Le strategie del presidente per convincere il suo paese della necessità di limitare la diffusione delle armi. Contro di lui le lobby e l'opinione pubblica. Il discorso del Presidente Obama, la cronaca di Giulia D'Agricolo Vallan, le dichiarazioni della moglie di una vittima. La Repubblica, il manifesto Il Fatto Quotidiano, 9 dicembre 2016 (m.p.r.)
La Repubblica
PERCHÈ VOGLIO TOGLIERE LE PISTOLE ALL'AMERICA
di Barack Obama
L’epidemia di violenza con armi da fuoco nel nostro Paese rappresenta una crisi. I morti e i feriti per arma da fuoco costituiscono uno dei maggiori pericoli per la salute e la sicurezza del popolo americano. Ogni anno, oltre trentamila americani perdono la vita per colpa delle armi. Suicidi. Violenze domestiche. Sparatorie fra bande criminali. Incidenti. Centinaia di migliaia di americani hanno perso fratelli e sorelle o seppellito i loro figli. Siamo l’unica nazione avanzata sulla terra che assiste con una simile frequenza a una violenza di massa di questo genere. Una crisi nazionale come questa esige una risposta nazionale.
Ridurre la violenza con armi da fuoco sarà difficile. È evidente che con questo congresso non sarà possibile giungere a nessuna riforma di buon senso che limiti la diffusione delle armi. Non sarà possibile durante il mio mandato. Tuttavia, ci sono delle misure che possiamo intraprendere da subito per salvare vite umane. E tutti noi - a ogni livello di governo, nel settore privato e in quanto cittadini - dobbiamo fare la nostra parte. Abbiamo tutti una responsabilità. Martedì ho annunciato le nuove misure che intraprenderò, nei limiti della mia autorità legale, per proteggere il popolo americano e impedire che criminali e individui pericolosi possano dotarsi di armi da fuoco.
Fra queste misure figurano: fare in modo che tutti quelli che sono coinvolti nella vendita di armi da fuoco conducano verifiche sui precedenti dell’acquirente; potenziare l’accesso alle terapie contro le malattie mentali; migliorare la tecnologia per la sicurezza delle armi da fuoco. Queste misure non potranno impedire tutti gli atti violenti e non potranno salvare tutte le vite umane, ma se anche una sola vita venisse salvata grazie a esse, vorrà dire che ne valeva la pena. Continuerò a fare tutte le azioni possibili come presidente, ma oltre a questo farò tutte le azioni possibili come cittadino. Non farò campagna, non voterò e non sosterrò nessun candidato, neanche del mio partito, che non sostenga riforme di buon senso per limitare le armi. E se il 90 per cento di americani che sostengono queste riforme di buon senso faranno come me, riusciremo a eleggere i rappresentanti che ci meritiamo.
Tutti noi abbiamo un ruolo da giocare, anche chi possiede un’arma da fuoco. È necessario che la stragrande maggioranza di persone responsabili che possiedono un’arma, che piangono con noi dopo ogni strage dovuta alle armi, che sostengono misure di buon senso per la sicurezza delle armi da fuoco e che ritengono che le loro posizioni non siano adeguatamente rappresentate, si schierino con noi e pretendano che i politici ascoltino la voce delle persone che dovrebbero rappresentare.
Anche l’industria delle armi deve fare la sua parte. A cominciare dai produttori.
In America pretendiamo che i prodotti di consumo rispettino requisiti stringenti per garantire la sicurezza delle nostre famiglie e delle nostre comunità. Le automobili devono rispettare standard di sicurezza e di emissioni rigorosi. I prodotti alimentari devono essere puliti e sicuri. Non possiamo sperare di spezzare il circolo vizioso della violenza con armi da fuoco finché non imporremo all’industria delle armi di adottare semplici misure per rendere più sicuri anche i suoi prodotti. Se un bambino non può aprire un tubetto di aspirina, dobbiamo fare in modo che non possa nemmeno premere il grilletto di una pistola.
