«Sono arrivate nel cuore del potere. Grazie a curriculum eccellenti e alla legge che riserva loro delle quote. Ma per le donne è iniziato un percorso di uguaglianza o stiamo andando verso una polarizzazione tra chi è ai vertici e chi, nella fascia media, vede vacillare diritti acquisiti»?
La Repubblica, 1 luglio 2014 (m.p.r.)
Roma. Nel cuore del potere. O almeno molto vicine. Mai così tante. Curriculum eccellenti, testarda bravura, ma anche l’onda d’urto delle quote rosa. Per l’Italia è la prima volta. Una parlamentare su tre è donna. Nei Cda la presenza femminile sfiora il 25%. La squadra di governo è formata da otto ministri e otto ministre, simmetria perfetta ma soprattutto simbolica. Maria Angela Zappia, una carriera in ascesa nella diplomazia italiana, è stata nominata ambasciatrice per il nostro paese alla Nato: «Cosa provo? Il grande orgoglio di un incarico così importante, ma anche la consapevolezza di non aver lasciato indietro nessuno...». Né i figli, Claire e Christian, cresciuti con lei in giro per il mondo, né il marito, conosciuto in missione a Dakar. Anche il linguaggio cambia: nessuna cesura, vita e carriera sono una cosa sola.
Era soltanto la scorsa estate, quando a Cernobbio l’ex premier Enrico Letta sobbalzava davanti ad una platea di grisaglie grigie. «In questa sala siamo tutti uomini, è insopportabile...». Dov’è l’altra metà? La risposta è arrivata pochi mesi dopo. Mentre la legge Mosca-Golfo imponeva tra mille malumori sempre più donne ai vertici delle aziende, (dal 7% di presenze nei Cda nel 2011, al 25% di oggi tra pubblico e privato) il nuovo premier Renzi ha preso abilmente il potere e il pallottoliere insieme, lanciando appunto la formula del governo fiftyfifty, ben sapendola gradita all’Europa. Con ministeri anche “pesanti”: agli Esteri Federica Mogherini, alla Difesa Roberta Pinotti. E proprio Pinotti tra due giorni in un convegno organizzato da “Valore D”, racconterà la sua storia umana e politica, ma anche il lavoro prezioso e spesso nascosto delle donne dell’esercito, dalle comandanti alle soldatesse.
Adesso è dunque il tempo di riflettere, come spiega l’economista Daniela De Boca. Per capire se davvero qualcosa muterà nel sistema del potere, aprendo un vero cammino di parità, o se il gioco resterà congelato ai vertici della piramide. «Il cambiamento c’è, ed è il frutto di una pressione fortissima da parte del mondo femminile, quote comprese. Che là dove sono state applicate bene, in Norvegia ad esempio, hanno scardinato la misoginia dei vertici. Ma in Italia quello che vedo invece è il rischio di una polarizzazione: nella fascia alta le donne conquistano ruoli forti, un tempo maschili. Nella fascia media, nella vita di tutti i giorni le donne invece stanno peggio. Diritti che sembravano acquisiti, i congedi per maternità, la parità salariale sono oggi fortemente intaccati».
Dunque cautela. Però le nomine ci sono state, non poche e tutte insieme. Ad aprile scorso un gruppo di qualificatissime manager, scienziate e imprenditrici conquistano i Cda delle più grandi aziende di Stato: Emma Marcegaglia all’Eni, Luisa Todini alle Poste, Patrizia Grieco all’Eni, ma anche Catia Bastioli a Terna, Rossella Orlandi a capo dell’Agenzia delle Entrate.
E Maria Angela Zappia, ambasciatrice italiana alla Nato a Bruxelles. I titoli parlano naturalmente di “valanga rosa”. Lo spoil system di Renzi impone ancora nomi femminili. Il messaggio è chiaro: l’argine è caduto. Ma Luisa Todini, a capo del consiglio di amministrazione di Poste, una figlia adolescente, da anni alla testa dell’azienda di costruzioni di famiglia, invita a guardare le cose dal lato giusto. «In queste nomine hanno contato i curriculum e le esperienze, non le quote. Vengo da una famiglia modesta, che si è fatta da sé, dove mia madre lavorava ed era naturale che anche le donne lavorassero. Mi sono mossa in ambiti fortemente maschili, ma oggi invece sono entrata in una azienda, le Poste, dove la pink revolution è in atto già da tempo».
Certo, aggiunge Todini, «le quote servono, seppure modo transitorio, noi abbiamo vent’anni di ritardo sul fronte dell’occupazione femminile, dunque una spinta è ancora necessaria, perché tutto questo abbia una vera ricaduta sul processo di parità». Un processo favorito oggi «anche da una nuova generazione di mariti, padri e compagni non più nemici della carriera delle loro partner...». I numeri però raccontano un’Italia ancora profondamente “asimmetrica”: l’occupazione femminile è al 49,9% contro il 70% di quella maschile, gli stipendi restano più bassi del 15%.
Alessia Mosca, parlamentare Pd, insieme a Lella Golfo (oggi presidente della Fondazione Bellisario) ha scritto la legge 120 del 2011, le famose quote rosa nei Cda. Una legge che scadrà tra sette anni. «Perché a quel punto ci renderemo conto se è stata un’operazione di maquillage o se ha davvero ha inciso nella vita reale delle donne. Il cambiamento per ora è soltanto nella parte “apicale” della piramide, e non basta un gruppo di top manager donne per contaminare in modo positivo una situazione ancora arretrata. Ma è un inizio, la rottura di un meccanismo inerziale sempre uguale a se stesso». E duro a morire se si ascolta la testimonianza di una giovane manager, Valentina Saffiotti, 36 anni, direttore della Comunicazione di AstraZeneca, che racconta di essere dovuta fuggire a Bruxelles, per essere valutata soltanto per i suoi meriti, senza più il pregiudizio dell’essere femmina. «A 30 anni le aziende ti guardano con sospetto, perché potresti decidere di diventare madre. E nelle piccole e medie realtà è ancora peggio. E infatti dico sempre: non sono a favore delle quote rosa, ma contro le quote azzurre...».
Catia Bastioli, neo presidente di “Terna” (infrastrutture elettriche) scienziata manager, ex Montedison, in prima linea sulla bioeconomia, punta tutto sul merito. «Attenzione, le quote possono essere una trappola, e così gli slogan. Oggi il nostro paese ha unicamente bisogno di merito, al di là dei generi e l’Italia è spesso più avanti di come viene raccontata. Le donne — dice Bastioli — hanno già un posto forte nelle aziende, con quella visione più ampia delle cose che le rende preziose ovunque. Ma perché possano fare carriera è fondamentale la conciliazione. Proprio io che ho dedicato tutta la mia vita alla ricerca vedo quanta concentrazione ci vuole: e senza supporti da parte dello Stato, asili, welfare, come si possono portare avanti una famiglia e una carriera?». Ed è infatti l’amaro bivio davanti al quale si trovano brillantissime e determinate studentesse, e che spesso si traduce in un rinvio sine die della maternità. Ma Barbara Saba, vicepresidente di “Valore D”, direttore generale della Fondazione Johnson and Johnson, è invece ottimista. «Più donne ci sono nella politica, nel business, nella ricerca, più donne ancora saliranno sull’ascensore sociale. Il cambiamento è epocale anche se non ancora visibile. Ma per ognuna di noi che ce l’ha fatta è fondamentale la restituzione: aiutare cioè le più giovani a sviluppare i loro talenti. Solo così possiamo sperare che l’ascensore non si fermi».