Il Forum con il ministro dell’Interno Minniti nella redazione di Repubblica è un documento che offre spunti preziosi di riflessione oltre a sancire l’esaurirsi di ogni barlume progressista nella compagine di governo. “Il lavoro che ho cominciato quattro mesi fa al Viminale – dice Minniti – può piacere o meno. Ma è figlio di un metodo, di un disegno, e di una certezza. Che sulle questioni della nostra sicurezza, si chiamino emergenza migranti, terrorismo, reati predatori, incolumità e decoro urbano, legittima difesa, non si giocano le prossime elezioni politiche. Ma il futuro e la qualità della nostra democrazia”.
Vero, è in gioco proprio questo: il futuro e la qualità della nostra democrazia, e l’impressione è che il metodo sia ormai non dire ciò che si vuol fare, per poi farlo davvero. Il linguaggio è la chiave di tutto e chi vuole oggi ridisegnare il mondo, deve iniziare a farlo modificando il significato delle parole.
E così le imbarcazioni delle ong che nel Mediterraneo portano in salvo vite (uomini, donne e bambini, perché “vite” è parola troppo generica) diventano “taxi” nelle parole del vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, e così l’inchiesta della Procura di Trapani secondo cui “in qualche caso navi delle ong hanno effettuato operazioni di soccorso senza informare la centrale della Guardia costiera” e quindi “per la legislazione italiana si potrebbe dire che viene commesso il reato di favoreggiamento di immigrazione clandestina ma non è punibile perché commesso per salvare una vita umana”, diventa: le ong hanno rapporti con gli scafisti.
I virgolettati appartengono al Procuratore della Repubblica di Trapani Ambrogio Cartosio, che quelle parole le ha pronunciate dinanzi alla commissione Difesa del Senato. Dunque personale delle ong è sotto inchiesta per un reato che non può essere punito e a dirlo è lo stesso titolare dell’indagine: non si capisce allora perché il suo Ufficio non abbia ancora chiesto l’archiviazione degli atti. Ma mettere in fila i fatti è inutile perché l’espressione “taxi del Mediterraneo” vi è rimasta dentro anche se è stata smentita in ogni luogo. Rimbomba nello stomaco e vi ricorda ogni volta che con la pensione che prendete non ce la fate a mantenere i due figli che ancora non hanno un lavoro dignitoso. E vi ricorda che è assurdo a 35 anni lavorare 12 ore al giorno, senza contratto, per portare a casa 700 euro al mese. E vi ricorda che avete dovuto lasciare l’Italia per andare a Londra, a Lipsia o in Australia, che soffrite come cani, perché avete un lavoro ma vi manca tutto il resto.
E allora i numeri, le statistiche, diventano offensive perché non tengono conto dei sacrifici, delle sofferenze, della lontananza, delle rinunce, dei sogni infranti. E allora se siamo 60 milioni e ogni anno arrivano in Italia 180mila migranti, che senso ha fare un calcolo, che senso ha dirci che la proporzione di 1 (migrante) a 333 (italiani) è gestibile e non rappresenterebbe un’emergenza? Nessun senso, perché io continuo a mantenere con una pensione di 1.800 euro al mese due figli che non trovano lavoro. E allora al diavolo i migranti e al diavolo anche le ong che ce li portano in Italia. E ancora, che senso ha citare le fonti del Viminale per dire che i reati predatori sono in diminuzione? Nessun senso se lo stesso ministro degli Interni racconta che nel 1999, parlando a Bologna con “un vecchio compagno”, capì che “la sicurezza è un sentire”, che “dove si ragiona con le statistiche non c’è sentimento”. E fu a Bologna, nel 1999, che Minniti capì ciò che Steve Bannon, il consulente strategico di Trump, e Beppe Grillo, garante del M5S, avrebbero capito solo più tardi (molto più tardi) usando la massa di informazioni provenienti dai social e dal web: la statistica vera, quella dei tempi moderni, quella che serve alla politica, è la “scienza” che contempla solo lo stato d’animo delle persone, è quella che traccia gli umori dell’opinione pubblica, che come in un circolo vizioso può essere agevolmente creata diffondendo dati e notizie falsi o verosimili.
