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Antonio Padoa-Schioppa
Chi nominerà il presidente della Commissione europea?
5 Giugno 2014
Articoli del 2014
Alla fine, sarà il Consiglio europeo o il neo-eletto Parlamento a decidere sul prossimo presidente della Commissione? Con un ruolo di co-decisione del Parlamento, anche nell’Unione si affermerebbe in modo più corretto il circuito vitale proprio delle democrazie: voto, parlamento, governo.

Alla fine, sarà il Consiglio europeo o il neo-eletto Parlamento a decidere sul prossimo presidente della Commissione? Con un ruolo di co-decisione del Parlamento, anche nell’Unione si affermerebbe in modo più corretto il circuito vitale proprio delle democrazie: voto, parlamento, governo.

Lavoce.info, 4 giugno 2014 (m.p.r.)

Il Parlamento e la scelta del Presidente della Commissione.La campagna elettorale ha visto, come sappiamo, più candidati alla presidenza della Commissione, designati dai principali partiti al livello europeo. Per la prima volta in trentacinque anni l’elettore è stato invitato a scegliere non solo tra partiti, ma tra candidati non nazionali e tra programmi. E tutti i candidati hanno dichiarato che il nuovo Parlamentoeletto avrebbe preteso di indicare il candidato alla presidenza formando, se necessario, una maggioranza anche trasversale tra i diversi gruppi politici.

Si trattava e si tratta di una pretesa che ha indubbiamente un aggancio nel Trattato di Lisbona, ove si stabilisce che il presidente della Commissione sia designato tenendo conto dell’esito elettorale. Ma nel Trattato la proposta è pur sempre affidata al Consiglio europeo, il quale sinora ha esercitato un ruolo preponderante, che il Parlamento europeo si limitava poi a ratificare con il suo voto. Lisbona non ha modificato radicalmente questa procedura. Vi è dunque un margine di ambiguità nel ruolo rispettivo del Consiglio e del Parlamento, un margine che il Parlamento intende utilizzare a proprio vantaggio, mentre il Consiglio tende naturalmente a conservare la preminenza.
Poiché tra i due partiti maggiori, i popolari hanno ottenuto un’esigua maggioranza relativa rispetto ai socialisti, in base alle intese pregresse il Parlamento sembra incline a votare il candidato Jean-Claude Juncker. Angela Merkel non ha perso occasione nei mesi scorsi per stigmatizzare le pretese di Strasburgo, ma ora ha dichiarato la disponibilità a votare il lussemburghese: una mossa intelligente, perché in tal modo potrebbe accreditarsi la vittoria di Juncker. La forza politica dell’impostazione della campagna elettorale dei partiti europei si è imposta persino a livello del governo tedesco. La radicale opposizione di David Cameron potrebbe non essere sufficiente a sbarrare la strada a Juncker, perché il potere di veto in questo caso è caduto. Bello sarebbe che il governo italiano dichiarasse sin d’ora l’intento di votare per quel candidato che ottenga la maggioranza nel Parlamento Europeo.
Una aspirazione giustificata? Tra gli osservatori, anche filoeuropei, c’è chi si scandalizza per la pretesa del Parlamento. Ma vi è anche chi, come Jürgen Habermas, ha preso posizione a favore di Strasburgo. C’è chi ha osservato che così si trasformerebbe l’Unione in una repubblica parlamentare tradizionale. Ma chi afferma questo sembra dimenticare che una “seconda Camera”, che rappresenta gli Stati, entro l’Unione già c’è ed è costituita appunto dai due Consigli, europeo e dei ministri. Come in ogni struttura federale, una Camera rappresenta il popolo (i cittadini europei), l’altra gli Stati.
Certo, la procedura dei Trattati si presta ad ambiguità e presa alla lettera favorisce la seconda e non la prima. Ma, dopo anni di quasi esclusiva attività del Consiglio, non certo coronata da successi, si sta facendo strada l’esigenza di democratizzare le istituzioni europee. Non si tratterebbe di “larghe intese” nell’accezione nazionale se popolari e socialisti votassero insieme per il presidente della Commissione, perché la più cruciale linea divisoria è quella tra filoeuropei e antieuropei e la maggioranza del Parlamento neoeletto è schierata sul primo fronte. D’altra parte, non va dimenticato che la storia ha conosciuto importantissimi precedenti di istituzioni che si sono radicate stabilmente solo dopo aver consolidato il proprio ruolo nei confronti delle istituzioni coeve. E l’Unione è indubbiamente una struttura istituzionale tuttora in via di formazione.
Il peso del Parlamento europeo è cresciuto in questi anni, ma i Trattati tuttora lo escludono dalle decisioni relative alle proprie risorse, alla programmazione pluriennale, alla fiscalità, alla politica sociale, all’armonizzazione legislativa, alla sicurezza, insomma alle materie più importanti. Con l’esercizio da parte del Parlamento europeo di un ruolo rafforzato di codecisione con il Consiglio nella scelta del Presidente della Commissione, anche a costo di uno scontro politico-istituzionale con lo stesso Consiglio europeo, il circuito vitale proprio delle democrazie – voto, parlamento, governo – s’instaurerebbe all’interno dell’Unione in modo finalmente più corretto.

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