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Alberto Asor Rosa
Matteo Renzi un politico postdemocratico
17 Giugno 2014
Articoli del 2014
Analisi convincente del rischio socialnazionalista del PMR, e proposta per evitarlo: «Comin­ce­rei dal pro­gramma, dieci, dodici punti, per­ché si sta insieme, e si sta insieme qui e non altrove» .
Analisi convincente del rischio socialnazionalista del PMR, e proposta per evitarlo: «Comin­ce­rei dal pro­gramma, dieci, dodici punti, per­ché si sta insieme, e si sta insieme qui e non altrove» .

Il manifesto, 17 giugno 2014, postilla

Renzi, Grillo, Berlusconi. Il 17-18 per cento è quanto valgono, nei rispettivi partiti, i leader che ne sono, fin dalle origini, i padroni. La sfiducia nella democrazia diventa formidabile strumento di consenso con la macchina mediatica schierata al gran completo. In Italia non esiste oggi una forza di sinistra. Per questo renzismo, grillismo, berlusconismo hanno dilagato. Bisognerebbe iniziare a costruirla

Il dato più rile­vante di que­sta breve ma inten­sis­sima fase sto­rica resta, senza ombra di dub­bio, l’affermazione elet­to­rale (soprat­tutto in ter­mini per­cen­tuali) di Mat­teo Renzi. Il gio­vane lea­der è arri­vato a que­sta affer­ma­zione, come non mi stanco di ripe­tere, senza nes­suna delle tra­di­zio­nali inve­sti­ture “demo­cra­ti­che” in uso nel sistema poli­tico ita­liano dal 1945 in poi. Renzi ha ini­ziato la sua con­qui­sta del potere arri­vando con le pri­ma­rie dell’8 dicem­bre 2013, d’un balzo solo, alla segre­te­ria del Pd. Da lì spicca la sua rapida ascesa al governo, con mezzi (e for­za­ture) par­la­men­tari, anche in que­sto caso fon­da­men­tal­mente fuori della con­sue­tu­dine e ampia­mente discutibili.

Tutto ciò, però, ha rice­vuto subito dopo il con­senso, che suona appro­va­tivo, di un numero (per­cen­tual­mente) impen­sa­bile di elet­tori fino a qual­siasi con­sul­ta­zione pre­ce­dente. Que­sto cur­sus e que­ste coin­ci­denze andreb­bero inter­pre­tati meglio di quanto finora non sia stato fatto.

Un’ipotesi pos­si­bile (del resto tutt’altro che sor­pren­dente): Renzi “carica” di aspet­ta­tive il vec­chio elet­to­rato “demo­cra­tico”, fino a pro­spet­tar­gli la con­creta pos­si­bi­lità di una vit­to­ria, con­si­de­rata gene­ral­mente fino a quel momento del tutto irrag­giun­gi­bile (que­sta por­zione più tra­di­zio­nale dell’elettorato Pd pensa: «almeno una volta voglio vin­cere»); e vi aggiunge un quo­ziente piut­to­sto ele­vato di elet­tori pro­ve­nienti da altre aree (centro-destra, gril­lini, cen­tro democratico…).

Met­tendo insieme i due fat­tori, si spiega per­ché le avan­zate più con­si­stenti si siano veri­fi­cate nelle ex regioni rosse (Toscana, Emi­lia, Umbria). Insomma, il vec­chio elet­to­rato, invece di scio­gliersi nell’astensionismo, si con­so­lida pre­su­mi­bil­mente intorno al 23–24%; di suo Renzi vale il resto, ossia il 17–18%, più o meno quanto val­gono nei rispet­tivi par­titi quelli che ne sono fin dalle loro ori­gini i “padroni” (Ber­lu­sconi e Grillo), così come Renzi inne­ga­bil­mente lo è diven­tato del suo dopo que­sto suc­cesso elet­to­rale.

