ALa Repubblica, 9 novembre 2015
Di Luciano Gallino, scomparso ieri all’età di 88 anni, mancherà la testimonianza rigorosa e appassionata, la serietà d’analisi che consentiva a tutti coloro che si occupano della società italiana di avere uno sguardo non preconfezionato sui mutamenti dell’ultimo mezzo secolo. Soprattutto mancherà il suo essere punto di riferimento, quasi una cartina di tornasole del mutare delle posizioni altrui: il suo mite radicalismo d’indagine aveva finito per farlo passare, negli ultimi anni, come un intellettuale no global mentre era semplicemente il coerente sostenitore di un riformismo rigoroso e non cortigiano. Dunque un riformismo autentico.
Dal capitalismo dal volto umano di Adriano Olivetti alla girandola impazzita della crisi dei mutui subprime, Luciano Gallino ha conosciuto e analizzato l’intera parabola del rapporto capitale-lavoro nella seconda parte del Novecento. Utilizzando come metro di valutazione le persone che in quei processi venivano rese protagoniste o schiacciate.
Non avrebbe potuto essere diversamente. Ivrea, negli anni Cinquanta e Sessanta, è stata uno dei principali laboratori di analisi sociale e anche scuola di formazione per intellettuali e futuri esponenti della classe dirigente italiana. Lo ha raccontato nell’intervista su Adriano Olivetti riproposta lo scorso anno da Einaudi con il titolo L’impresa responsabile. Quasi una provocazione se si pensa a certe società quotate in Borsa. Ma, all’epoca, una specie di parola d’ordine per gli intellettuali riuniti intorno dall’azienda di Ivrea. La Olivetti di Adriano e la Torino di Gianni Agnelli erano, all’epoca, i due poli possibili della via italiana al capitalismo. Olivetti chiama Gallino nel 1956 a fare da consulente e sembrava una bestemmia, una stravaganza per un capitano d’industria. Le due one company town sistemate a soli 40 chilometri di distanza, rivaleggiavano sul modello di capitalismo che proponevano.
Una competizione vera, a colpi di marketing sociale: ancora alla fine degli anni Settanta ci fu chi osservò che sull’autostrada i cartelli chilometrici verso Torino erano sponsorizzati dalla Fiat e quelli sulla carreggiata opposta, verso Ivrea, dalla Olivetti. Industria di massa che aveva sconvolto la geografia sociale di Torino quella degli Agnelli, città-comunità che realizzava prodotti d’avanguardia quella degli Olivetti. È in questo secondo campo che il giovane Gallino aveva cominciato a studiare il lavoro e le sue conseguenze sulla società, all’ufficio “Studi relazioni sociali”.
È all’Università di Torino che negli anni Settanta inizia il suo percorso di docente e di ricercatore. Arriva in un momento particolare per la storia sociale ma anche per gli studi sociologici. A Torino il punto di riferimento era per tutti Filippo Barbano, uno dei pionieri della sociologia italiana. Erano anni in cui era diventata una scelta quasi obbligata per un intellettuale coniugare studio e verifica sul campo in una città che era diventata inevitabilmente un gigantesco laboratorio sociale. Approfondire i saggi teorici e distribuire questionari davanti ai cancelli delle fabbriche erano le due principali attività dei sociologi.
Gallino non amava le mode intellettuali. Alle narrazioni preferiva i numeri, l’analisi scientifica dei dati, e questo gli ha reso la vita non semplicissima sia negli anni Settanta del Novecento sia in questo primo scorcio del nuovo millennio. Non aveva nemmeno timore di schierarsi. La sua adesione al comitato promotore della lista Tsipras alle elezioni europee è la dimostrazione che il riformista Gallino non era un intellettuale timoroso di sporcarsi le mani. Era invece convinto della necessità di un cambio radicale di sistema, non solo economico ma anche culturale. E per arrivarci non vedeva altra strada se non quella dello studio e della comprensione dei meccanismi sociali. Non amava scorciatoie populiste: «Senza un’adeguata comprensione della crisi del capitalismo e del sistema finanziario, dei suoi sviluppi e degli effetti che l’uno e l’altro hanno prodotto nel tantivo di salvarsi — scriveva — ogni speranza di realizzare una società migliore dell’attuale può essere abbandonata».
Lo studio ma anche la proposta. Il suo piano per creare lavoro e uscire dalla crisi negli anni difficili dello spread alle stelle è stata una delle rare proposte concrete. Quell’idea di prender- si cura dell’Italia, utilizzare gli investimenti pubblici per creare lavoro, ristrutturare scuole e riparare strade è forse il vero testamento del sociologo che sapeva guardare oltre lo stato di cose esistente.