«. La Repubblica, ed. Firenze 4 novembre 2016 (c.m.c.)
Quattro novembre 1966 — 4 novembre 2016. In mezzo 50 anni in cui, per affrontare il pericolo alluvioni a Firenze, non è stato fatto praticamente niente. Se non qualche intervento locale, come l’innalzamento delle spallette sui Lungarni e lo scavo del letto dell’Arno in modo che adesso ci possono passare 3.800 metri cubi di acqua al secondo contro i 3.300 del ’66 e i 4.000 che sono il limite massimo, come spiega Mauro Grassi, direttore di Italia sicura, la struttura di missione del governo per il rischio idrogeologico.
Oltre che la costruzione della diga di Bilancino che lamina le acque della Sieve, che allora si aggiunse all’Arno moltiplicando l’inondazione. Niente interventi strutturali, però, se non verso San Miniato, Empoli e Pisa e nell’alto Casentino. Ma niente di strutturale che protegga Firenze. «Se agli interventi locali aggiungiamo l’affinamento delle previsioni meteo e la nascita della protezione civile il rischio a Firenze è diminuito, dal ’66, del 30 per cento», dice Erasmo D’Angelis, coordinatore di Italia sicura.
Il restante 70 per cento del rischio è ancora lì, in agguato. Anzi, il restante 30 per cento è virtuale. Perché, come depreca Grassi, «dall’alluvione a oggi si è costruito moltissimo, troppo, soprattutto fino al 1970 quando c’era una possibilità di costruzione quasi illimitata». Più immobili, più attività. E di maggior valore rispetto al ’66. «Tanto che si ipotizza, in caso di alluvione adesso, un danno di 7 miliardi solo a Firenze. Una cifra pazzesca che induce Italia sicura a ragionare nell’ottica del “whatever it takes”, ossia tutto quello che ci vuole. Tradotto, significa che a partire dalle città metropolitane, Firenze, Genova e Milano, si stanzieranno tutti i finanziamenti necessari a evitare il rischio».
Per ora però il pericolo c’è. «L’aumento delle attività e del loro valore fa sì che il rischio, invece di diminuire, sia aumentato », dice preoccupato il coordinatore del Comitato Firenze 2016, Giorgio Federici. Che aggiunge: «Per fortuna ora ci si sta muovendo». Ma per avere la possibilità di gestirlo questo rischio dovremo attendere il 2021, prevede D’Angelis. Che spiega: «Stiamo correndo contro il tempo per fare adesso tutto quello che era stato progettato nel 1968 e poi non realizzato ».
Per gestire il rischio a Firenze sono previste quattro casse di espansione nei dintorni di Figline e l’innalzamento di 9 metri della diga di Levane, di cui cinque riempibili d’acqua, più altre casse di espansione nella Valdisieve. Per tutto questo sono stati stanziati 200 milioni spendibili via via che i progetti partono: 130 del governo e 70 della Regione. «La prima cassa di espansione a Figline sarà finita in questi giorni — annuncia D’Angelis — I cantieri per le altre tre e per Levane sono in partenza. Dopodiché inizierà la progettazione per la Valdisieve». L’Autorità indica le necessità e fa la modellistica, la Regione progetta e gestisce i cantieri, governo e Regione finanziano.
Uno sforzo tardivo ma che D’Angelis giura sarà fatto interamente. Salvo, però, l’imponderabile. Lo dice lo stesso coordinatore di Italia sicura che, pur mostrandosi ottimista «perché ora esistono i piani della protezione civile e quelli per mettere in sicurezza l’arte», avverte dei «possibili scherzi del cambio climatico». Marcello Brugioni, responsabile dell’area rischio idraulico dell’Autorità di bacino va oltre: «Non esiste la sicurezza assoluta.
Meglio non illudere e deresponsabilizzare. Possiamo solo dire se il rischio può o non può essere gestito». D’Angelis sottolinea che nel ’66 fu «una quasi irripetibile tempesta perfetta che riuscì a mettere insieme una serie di coincidenze disastrose». Grassi ricorda che «furono dieci giorni di piogge, più i tre ultimi di precipitazioni come si verifica ogni duecento anni». Potremmo pensare di esserne ragionevolmente fuori per molto tempo a venire e forse per sempre.
Invece mai rilassarsi, raccomanda Brugioni: «Gli interventi programmati nell’aretino e nella Valdisieve sono quelli giusti e prioritari. Ma siccome, come nel terremoto, non si può mai parlare di sicurezza totale, è necessario informare i cittadini dei rischi e di cosa si deve fare per fronteggiarli. Come l’Opera di Santa Croce che ha comunque fatto il piano di immediata messa in sicurezza del Crocifisso di Cimabue in caso di pericolo». Anche per i cittadini esistono, secondo Brugioni, «ottimi piani della protezione civile ». Bisogna però diffonderli, farli conoscere e abituare le persone a metterli in pratica.