Dun­que il con­flitto poli­tico in Ita­lia diventa sem­pre di più, non solo come ho scritto altre volte, una gara tal­volta molto acca­nita, ma non fra “avver­sari” bensì fra “con­cor­renti”, data la cre­scente omo­ge­neità dei loro com­por­ta­menti e delle loro parole, ma più esat­ta­mente fra “con­cor­renti” che sono i veri e pro­pri “padroni” dei par­titi che si sono tro­vati, con moda­lità diverse, a guidare.

E cioè: non solo Renzi è diven­tato extra legem segre­ta­rio del pro­prio par­tito, e poi, subito dopo, con moda­lità alquanto discu­ti­bili, Pre­si­dente del Con­si­glio: ma, vin­cendo con un risul­tato indu­bi­ta­bile le ele­zioni, ha posto le pre­messe (di cui già si scor­gono gli svol­gi­menti) per­ché le gare interne a quella for­ma­zione poli­tica e in quell’area di governo in cui ha scelto di cor­rere fos­sero rapi­da­mente e per sem­pre liquidate.

Cer­care di capire per­ché abbia scelto di cor­rere in que­sta for­ma­zione e non in una delle altre in cui, vero­si­mil­mente, con­si­de­rando il suo pro­filo politico-culturale, avrebbe potuto tran­quil­la­mente farlo, sarebbe un altro inte­res­sante discorso, che però si potrebbe affron­tare solo con una migliore cono­scenza dei fat­tori in causa. Com’è riu­scito a farlo?

La rispo­sta a que­sta domanda sarebbe essen­ziale per impian­tare il “che fare”, di cui, con un minimo di chia­rezza, avremmo biso­gno. Io avanzo due ipo­tesi, stret­ta­mente col­le­gate fra loro.
La prima è che Renzi non smette di pro­met­tere urbi et orbi di avere in mano (oppure di essere in grado di avere, prima o poi, ma la dif­fe­renza fra il “certo” e il “pro­ba­bile” non è mai avver­ti­bile nel suo elo­quio som­ma­rio) gli stru­menti per far fronte alla crisi economico-sociale del paese: da que­sto punto di vista non rispar­mia le ras­si­cu­ra­zioni e, come anti­cipo, allunga un po’ di soldi alla povera gente.

La seconda, meno visi­bile ma più pro­fonda, è che Renzi, non meno di Grillo e di Ber­lu­sconi, ma in que­sto momento più cre­di­bil­mente degli altri due, punta sull’innegabile crisi di tenuta demo­cra­tica del paese, — lo scarso fun­zio­na­mento degli orga­ni­smi rap­pre­sen­ta­tivi, il degrado dei vec­chi par­titi e del vec­chio ceto poli­tico, la cor­ru­zione dila­gante, ecc., — per dire: con i miei metodi, che vanno e pro­met­tono di andare sem­pre di più nella dire­zione di un radi­cale supe­ra­mento dell’antiquato, ormai inser­vi­bile maci­nino demo­cra­tico, si andrà avanti molto meglio. Così lui tra­sforma la sfi­du­cia e tal­volta la rab­bia nei con­fronti della “demo­cra­zia”, che è un dato reale, dif­fuso ovun­que in que­sto paese, in un for­mi­da­bile stru­mento di con­senso. Lui è già di per sé un poli­tico post-democratico: basta che lo dica o anche si limiti a farlo capire, per susci­tare un moto di sim­pa­tia anche da parte di quelli che sono stati edu­cati ad un rispetto sacrale nei con­fronti della democrazia.

Il gioco per ora fun­ziona benis­simo, anche per­ché tutta la mac­china dei media è schie­rata come un sol uomo die­tro que­sta pro­spet­tiva (e anche que­sto sarebbe da inter­pre­tare meglio e da capire).