Eppure, oggi, l’industria delle armi non rende conto a nessuno. Grazie a decenni di sforzi della lobby delle armi, il Congresso ha impedito ai nostri esperti in sicurezza dei prodotti di consumo di imporre che le armi da fuoco siano dotate dei più elementari dispositivi di sicurezza. Hanno reso più complicato, per gli esperti di salute pubblica del governo, condurre ricerche sulla violenza con armi da fuoco. Hanno garantito ai produttori di armi un’immunità di fatto dalle cause legali, che consente loro di vendere prodotti letali senza affrontare quasi mai nessuna conseguenza. Se si stesse parlando di sedili difettosi delle automobili, noi, come genitori, non lo accetteremmo. Perché dovremmo tollerarlo per prodotti - le armi da fuoco - che uccidono ogni anno così tanti bambini?
I produttori, che stanno vedendo crescere enormemente i loro profitti, dovrebbero investire nella ricerca per rendere le armi da fuoco più intelligenti e sicure, sviluppando per esempio sistemi di micropunzonatura per le munizioni, che possono aiutare a ricollegare i proiettili trovati sulle scene del delitto ad armi specifiche. E come tutte le industrie, i produttori di armi hanno il dovere, nei confronti dei loro clienti, di essere cittadini migliori vendendo le armi solo a soggetti responsabili.
È qualcosa che riguarda tutti noi. Non ci si chiede di dar prova dell’eroismo del quindicenne del Tennessee Zaevion Dobson, che prima di Natale è stato ucciso facendo scudo ai suoi amici. Non ci si chiede di mostrare la tolleranza dei tantissimi familiari delle vittime che si sono dedicati a mettere fine a questa violenza senza senso. Ma dobbiamo trovare il coraggio e la volontà di mobilitarci, organizzarci e fare quello che un Paese forte e sensibile fa di fronte a una crisi come questa.
Dobbiamo tutti pretendere leader abbastanza coraggiosi da combattere le menzogne della lobby delle armi. Dobbiamo tutti schierarci in difesa dei nostri concittadini. Dobbiamo tutti pretendere che i governatori, i sindaci e i nostri rappresentanti al Congresso facciano la loro parte. Cambiare non sarà facile. Non succederà dall’oggi al domani. Ma anche il diritto di voto per le donne non è stato conquistato dall’oggi al domani. La liberazione degli afroamericani non è avvenuta dall’oggi al domani. La conquista dei diritti per lesbiche, omosessuali, bisessuali e transessuali in America ha richiesto decenni di sforzi.
Questi momenti rappresentano la democrazia americana, e il popolo americano, nella loro veste migliore. Per fronteggiare questa crisi ci sarà bisogno della stessa incrollabile determinazione, per molti anni, a tutti i livelli. Se riusciremo ad affrontare questo momento con la stessa audacia, potremo rendere realtà il cambiamento che cerchiamo. E lasceremo ai nostri figli un Paese più forte e più sicuro.
Traduzione di Fabio Galimberti
Il manifesto
OBAMA PORTA LA BATTAGLIA PER IL CONTROLLO DELLE ARMI IN TV
di Giulia D’Agnolo Vallan
New York. Lo aveva fatto per la riforma sanitaria e per l’ordine esecutivo che avrebbe firmato legalizzando temporaneamente milioni di migranti: quando il Congresso gli volta la schiena, Obama scavalca il press corp della Casa bianca e porta le sue iniziative on the road, direttamente all’America. Dopo l’annuncio di martedì a Washington, è la volta della sua battaglia con le armi.
Prima tappa (in coincidenza con l’uscita sul New York Times di un un Op Ed, un editoriale presidenziale), la George Mason University in Virginia, dove Obama ha presenziato un town hall televisivo, trasmesso live da CNN e condotto da Anderson Cooper. Il pubblico in sala era scelto tra i rappresentanti di entrambe «le fazioni». Ma la National Rifle Association, invitata da CNN, ha rifiutato di esserci («non riteniamo necessario partecipare a un’iniziativa promozionale della Casa bianca» dice il loro comunicato). È andata però un’eroina della lobby delle armi, Taya Kayle (vedova dell’American sniper Chris Kayle), la prima domanda.
All’appassionata difesa del diritto alla pistola per difendere la famiglia, espressa dalla signora, Obama ha risposto con un aneddoto: «Io vengo da Chicago, dove le morti per armi da fuoco stanno facendo stragi di minorenni. La prima volta che sono stato in Iowa, per una campagna presidenziale, a un certo punto Michelle si è girata e mi ha detto: “Sai cosa? Se vivessi qui, in una fattoria isolata, lontano dallo sceriffo, e con il rischio che un malintenzionato si presenti alla porta, forse un’arma la vorrei anch’io..”. Le diverse realtà del nostro paese rendono questo un problema molto complesso».
