il muro di silenzio mediatico, la cintura sanitaria ossessiva e oppressiva che ci è stata stretta intorno. E l’orgoglio di poterlo fare con in testa idee forti, credibili, adeguate all’altezza delle sfide, grazie alle quali ritrovare il rapporto, storico, che lega la sinistra alla schiera non piccola dei democratici conseguenti preoccupati per questa notte della democrazia.
Non sono mancati – sarebbe sciocco negarlo – errori, ingenuità, inefficienze, riserve mentali e ritardi organizzativi. Ma non possiamo nasconderci i tratti di nobiltà che hanno caratterizzato l’impresa nel suo complesso.
In primo luogo il fatto che L’altra Europa con Tsipras è l’unica lista che si è misurata nelle elezioni europee con un discorso sull’Europa e per l’Europa. Non ha proiettato su scala continentale le liti da pollaio del cortile di casa, come hanno fatto le tre forze politiche – anzi i tre istrioni – a cui un sistema mediatico malato e pigro ha riservato la totalità dello spazio informativo, ma ha fatto della trasformazione radicale delle politiche europee l’asse portante della propria proposta. Non perché siamo più colti, o raffinati e sensibili degli altri (anche per questo). Ma soprattutto perché sappiamo che sulla possibilità di rovesciare gli equilibri politici nel cuore d’Europa si gioca la possibilità di sopravvivenza del nostro Paese. Che o si cambia l’Europa o si affonda.
In secondo luogo L’altra Europa con Tsipras è l’unica lista che ha un programma europeo credibile, realistico e radicale insieme, come, appunto, la situazione drammatica richiede. Una Conferenza europea per la socializzazione e la ristrutturazione del debito, come un’Unione degna di questo nome non potrebbe non fare. Un New Deal continentale con al centro un programma per l’occupazione, capace di produrre a livello europeo 6–7 milioni di posti di lavoro (quanti la crisi ha distrutto) investendo 100 miliardi di euro all’anno, per un triennio, finanziati con una fiscalità europea (una tassa sugli inquinatori e una sulla speculazione finanziaria). L’autorizzazione alla Bce a funzionare da prestatore di ultima istanza a sostegno delle economie più deboli. E infine un’intransigente opposizione al Ttip, il Trattato Transatlantico negoziato in segreto che consegnerà le nostre vite e i beni comuni alla fame di profitto delle transnazionali.
Non sono utopie. Non è un programma per un futuro lontano. È un programma per oggi (anche perché domani sarebbe tardi). È, d’altra parte, un programma realisticamente proponibile perché le forze che si riconoscono nella leadership di Alexis Tsipras costituiranno il terzo gruppo nel nuovo Parlamento europeo (dove, per formare un gruppo, e quindi per fare politica, è necessario raccogliere adesioni di rappresentanti di almeno sette paesi). E quanto maggiore sarà la sua forza, tanto più alta sarà la possibilità di spezzare l’asse tra Partito popolare e Partito socialista che, senza un’azione efficace a sinistra, riprodurrebbe inevitabilmente le larghe intese che Schulz e Merkel hanno costituito in Germana e che dominano in Grecia e Italia.
Un forte gruppo parlamentare europeo di sinistra (di sinistra vera), potrebbe fare il miracolo di ricondurre almeno la parte più sensibile della socialdemocrazia europea su una linea di solidarietà continentale. E insieme di catalizzare anche quelle forze (penso naturalmente ai Verdi, ma anche ai parlamentari del Movimento 5 Stelle, che saranno numerosi ma orfani in quel contesto) che si oppongono alle attuali politiche europee e che non hanno i tratti osceni del neonazionalismo xenofobo, intorno a una linea, potenzialmente maggioritaria, di efficace contrasto del dogma dell’Austerità e di radicale alternativa ad essa.