Del resto, non è la prima volta, in Ita­lia e altrove, che un’investitura di tipo auto­ri­ta­rio s’impone regi­strando un con­senso ple­bi­sci­ta­rio di massa. Quando lui ipo­tizza e pro­pu­gna, al posto di un one­sto, magari medio­cre, par­tito di centro-sinistra, che rap­pre­senta una parte per armo­niz­zarla con il tutto (ovvero, per armo­niz­zarla con il tutto, restando però a rap­pre­sen­tare quella parte), il cosid­detto Par­tito della Nazione, a nes­suno viene in mente che un obiet­tivo e una defi­ni­zione di tale natura avreb­bero potuto con­farsi anche al Par­tito Nazio­nale Fasci­sta o al Par­tito (appunto) Nazio­nal­so­cia­li­sta. Certo, non è la stessa cosa, ma ogni qual­volta si evoca la Nazione (con la maiu­scola, per giunta), sarebbe d’obbligo che i pre­ce­denti ven­gano alla mente.

Ma veniamo alla pra­tica spic­ciola, quella che fa vedere meglio le cose come sono: l’obiettivo prin­ci­pale, comun­que chia­ris­simo, con­si­ste nell’assoggettare al nuovo mec­ca­ni­smo di potere quanto, poli­ti­ca­mente e strut­tu­ral­mente, gli può risul­tare incon­gruo o resi­stente. Per cui facile pre­vi­sione: il pub­blico, anzi il Pub­blico, nella sua acce­zione più vasta, e cioè buro­cra­zia, magi­stra­tura, scuola, uni­ver­sità, sanità, beni cul­tu­rali, sovrin­ten­denze, ecc. ecc., e cioè quanto è stato costruito nel corso di decenni per avere una sua pro­pria auto­no­mia nel con­certo gene­rale degli organi dello Stato, verrà sot­to­po­sto ad un attacco senza esclu­sione di colpi. Non a caso, anche in que­sto caso, organi di stampa e media sono impe­gnati in una vibrante cam­pa­gna di mora­liz­za­zione per cogliere e san­zio­nare le colpe dei “siste­mati”: gua­da­gnano troppo, lavo­rano poco, sono lenti, ral­len­tano, si oppon­gono al “fare”, ecc. Il fatto che in molti casi, ovvia­mente, que­sto sia anche vero non toglie rile­vanza la fatto che l’obiettivo della cam­pa­gna non sia far fun­zio­nare meglio il sistema, ma assog­get­tarlo del tutto al comando del Sovrano.

Ho seguito con grande atten­zione, — ma forse un po’ troppo da lon­tano, le vicende della lista Tsi­pras, la cui affer­ma­zione, pur con molti limiti, dimo­stra che un punto di par­tenza ancora esi­ste. Ho pole­miz­zato con Bar­bara Spi­nelli prima del voto, per­ché essa, in un’intervista al mani­fe­sto (14 mag­gio) addi­tava nei gril­lini il punto di rife­ri­mento fon­da­men­tale post votum della nuova espe­rienza («ci sono molte posi­zioni di Grillo com­ple­ta­mente con­di­vi­si­bili e fra l’altro simili se non iden­ti­che alle nostre»). La posi­zione, pro­fon­da­mente erro­nea, è stata por­tata avanti fino a un momento prima che il Movi­mento 5 Stelle siglasse l’accordo con gli xeno­fobi e para­fa­sci­sti di Nigel Farage. La scelta della Spi­nelli di andare a Bru­xel­les in barba alle dichia­ra­zioni pre­ce­denti, chiude un po’ malin­co­ni­ca­mente la que­stione, e ne ria­pre una grande come una casa. Ora, infatti, sap­piamo con asso­luta chia­rezza che Grillo e il gril­li­smo sono avver­sari nostri non meno, e forse più, di Mat­teo Renzi (il che non esclude, che fra i gril­lini ce ne siano molti per bene e con cui si può com­bi­nare qual­cosa insieme). E allora?

In Italia, altra grande anomalia nazionale, — non esiste, e dopo la definitiva (ripeto: definitiva) uscita di scena in questo senso del Pd non esiste più, una decente formazione di centro-sinistra, — magari la più moderata che si possa immaginare, la meno virulenta, ben radicata formazione di estrema sinistra. Non esiste neanche, — si potrebbe dire così, — una seria, decente, responsabile formazione di sinistra. Per questo berlusconismo, grillismo e ora renzismo hanno dilagato e dilagano.