Seduto informalmente su uno sgabello alto, il pubblico disposto a trecentosessanta gradi intorno a lui, il presidente ha mantenuto lo stesso tono, fermo ma colloquiale, rassicurante, per tutta la serata, tornando spesso sui temi elencati nell’annuncio dell’altro giorno: il bisogno di chiudere i loopholes (le zone grigie dell’attuale legislazione che permettono il commercio quasi incondizionato di armi via internet e presso i gun show, le fiere di settore), di studiare tecnologie per rendere le pistole più sicure, di investire nella cura delle malattie mentali…Tra i suoi interlocutori, un famoso sceriffo, una donna stuprata che vuole armarsi, un teen-ager di Chicago che ha perso il fratello e, insieme al marito astronauta, Gabrielle Gifford, la deputata dell’Arizona crivellata di proiettili un paio di anni fa.
Reiterando la promessa fatta nell’editoriale uscito oggi sul New York Times, Obama ha annunciato che non darà il suo sostegno ai candidati («anche quelli democratici») che si oppongono a delle «misure ragionevoli di gun control». L’enfasi che il presidente ha messo, sia ieri che alla Casa bianca, sul contesto elettorale non è gratuita. Considerata per anni una crociata politicamente dannosa, quella per il controllo delle armi conta oggi dalla sua alcuni sponsor molto importanti, tra cui Michael Bloomberg. È proprio dall’ex sindaco di New York - e dal suo gruppo Everytown for Gun Safety - che viene un’altra pedina di questa strategia della comunicazione che (come il town hall del presidente) sta cercando di raggiungere gli americani in modo diverso.
Con l’aiuto di Spike Lee (un fan storico della pallacanestro, il cui ultimo film,
Chi-raq, tratta proprio l’effetto devastante della violenza d’arma da fuoco a Chicago), i capitali di Bloomberg sono infatti serviti a produrre una serie di spot (diretti da Lee) in cui alcune star della Nastional Basketball Association (tra cui Carmelo Anthony, Stephen Curry dei Golden State Warriors, Chris Paul dei Los Angeles Clippers) parlano dell’effetto delle violenza da arma da fuoco sulle loro vite. Nel primo degli spot, andato in onda il giorno di Natale, non vengono nemmeno pronunciate le parole «
gun control». E i portavoce della NBA hanno dichiarato che la campagna pubblicitaria «non promuove nessuna legge o cambio di politica», ma va intesa come un
public service announcement «per portare attenzione sul problema della sicurezza personale nelle nostre comunità». Certo, il messaggio dello spot, tra le righe, è molto chiaro, e l’entrata nel dibattito della NBA e dei suoi giocatori un passo di grandissima importanza, in quello che sembra sta delineandosi come il primo sforzo congiunto, a livello nazionale, di costruire un’alternativa sofisticata alla micidiale macchina promozionale della NRA.
Il Fatto Quotidiano
LA VEDOVA DI AMERICAN SNIPER BACCHETTA OBAMA: "SULLE ARMI SOLO FALSE SPERANZE"
Il marito era un soldato diprofessione, ormai conosciutodal pubblico per il film American Sniper,nel quale Clint Eastwood raccontala vita di Chris Kyle, il cecchino dei NavySeal. Gli iracheni lo chiamarono il “diavolodi Ramadi”, lui uscì vivo dalla guerraper poi essere ucciso nel 2013 da unex commilitone disturbato, in un poligonodi tiro, negli Stati Uniti.
La moglie di Kyle è entratanel dibattito sulle armie le leggi restrittive voluteda Obama, ma per criticarela linea del presidente:«Voglio sperare di continuaread avere il diritto diproteggere me stessa» hadetto Taya intervenuta al dibattito conObama, mandato in onda dalla Cnn.La signora Kyle ha rivendicato di fronteal presidente il diritto di possedere armi.«I controlli - ha affermato - non servirannoa proteggerci». Secondo la vedovaKyle, le misure proposte da Obamanon sono in grado di impedire lestragi di massa, perché «le persone chedecidono di uccidere infrangonole leggi e nonhanno lo stesso codice dicondotta morale dei cittadinionesti». Insomma, haconcluso la donna, dinanzialle misure della CasaBianca «si prova un falsosenso di speranza».