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«La docente della Columbia University spiega: “Dove la sinistra tradizionale ha retrocesso, lì si sono manifestati due grossi movimenti di sostituzione. Ma perché un ragazzo che vive vicino a Potenza, che non sa come sbarcare il lunario, dovrebbe votare il Pd?”»
I partiti si sono indeboliti. La sinistra è in crisi profonda. Il populismo avanza. Mentre le elezioni italiane hanno celebrato la vittoria del Movimento cinque stelle e della Lega Nord, Nadia Urbinati, professoressa di Teoria politica alla Columbia University di New York, ha pubblicato l’ebook La sfida populista, curato insieme a Paul Blokker e Manuel Anselmi e presentato in occasione di “Democrazia Minima”, il primo forum sul futuro della politica e della cittadinanza attiva organizzato da Fondazione Feltrinelli.
«Dietro l’esito delle elezioni c’è certamente il declino della sinistra», spiega Urbinati. «Dove la sinistra tradizionale ha retrocesso, lì si sono manifestati due grossi movimenti di sostituzione. Ma perché un ragazzo che vive vicino a Potenza, che non sa come sbarcare il lunario, dovrebbe votare il Pd?».
Professoressa, cosa è successo alla sinistra italiana?
«Dal Pd ai cosiddetti secessionisti, oggi la sinistra non è più un punto di riferimento per larghi strati della popolazione. È diventata (e considerata) a tutti gli effetti il partito delle classi medie e medio-alte ben integrate, non in tensione verso l’emancipazione (a parte i diritti civili), ma attenta a conservare il proprio status. Un Pd che vince ai Parioli e perde nei quartieri popolari fa pensare».
Ma è un problema solo italiano?
«No, in Germania come ci ha detto Wolfgang Merkel è accaduta la stessa cosa. Il problema è che la sinistra è diventata l’élite intellettuale liberal-cosmopolita con valori non radicati nel Paese ma nel mondo vario. E invece il popolo più bisognoso, o comunque con meno strumenti culturali ed economici, è attaccato a delle comunità. Che sia la nazione - da qui arriva la rinascita del nazionalismo - o la rabbia collettiva delle plebi contro chi sta dentro il Palazzo - anche questo è il populismo dei Cinque stelle».
Ma Cinque stelle e Lega sono in grado di andare a colmare questo spazio vuoto lasciato dalla sinistra?
«Un po’ ci stanno provando e anche bene, con una divisione del lavoro che è ben evidente in Italia. A Nord e Sud avevamo due sinistre (poiché ci sono sempre state differenza tra sinistra del Sud e del Nord, di stile e contenuti) e ora abbiamo due anti-sinistre. Dove la sinistra storica ha retrocesso, lì si sono manifestati due grossi movimenti di sostituzione, anche questi diversi geograficamente».
Partiamo dal Nord, dove ha prevalso la Lega.
«Al Nord avevamo una sinistra molto organizzata e radicata, con associazioni, solidarietà strutturata a livello istituzionale (municipale e regionale), con un sistema di servizi e di reti di supporto, dalle cooperative ai sindacati alle associazioni, che hanno fatto il benessere e l’emancipazione di tre generazioni, dalla Seconda guerra mondiale agli anni Settanta. Nel mondo che deve difendere se stesso da un lato contro il liberismo imperante, e dall’altro contro le frontiere che si aprono non solo per merci e denaro, ma anche per gli esseri umani, si registra un rischio di abbassamento del livello della vita e del lavoro. Le esigenze di protezione si traducono in attaccamento al corrispettivo contemporaneo del vecchio partito identitario, il Partito comunista, che è la Lega. La Lega è il Partito comunista rovesciato perché ha simili caratteristiche organizzative e territoriali, radicate e identitarie, ma non ha una identità di classe. I leghisti non sono universalisti, ma sono identitari-localisti, difendono l’identità nazionale con il famoso “prima gli italiani degli altri”. Danno così un’ancora a questi beneficiari dello stato sociale che vogliono mantenere la loro condizione contro i rischi nuovi che vengono da fuori. Questa è la sinistra del centro Nord che si è tramutata in un’altra forma di identità».
E al Sud?
Al Meridione c’è stata tradizionalmente un’altra sinistra, più movimentista e populista, più adatta ad aderire alle pieghe di una società meno organizzata e con forme di degrado non tipiche di una società industriale. Pensiamo a com’era il Partito comunista napoletano che ha vinto con Bassolino, molto diverso da quello del Nord. O a quello che si è manifestato in tante forme di ribellione e rivolta, da Portella della Ginestra fino alle rivolte dei disoccupati o contro il degrado ambientale. Il Sud è stato sempre una fucina di lotta e contestazione, più che di radicamento organizzativo come al Nord. Lì ha vinto con facilità il Movimento Cinque stelle. È chiaro che questa spiegazione è un idealtipo che non spiega ogni aspetto della realtà, ma come modello interpretativo può essere utile.
Però c’è anche molta destra in questi movimenti.