Hic Rho­dus, hic salta. Ossia: se non si prova ad affron­tare que­sto pro­blema, meglio dedi­carsi alle parole cro­ciate. Quando la defi­ni­sco, prov­vi­so­ria­mente, una seria, decente, ben radi­cata for­ma­zione di sini­stra, non intendo la spon­ta­nea con­ver­genza di una serie di for­ma­zioni spon­ta­nee, come in fondo è stata, — e per la parte migliore che ha rap­pre­sen­tato e rap­pre­senta, — la lista Tsi­pras. Sono l’unico appena pro­fes­sore, certo, di sicuro non pro­fes­so­rone, che ha avuto con­tatti diretti con la realtà vivente dei Comi­tati (gli altri, sovente, ne hanno par­lato per sen­tito dire). Sono stato coor­di­na­tore per molti anni della “Rete dei Comi­tati per la difesa del ter­ri­to­rio”. Insieme con altre pre­ziose espe­rienze, ne ho rica­vato que­sto con­vin­ci­mento: nes­suna realtà poli­tica nuova potrà fare a meno della linfa vitale che i Comi­tati spri­gio­nano; ma nes­sun insieme di Comi­tati, — una Rete, ad esem­pio, — potrà mai da sè, e spon­ta­nea­mente, met­tere in piedi una realtà poli­tica gene­rale. Que­sto sog­getto poli­tico una volta si chia­mava par­tito. Pos­siamo cam­biar­gli nome. Ma la sostanza è quella.

Detto così, può sem­brare un appello a fare ricorso non alla cabala ma alla Lam­pada di Ala­dino. Fac­cio una pro­po­sta. Da dove si comin­cia per comin­ciare la costru­zione di una realtà poli­tica nuova? Dall’alto, dal basso, dall’esistente o dal futu­ri­bile, dagli spez­zoni resi­dui del grande disa­stro o da quelli, più imma­gi­nati che reali, della rete in via di costru­zione? Io comin­ce­rei dal pro­gramma. Dieci, dodici punti che spie­ghino per­ché si sta insieme, e si sta insieme qui e non altrove. Aspet­tare che la riforma ren­ziana della poli­tica, dello stato e dell’economia vada avanti è pro­fon­da­mente auto­le­sio­ni­stico. Chi non ci sta, lo dica ed esca allo sco­perto. E lavori per­ché le idee, se non le mem­bra, tutte le mem­bra, emer­gano final­mente dal guaz­za­bu­glio uni­ver­sale. Non so se la pro­po­sta abbia un senso. Ma so che è così che si fa se si vuole che ne abbia uno. In fondo, all’inizio, non si tratta che di fare una cosa sem­pli­cis­sima e alla por­tata di tutti: pensare.

postilla
Concordo pienamente sull'analisi del renzismo. Definisco ormai il suo partito non più Partito Democratico, ma Partito Matteo Renzi (e, per l'acronimo che ne deriva, mi dispiace che si chiami Matteo e non, che so, Nicola o Nestore). Mi domando anch'io, come AAR, perchè l'ex sindaco di Firenze abbia scelto come formazione politica di cui impadronirsi l'estremo residuo del PCI. Condivido la convinzione di AAR che «nes­suna realtà poli­tica nuova potrà fare a meno della linfa vitale che i Comi­tati spri­gio­nano; ma che nes­sun insieme di Comi­tati,potrà mai da sè, e spon­ta­nea­mente, met­tere in piedi una realtà poli­tica gene­rale»
Credo che per trasformare in un "soggetto politico", capace di competere con gli altri, un pulviscolo di mille proteste e mille proposte, mille disagi e mille speranze, occorre compiere una grande sintesi . Raggiungerla significa significa avere costruito un'ideologia condivisa, una strategia chiara, una tattica adeguata, un programma convincente. Si può cominciare dal programma (quello della lista L'altra Europa mi sembra un primo utile contributo). Emily Dickinson ha scritto: «Per fare un prato basta un filo d’erba e un’ape / Un filo d’erba e un’ape /E un sogno /Il sogno può bastare /Se le api sono poche. Magari, in politica, insieme al sogno ci vuole subito un programma.
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