In Italia le buone leggi non valgono per tutti/e. I diritti non sono mai uguali, dipende da chi conosci, da quanto tenace sei nell'affrontare i cavilli e le trappole burocratiche. Il Ministro Madia interviene sull'argomento e dice che il governo "se ne occuperà". Sembra che si tratti di un fenomeno sconosciuto, disvelato dalla lettera di una mamma precaria. Artcoli di M.N. De Luca e M. Madia,
La Repubblica, 13 agosto 2014 (m.p.r.)
NE' CONCEDI NE' AIUTI.
ECCO PERCHE' L'ITALIA
NON E' UN PAESE PER MAMME PRECARIE
di Maria Novella De Luca
Roma. Siamo un paese ostile alla maternità e sempre più refrattario ai bambini. Le desolanti statistiche dell’Istat lo testimoniano ad ogni rapporto annuale, fotografando la nostra progressiva discesa agli ultimi posti nella classifica demografica mondiale. Puntualmente ogni volta ci chiediamo perché. Eppure basta leggere la lettera pubblicata ieri su “Repubblica”, per rendersi contro di quanto l’Italia sia diventata ormai un luogo inospitale per chiunque decida di rischiare l’avventura della famiglia. Soprattutto se si è una lavoratrice precaria, ma che nonostante tutto si “azzarda” a mettere al mondo dei figli, ben tre in questo caso. Perché non solo il nostro non è un paese per mamme, ma in particolare non è un paese per mamme “atipiche”, quelle cioè che in assenza di un contratto di lavoro definito, non hanno diritto praticamente a nulla. Né prima della nascita, né dopo. Un’incredibile mancanza di tutele e di sostegni che Belinda Malfetti, giornalista freelance, ben descrive nella sua lettera “La mia odissea di mamma precaria alla ricerca del sussidio negato”. In Italia infatti le leggi ci sono, ma valgono soltanto per le mamme che hanno un contratto di lavoro. Per le altre, che sono sempre di più, resta soltanto il deserto. Ecco a confronto i diritti delle une e delle altre.
Maternità.
L’Italia ha una ottima legge sul congedo di maternità, la numero 1204 del 1971, rivista nel 2000 e nel 2001. Prevede che le future madri continuando a percepire lo stipendio pieno, si astengano obbligatoriamente dal lavoro per cinque mesi, due prima della nascita e tre dopo, oppure 30 giorni prima e quattro mesi dopo. La legge prevede poi un congedo parentale di altri 10 mesi di cui la madre o il padre possono usufruire fino ai 10 anni del figlio, e un orario ridotto al rientro al lavoro per l’allattamento. Tutto questo però è garantito unicamente alle lavoratrici dipendenti. Per le altre, collaboratrici a progetto, freelance o partite Iva (ma non iscritte alle casse previdenziali del proprio ordine professionale), il congedo di maternità spetta soltanto se si è iscritte alla gestione separata dell’Inps. Ossia le future madri devono aver versato, nei dodici mesi precedenti alla gravidanza, 3 mesi di contribuzione. «Si tratta però di congedi a cui riescono ad accedere in pochissime — spiega Claudio Treves della Cgil — perché quasi mai le aziende versano i contributi dovuti, o magari non nei tempi previsti. Ma oltre a questa misura non è previsto null’altro». Dunque il deserto. Chi non ha un contratto alle spalle non ha diritto alla maternità.
Asili nido
Strutture educative e di welfare fondamentali per tutte le famiglie, lo sono ancora di più nelle situazioni di disagio. Infatti qui le priorità di entrata si invertono. Ad avere la precedenza nelle graduatorie per i nidi (al 90% a gestione comunale), sono le donne senza lavoro, le mamme single, le famiglie con redditi bassi, i bimbi con handicap. E dove i nidi funzionano, pochissimo al Sud, sempre di più al Nord e al Centro, il sostegno è evidente. A parte casi d’eccellenza come Reggio Emilia, o l’Alto Adige, molti nidi pubblici sono aperti dalla prima mattina al pomeriggio e offrono buoni servizi. Ma la crisi oggi rende sempre più difficile a molte famiglie riuscire a pagare la mensa dell’asilo. E così le madri “atipiche” smettono di cercare un’occupazione e restano a casa con i figli. Riportando la condizione femminile indietro di decenni.
