Huffington post, 17 settembre 2014
La scusa “ce lo chiede l’Europa” oppure “ce lo chiedono i mercati” non tiene. E’ sempre più una coperta corta che non riesce a nascondere le vergogne del governo italiano e della classe dirigente nostrana. Il caso dell’articolo 18 è emblematico da questo punto di vista. Un intervento riduttivo c’è già stato, ma la giaculatoria continua. Renzi si appresta, sotto il ricatto delle elezioni anticipate, a toglierlo di mezzo. Lo farà con decreto o con una legge delega, lasciando le cose più nel vago per smorzare un po’ lo scontro (ma in questo caso contravvenendo all’articolo 76 della nostra Costituzione che prevede la “determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”)? Non lo sappiamo. Tuttavia che ne abbia parlato esplicitamente con Draghi o meno, è chiara l’intenzione del nostro Presidente del Consiglio di fare pesare sulla bilancia europea la cancellazione dell’articolo 18 per avere maggiore tolleranza sui conti dell’Italia che continuano a non tornare.
Ma è proprio vero che agli imprenditori esteri interessa la cancellazione dell’articolo 18 per potere investire in Italia? A leggere il recentissimo rapporto di midterm dell’Ocse – ne riferisce anche il Sole24Ore - non sembra affatto. Il rapporto dell’organizzazione che raccoglie i paesi maggiormente sviluppati nel mondo (34 paesi aderenti) vede nero per quanto riguarda l’Eurozona. Per l’Italia la previsione per fine 2014 è di un Pil in calo dello 0,4%. Il pericolo maggiore – e non ci vuole per la verità molto per comprenderlo – è individuato nella deflazione che comporterebbe un lungo periodo di recessione e stagnazione, con conseguente aumento del debito.
Quindi Rintaro Tamaki, il capo economista pro tempore dell’organizzazione parigina, sostiene che le retribuzioni del lavoro dipendente devono aumentare. E’ singolare che sia l’Ocse a dirlo mentre i sindacati tacciono da troppo tempo su un tema di questa natura, o sono assai timidi ad affrontarlo. E’ proprio vero che siamo in un periodo di grande crisi, non solo economica, ma culturale, di ruoli e di identità.
Il primo punto della ricetta Ocse riguarda quindi l’incremento dei consumi popolari, della domanda interna, che non può aversi senza un incremento retributivo generalizzato e continuativo. Altro che 80 euro una tantum o blocco dei contratti nel pubblico impiego!
La seconda raccomandazione contiene una critica alla governance dell’Europa in materia di rigore e austerità. Il rapporto Ocse chiede apertamente che venga rallentata la tempistica del risanamento dei conti pubblici affinché si possa favorire gli investimenti ovviamente da parte dello stato. Altro che fiscal compact, che prevede invece per venti anni la riduzione ogni anno del 3% del bilancio italiano (quindi 48 miliardi di euro di spesa in meno) per venti anni per dimezzare il nostro debito! Altro che privatizzazioni a go-go!
La terza soluzione riguarda una riduzione del cuneo fiscale, ovvero della tassazione del lavoro. Qui l’Ocse vede la questione dal punto di vista dei datori di lavoro piuttosto che da quello dei lavoratori. Ma avendo già detto prima che le retribuzioni dei medesimi devono aumentare, si comprende che essa non pensa che salari e stipendi possano aumentare solo per via fiscale, ma attraverso la contrattazione tra le parti. Il che richiede un aumento delle tutele dei diritti dei lavoratori, non certo una loro riduzione. Altro che cancellazione dell’articolo 18 o riduzione al solo livello aziendale della contrattazione sindacale!
Infine il capo economista dell’Ocse invita la Bce a fare di più. A spingersi fino a all’acquisto massiccio dei titoli di stato. Ad attuare il famoso quantitative easing, in pratica a immettere nuova liquidità nei mercati, come ha fatto la Federal Reserve americana. Altro che fare il cane da guardia dell’inflazione che nel frattempo si è rovesciata nel suo contrario!