Cesare Bermani, Gramsci, gli intellettuali e la cultura proletaria, Cooperativa Colibrì, Milano 2007, 333 p., 19,00 euro
Antonio Gramsci. Nome e figura scomparsi da ogni luogo mentale o reale in Italia, discorsi pubblicistica politica scuola. Nelle università americane ricercatori studiano la sua vita, le opere. Domando agli studenti (22-24 anni) sapete chi fu A.G. Nessuno sa, nessuno ha mai sentito niente su di lui, nessuno ha visto il nome in testa all’Unità. Uno solo sperduto dice e non dice di crederlo promotore del terrorismo. L’Unità, retaggio (lett. fig. = patrimonio spirituale) di storie interrotte, per quanto tempo ancora salverà il fragile richiamo al fondatore? Per poco, giacché il nuovo partito di cui il giornale sarebbe la voce mal lo sopporta e vorrebbe cancellarlo. Qualsiasi sarà la nuova proprietà lo farà al momento giusto. Chi protesterà? Lo scrivente e pochi altri? Il Grandevetro? Il povero Bertinotti – peraltro mai appartenuto al Pci, bensì componente della sinistra socialista lombardiana e partecipante alla fondazione del Psiup (etiam ego) – tutto preso a leccarsi le ferite?
E poi, quale giornale del partito? Non c’è già la Repubblica? D’altronde, annota Cesare Bermani all’inizio del primo capitolo, già nel 1986 Paolo Spriano lamentava: “quasi nessuno legge più i suoi scritti”. Figurarsi ora con la sinistra finita al macero. Forse, proprio per questo dico: se è vero che dalle ceneri non si può che rinascere stante la naturale fertilità della terra cosparsane, meglio così. Allora, a quale fonte nutrire i semi se non, prima di tutte, al pensiero del nostro patrio maestro che raduna a sé il contributo più alto dei padri nobili del socialismo?
Intanto ci è dato questo magnifico volume nel settantennio (2007) della morte di Gramsci. Cesare Bermani appartiene al piccolo drappello di coloro che non accettano i nuovi conformismi culturali e di massa; vuole reagire alla ricacciata dell’opera gramsciana fra i reperti archeologici di un inesplicabile movimento sociale e politico. Per farlo da libero ricercatore portato a svelare i vecchi conformismi a sinistra senza negare, come oggi è di moda, il pensiero storico dialettico, entra nel cuore del problema. Che è, principalmente, e doverosamente (riguardo a un passato dominato dall’apparatchiki di partito) quello di “liberare Gramsci” dall’interpretazione e deformazione togliattiana unendosi alla “sparuta minoranza di studiosi e militanti per ristabilire il Gramsci ‘vero’”.
Dodici i saggi nel volume. Tre gli inediti, dei quali appunto Il Gramsci di Togliatti e il Gramsci liberato, scritto appositamente, introduce la raccolta. Tutti gli scritti sono significativi dal punto di vista di una auspicabile, benché improbabile, riapertura di una discussione non ristretta a sparuti gruppi filosofici e politici. Quelli pubblicati in diverse soluzioni editoriali fra il 1979 e il 1994 appariranno come originali; è pressoché impossibile ritrovarli nella collocazione iniziale.
Ad ogni modo i dodici capitoli si tengono insieme saldamente superando gli intervalli temporali della scrittura. Per un giovane ricercatore, e per qualsiasi persona diciamo “di sinistra” desiderosa di avvicinarsi per la prima volta alla figura “del solo autentico teorico marxista ad essere anche il lieder di un partito di massa” (Eric J. Hobsbawn, citato a p. 37) costituirebbero un’ottima guida, oltre che a una generale comprensione della figura di Antonio Gramsci, alla lettura meditata dei testi suoi e di critici, compagni di strada, interpreti diversi (sottolineando la datazione).
Non mi è dato lo spazio necessario per commentare adeguatamente un libro di questa portata. Voglio però raccomandare, su un piano di mera sensibilità personale prima di chiudere, i due testi scritti fra 1981 e 1982 e posti di seguito: Gramsci operaista e la letteratura proletaria e Breve storia del Proletkul’t italiano. Ciò che scriveva A. G. nel 1917 (citato a pp.122-23) sembra riguardare oggi tutti noi mentre marcisce la crisi della sinistra: “aspettiamo l’attualità per discutere dei problemi e per fissare le direttive della nostra azione. Costretti dall’urgenza, diamo dei problemi soluzioni affrettate […] L’associazione di cultura […] sarebbe la sede propria della discussione di questi problemi, della loro chiarificazione, della loro propagazione […] Gli intellettuali non hanno un compito… adeguato alle loro capacità. Lo troverebbero, sarebbe messo alla prova il loro intellettualismo […]” (in “Avanti”, 18 dicembre 1917”).
Infine, dichiaro non meno di pura ammirazione per il saggio sonoro in appendice (1994), che non conoscevo, Da Torino operaia al carcere di Turi (con F. Coggiola e M. Paulesu Quercioli), qui ampliato per cura di Bermani e presente nei due CD acclusi (anticipati nel 1987 da una versione in cassetta ). Siamo dentro al settore forse più noto del lavoro scientifico dell’autore. Grazie al quale abbiamo potuto goderci l’ascolto di canti sociali e politici, interviste e testimonianze registrati dal vivo.