Quindi se l’opinione pubblica ti dice che si sente invasa, non puoi rispondere come sarebbe giusto, ovvio, razionale e persino conveniente: la soluzione è dare permessi di soggiorno e consentire che in Italia si arrivi legalmente, perché ampliare le fasce di illegalità è sempre una scelta criminogena. Non puoi farlo. La soluzione è dire -come fanno i 5 Stelle - che le ong vanno fermate, fa nulla che nel frattempo muoiano uomini, donne e bambini perché si è troppo distanti per prestare soccorso. La soluzione è promettere di intensificare e migliorare gli accordi con Turchia e Libia, perché pagare per risolvere problemi lontano dall’Italia è di gran lunga più conveniente (in termini elettorali, sia chiaro, non di salvaguardia della tenuta democratica dell’Italia) che gestire problemi “in casa”. Che in Libia e Turchia i migranti siano stipati in lager, detenuti, torturati, violentati, sfruttati è abominevole, ma è un prezzo che siamo disposti a pagare, perché impedire i soccorsi in mare e bloccare i migranti a un passo dall’Europa è la risposta della politica agli umori della piazza. Su questo punto la posizione del centrosinistra non è per nulla cambiata rispetto ai tempi in cui – tolte poche eccezioni – assentì al trattato siglato da Berlusconi con Gheddafi.
Lo stesso vale per la legittima difesa: se l’opinione pubblica non si sente sicura, la soluzione è una legge ad hoc, che importa che sia chiaramente “inutile e confusa”, che importa che “già esisteva un canone normativo e veniva interpretato in modo favorevole a chi vantava la difesa”, serviva uno spot per questo governo che si è tradotto in un invito a prendere il porto d’armi e ad avere in casa una pistola. Ed è inutile che il segretario del Pd lamenti fantomatici errori: in questo agire c’è del metodo, poiché la matrice è lo stesso populismo penale che ha condotto all’introduzione dell’inutile reato di omicidio stradale. Si trova il tempo per discutere e votare leggi inutili (quando non dannose) e quelle di pubblica utilità, come l’introduzione del reato di tortura, restano ferme.
Sta accadendo questo: se ci si basa sui numeri per raccontare il mondo in cui viviamo si è accusati di fare propaganda e di farlo senza avere cuore, senza pensare che dietro i numeri ci siano persone. I numeri servono solo per avere misura delle dinamiche e non lasciarle all’istinto manipolatorio delle fazioni. Se ci si sforza di argomentare e utilizzare un metodo che abbia un minimo di attendibilità scientifica si rischia di fare la fine degli eretici bruciati sul fuoco dall’Inquisizione: sapere è una colpa e anche questo è un segno dei tempi. Dall’altra parte alla politica si chiede di limitarsi a raccontare ciò che sembra plausibile, anche se vero non è. Minniti potrà continuare a dire di non essere un esponente del populismo di destra, ma solo un vecchio compagno folgorato sulla via della voglia di sicurezza.
Oppure se ci piace possiamo chiamare le aspirazioni della piazza “oclocrazia”, prendendo il termine in prestito da Polibio , ossia governo della plebe, una degenerazione della democrazia. Un termine che non sarà difficile far passare come una forma di governo tradizionale ma moderna: il governo delle masse. Ma “masse” suona parola antica, vecchia, consumata e allora meglio il governo dei cittadini, ecco, così suona meglio.
Eppure l’oclocrazia è una degenerazione e non perché da pochi si passi a molti, a tutti, ma perché – come riflette Marco Revelli - quando le persone sentono che si è smarrito il valore dell’uguaglianza, c’è solo una cosa a cui ambiscono più di ogni altra, e non è la trasformazione sociale, ma la vendetta. Il governo della vendetta: contro i politici, contro i ricchi, contro i famosi, contro i migranti, contro le ong, contro i ladri.
Dire che i dati non servono, dire che l’analisi non serve, dire “dove si ragiona con le statistiche non c’è sentimento” significa solo nutrire questa vendetta e rendere i cittadini consumatori di rabbia. Alla sfiducia dei cittadini, alla loro volontà di far saltare il banco, la politica in questo momento non sta dando alcuno strumento di trasformazione, ma il più atroce dei diritti (che si traduca in diritto a sparare o a sentirsi padrone della propria terra), un diritto che consuma chi ne fa uso, illudendolo di far qualcosa per lenire il malessere e lo smarrimento che prova: il diritto alla vendetta.