Sostegni economici
Esistono assegni familiari e assegni di maternità. Possono erogarli i comuni, o possono essere misure decise dallo Stato. Ma come ben racconta la lettera inviata a Repubblica accedere ai “fondi per il terzo figlio” o ai vari “bonus bebè”, è spesso una tale corsa ad ostacoli, tra trappole burocratiche e vincoli di reddito, che soltanto un irrisorio numero di madri riesce ad ottenerli. E si torna poi alla discriminazione tra le “dipendenti” e le “atipiche”. Il voucher della riforma Fornero ad esempio, quegli assegni da 300 euro mensili da destinare alle baby sitter per le madri che volessero tornare in anticipo al lavoro, sono destinati unicamente alle dipendenti. O alle iscritte alle gestione separata dell’Inps. Per tutte le altre, per cui quei 300 euro al mese avrebbero forse costituito un sussidio fondamentale, non è previsto nulla.
Congedi per la malattia dei figli
Non è molto quello che spetta a chi ha un contratto stabile, ma è qualcosa. I genitori di bambini sotto gli otto anni, possono astenersi dal lavoro per cinque giorni ogni 12 mesi per malattia del figlio. Per le lavoratrici precarie invece, la malattia del loro bebè resta un fatto privato. A meno di una nonna disponibile o di una vicina collaborativa, quel giorno anche la madre “atipica” resterà a casa. Ma nessuno a lei riconoscerà economicamente il diritto ad accudire un bambino con la febbre.
CARA BELINDA, HANNO CALPESTATO I SUOI DIRITTI. INTERVERRO'.
di Marianna Madia
Cara Belinda,
la sua lettera di donna, madre, e lavoratrice autonoma è l’emblema di ciò di cui dobbiamo occuparci come Governo. Lei ha perfettamente ragione e io la ringrazio perché alla sua indignazione non segue la rassegnazione, altrimenti non avrebbe scritto questa lettera.
La maternità non è solo un’esperienza intima, faticosa e meravigliosa, e quindi un diritto che va salvaguardato. È il modo con cui un Paese decide il futuro della sua stessa società. In realtà quello che oggi deve cambiare nella testa di noi legislatori e di chi fornisce servizi è che il precario e’ diventato il più tipico fra i lavoratori, perché in questa condizione sono ormai milioni di lavoratrici e lavoratori. Si tratta di una condizione di vita che accomuna moltissimi italiani e italiane, e sono queste ultime le più esposte a un altro dei punti deboli del nostro sistema: la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. È proprio la conciliazione uno degli interventi che ritengo più necessari nel Jobs Act ma anche nella riforma della pubblica amministrazione.
Come anche lei ha avuto modo di vivere sulla sua pelle, di leggi ce ne sono molte, ma spesso il problema è l’attuazione; facciamo leggi che non vengono applicate, sanciamo diritti che non possono essere concretamente esercitati, il che è quasi peggio perché assume il sapore della beffa. Lei racconta di file e interlocuzione interminabili, senza il giusto esito, per cercare di vedere riconosciuto un suo diritto, che è il diritto di molte e molti. Se esiste il diritto a percepire un assegno sociale, questo deve poter essere esercitato in tempi rapidi e certi. E la pubblica amministrazione deve essere d’aiuto e non un freno. L’attuazione delle leggi è una responsabilità politica e non amministrativa ed è esattamente lo scarto rispetto al passato su cui ci stiamo impegnando.
Per questo, in Senato, durante la discussione sulla riforma della pubblica amministrazione, ho chiesto a tutti un esercizio di democrazia: impegniamoci nel monitorare, segnalare e quindi garantire che nessuna delle norme che abbiamo scritto rimanga inattuata. Lettere come la sua sono preziose per il nostro lavoro perché è solo con l’aiuto quotidiano dei cittadini che noi riusciamo a migliorare la qualità della nostra azione. Credo non sia solo una questione di norme ma di persone, le quali, ognuna assumendosi il proprio grado di responsabilità — io più di tutti — siano partecipi di questo cambiamento necessario. Le motivazioni, i dinieghi che ha ricevuto danneggiano certamente lei, ma anche i tanti lavoratori che operano con efficienza cercando di risolvere problemi, senza fermarsi alla “risposta più semplice”. Le verifiche sono dovute e a questo proposito le chiedo di scrivermi ancora a ministropa@governo. it per indicarmi i dettagli utili per approfondire e dare seguito alla sua lettera.
Ma non basterà a darle le risposte che sarebbero dovute arrivare per tempo e il cui peso dell’urgenza sento molto sulle mie spalle. Quello che posso e desidero dirle e’ che quando una donna non dovrà scegliere di essere lavoratrice o madre ma potrà esercitare incondizionatamente la propria identità plurima e ricca di diritti, con il rispetto e il sostegno ai tempi della maternità, avremo vinto tutti e tutte insieme. Sentirò, in quel momento, di aver fatto il mio dovere. Anche grazie a lettere come la sua che, nonostante tutto, restituiscono la fiducia nell’altro.
Marianna Madia è Ministro della Pubblica Amministrazione