«Certo, c’è tanta destra. Come diceva Marx, se la classe non viene assunta all’interno di un discorso universalista di emancipazione e di rivoluzione, guarda al passato, quindi diventa identitaria, nazionalista, corporativa. Davanti alla povertà, alla necessità di soddisfare i bisogni fondamentali, ti rivolgi a coloro che ti sembrano più in sintonia al tuo sentire. Se non hai un’organizzazione politica che incanala i tuoi bisogni in un discorso di giustizia e di emancipazione, tu ti avvicini alla più limitrofa forma di sostegno. A quella più vicina alla tua condizione e al tuo linguaggio: al Nord, la nazione e la razza; al Sud l’appello generico a “noi cittadini”.
E il Pd sui territori non c’è?
«Non c’è davvero mai stato il Pd nei territori. Anzitutto ha abolito le sezioni, costruendo i circoli. I circoli sono entità neutre e con funzioni di incontro per chi è dentro o vicino al partito. Contrariamente alla sezione, i cui iscritti e soprattutto dirigenti conoscevano il loro territorio, le condizioni di vita e i problemi, i circoli si aprono e si chiudono in base alle necessità di discussione del partito.
E qui si inseriscono Cinque stelle e Lega.
«Il Movimento Cinque stelle e la Lega non sono la causa, ma il segnale della transizione da un partito che aveva un progetto di emancipazione per tutti a un partito che è diventato un progetto di conservazione di chi sta bene. Un partito di centro – è la classe sociale di riferimento a dirlo. Se non hai un’organizzazione politica che incanala i tuoi bisogni in un discorso di giustizia e di emancipazione, tu ti avvicini alla più limitrofa forma di sostegno. A quella più vicina alla tua condizione e al tuo linguaggio: al Nord, la nazione e la razza; al Sud l’appello generico a “noi cittadini”»
Contrariamente a quel che si diceva inizialmente, però, l’analisi del voto dice che i Cinque stelle sono stati votati da molti laureati, giovani e giovanissimi, e non solo dai ceti meno abbienti e meno istruiti.
«Certo, ma bisogna fare delle differenze. Al Nord è prevalso il discorso che, se si voleva cambiare il Pd, non si poteva votare Leu perché era troppo limitrofo. Occorreva votare l'anti per eccellenza. Molti voti anti-Pd da ex-Pd sono andati a Cinque stelle: un voto di rivolta contro il Pd per far cambiare il Pd. Ma nell’altra parte del Paese, dove ci sono le situazioni di disagio, questo non importava. Non dimentichiamo che mezza Italia, dalle Marche al Molise, ha subito il terremoto. Noi ce lo siamo dimenticati, ma loro sono lì da due anni in attesa. Hanno vissuto e vivono in situazioni disumane, in alloggi provvisori. Poi c’è il Sud più profondo: Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna. L’unica cosa che hanno ricevuto dal governo è stato aver chiuso gli occhi su una evasione fiscale mastodontica. Questa idea malsana di accettare una condizione di illegalità per il quieto vivere non funziona più perché la gente comunque non ha lavoro. Ma perché un ragazzo che vive vicino a Potenza, che non sa come sbarcare il lunario, dovrebbe votare il Pd? Vivere limitrofi dell’illecito è come un bonus ma non dà futuro.
Ma c’è differenza tra le due forze populiste, Cinque stelle e Lega?
«Ciò che tiene insieme questi movimenti è l’anti-establishment. Cioè la distinzione tra coloro che sono dentro e coloro che sono fuori. Riviviamo nelle forme moderne la polarizzazione che era dell’antica Roma con la distinzione tra la plebe e i patrizi. Un dualismo non tanto di classe ma tra inclusi e non inclusi, i molti e i pochi. La Lega però non è semplicemente populista, anche se usa stili retorici populisti, ma resta un partito tradizionale di destra con un’ideologia non ecumenica ma escludente. I Cinque stelle invece sono il nucleo di una forma democratica populista. Di Maio nella lettera a Repubblica ha parlato di “Repubblica di cittadini”, che è la stessa cosa che ha sottolineato Trump, quando è stato incoronato presidente, dicendo “non sono io è il popolo americano che è qui”. È come se senza questi leader non ci fosse la voce del popolo. I Cinque stelle sono il gentismo in assoluto: noi siamo tutti unificati perché contrapposti a loro. È la contrapposizione all’establishment, non l’appello alla nazione, che unifica i molti.
E come si esce ora dall’impasse in cui siamo?
«I Cinque stelle sono cresciuti e crescono nella critica e nell’attacco, per questo dovrebbero essere messi alla prova. Il problema di questo momento è che non c’è fiducia tra le parti. Nessuno si fida dell’altro, persino dentro le stesse coalizioni. Vogliono vincere tutti da soli, non vogliono allearsi con nessuno. È un fenomeno che ritorna in Italia periodicamente e che ricorda le fazioni delle antiche Repubbliche del Rinascimento: nessun gruppo si fidava dell’altro e l’unico obiettivo era quello di ostacolare gli avversari bloccando se necessario il governo e anche rinunciando alla libertà. Più che fare, bloccare il fare. E questo mi sembra sia ancora il modus operandi più praticato».