Il manifesto, 14 ottobre 2014 (m.p.r.)
Anche in Italia si sta svolgendo un serrato e avvincente dibattito intorno al tema degli ogm a cui stanno partecipando personalità di spicco del mondo accademico, della politica e del settore principale di riferimento che è quello agricolo. È importante riconoscere l’utilità del dibattito e il valore delle posizioni di tutti gli attori coinvolti. In molti casi, come ha sostenuto giustamente Carlo Petrini, le posizioni dei cosiddetti stakeholders, i portatori di interessi, rimangono nella penombra come è il caso delle stesse multinazionali che molto volentieri si sottraggono al dibattito pubblico, interessate come sono maggiormente ad occuparsi di influenzare direttamente la politica attraverso le loro lobby piuttosto che informare i cittadini. In molti altri casi, come quello del New Yorker, il dibattito scade a livello di attacchi personali, sospetti, illazioni, velate e non, nei confronti di uno dei rappresentanti più significativi del movimento ambientalista globale: Vandana Shiva. Un dibattito, in cui ognuno mette a disposizione dell’opinione pubblica la propria diretta esperienza e conoscenza, è invece utile alla vita democratica dei paesi.
Navdanya significa nove semi e la fondazione, diretta da Vandana Shiva, si occupa prevalentemente di riconoscere, tutelare e valorizzare il patrimonio sementiero tanto importante per l’umanità quanto la disponibilità di acqua. La questione degli ogm è dunque una questione che potremmo definire come “aggregata” alla mission principale dell’associazione ed è trattata proprio dal punto di vista della difesa della biodiversità.
Gli ogm non sono i soli nemici della nostra biodiversità, che negli ultimi anni è stata erosa in maniera quasi irreparabile, ma, in questa sede, è utile discutere proprio del loro impatto sulle nostre vite e su quella del pianeta. La prima cosa da sottolineare è questo interessante riferimento al paradigma scientifico. Chi è a favore degli ogm è in linea con l’evoluzione scientifica, un progressista; chi non lo è, diventa invece un retrogrado, un conservatore. Questa visione manichea presenta aspetti paradossali.
Gli ogm sono stati dapprima introdotti negli Usa secondo il cosiddetto principio della “sostanziale equivalenza”. In altre parole, se un’invenzione è sostanzialmente equivalente a qualcosa di già esistente non ha bisogno di particolari sperimentazioni e può essere lanciata sul mercato. A pensarci bene è la stessa tesi espressa dal professor Veronesi. Il dna ha una struttura estremamente semplice che può essere facilmente manipolata senza necessità di preoccuparsi più di tanto. Ora, questo approccio all’americana all’esistente, e soprattutto al commerciabile, non è accettato dall’Unione Europea dove vige il principio di precauzione. In altre parole, se un’azienda inventa un nuovo prodotto deve essere dimostrato che non è nocivo prima di essere immesso sul mercato. La posizione dell’Ue è chiara: non esistendo un consenso scientifico, gli ogm non possono essere dichiarati sicuri. Nel dubbio, vige il principio di precauzione che dovremmo difendere perché protegge le nostre vite da invenzioni che sono spesso più indirizzate a fare profitti sul mercato piuttosto che perseguire il bene comune.
Ogni parte porta, d’altro canto, le sue argomentazioni a riguardo. Anche Navdanya ha pubblicato un rapporto sull’argomento raccogliendo gli studi di moltissimi ricercatori che dimostrano la nocività degli ogm. Vi sono nel mondo studi similari che dimostrano l’esatto contrario. L’Ue ha concluso che non esiste possibilità di dichiarare gli ogm sicuri fuori da ogni ragionevole dubbio. Ed ha applicato il principio di precauzione per salvaguardare i suoi cittadini. La polemica sugli ogm comprende anche questo sacrosanto principio. Allora viene da pensare: è forse un caso che questa polemica viene innescata durante le consultazioni segrete per l’approvazione del Ttip, il trattato commerciale fra Usa e Ue che, guarda caso, ha fra i suoi obiettivi proprio quello di sbarazzarsi del principio di precauzione europeo? È forse un caso che le multinazionali dell’agribusiness siano i maggiori lobbisti per l’approvazione dell’accordo? Come possiamo allora costruire un’opinione razionale e condivisa su questo argomento? Soprattutto quando i promotori degli ogm ci dicono che la nuova tecnologia potrebbe rappresentare la panacea di ogni male al mondo?
Uno degli aspetti che sembra mancare nell’analisi di Veronesi è quello della contestualizzazione, quasi che il mondo finisse sulla soglia dei laboratori. Gli ogm non vengono fuori dal nulla, o per nessun motivo. Non sono liberamente a disposizione di tutti e la loro applicazione, al di là della diatriba scientifica, comporta contraccolpi ambientali, economici e sociali notevoli. Possiamo allora dire con sicurezza che i semi e i prodotti ogm nel campo dell’agricoltura hanno un impatto devastante sul settore. Gli ogm sono infatti proprietà delle multinazionali che, attraverso la loro immissione sul mercato, rimodellano i sistemi agricoli di tutto il mondo. A farne le spese sono i piccoli produttori che con le loro colture tradizionali non possono tenere il passo delle produzioni industriali sovvenzionate. Con i metodi di coltivazione intensiva la necessità di manodopera viene inoltre ridotta. Non i profitti però. Cosa succede agli agricoltori nel frattempo?
Quello che è accaduto in Sud America e in India è, per esempio, emblematico. Centinaia di migliaia di persone si muovono dalle campagne alla città andando ad ingolfare fetide baraccopoli. In altre parole, il rischio è quello di alimentare il sistema dei grandi latifondi e inondare le città con una massa di disperati. Un danno economico, sociale e anche culturale considerando la perdita delle antiche conoscenze di cui le popolazioni rurali sono depositarie. La favola che gli ogm possano rispondere al problema della fame nel mondo e del sovrappopolamento è, per l’appunto, una favola. Quello che importa sono i contraccolpi di un sistema industriale basato sugli ogm sulle economie, sulle popolazioni e sulle culture locali. E questo impatto risulta essere, secondo gli studi effettuati da Navdanya e da molte altre organizzazioni che lavorano fuori dai laboratori e direttamente sul campo, non equo, non ecologico, non sostenibile. A guadagnarci sono ancora una volta i pochi, a perderci i molti.
Questa schematica analisi vuole solo dimostrare quanto i fenomeni siano interconnessi e come leggere un articolo sulla valenza della ricerca scientifica transgenica può essere interessante in se stesso ma non esaustivo. La ricerca scientifica deve essere al servizio dell’umanità e non viceversa. Quando ciò accadrà anche nel settore agricolo, a beneficio di contadini e consumatori e non delle multinazionali, Vandana Shiva sarà, con tutta probabilità, la prima persona ad esultarne.