il manifesto, alia è divenuta una malata terminale alla cui agonia assistiamo impotenti. Con commento (e.s.)
Auguriamo lunga vita al ministro dell'interno Matteo Salvini. Più precisamente, auguriamo a lui, e soprattutto a noi e agli altri connazionali, una vita brevissima alla sua permanenza al ministero degli Interni e una vita lunghissima al signor Matteo Salvini. Una vita così lunga perché possa riflettere sull'odio che è riuscito a concepire ed esternare nel periodo - speriamo breve - in cui ha ricoperto questa e altre cariche pubbliche. Leggete, commiserandolo, i pensieri che ha potuto esprimere oggi, riportati da Tommaso Di Francesco nell'articolo che riportiamo di seguito.
L'immagine che abbiamo scelto come icona rappresenta Mammona, emblema della smodata avidità della persona umana (ricorda il dilemma posto nella Bibbia: "amare Dio o Mammona". Non pensiamo che Salvini condivida con Mammona la cupidigia per la ricchezza, ma non abbiamo trovato un'altra immagine che esprima in modo così cupo l'odio per il suo simile diversamente colorato espresso dall'attuale occupante del Viminale.(e.s.)
l manifesto, 6 giugno 2018
Salvini papà e la pacchia dei migranti
di Tommaso Di Francesco
«Ong vice-scafisti», «Taglierò i fondi per l’accoglienza, i soldi vanno dati lì in Libia, in Tunisia dove non mi risulta ci sia la guerra ma che ci invia i galeotti, e poi in Niger…», Salvini non cambia look, è ministro degli interni ma aizza all’odio; una aggressività che deve far paura a lui stesso se si lascia andare alla retorica nuova del buon padre di famiglia, (la famiglia -nazione, che peggio non si può), «ma figuratevi – dice in una intervista in tv – se io che sono papà di due bambini voglio affogare la gente in giro…».
Eppure noi ce lo figuriamo.
Perché proprio mentre esternava alimentando odio, le notizie che arrivavano lo chiamavano direttamente in causa. Naufragio nell’Egeo con nove vittime di cui 6 bambini, strage a mare sulle coste tunisine con 48 persone affogate; mentre non si è spenta l’eco del misfatto che pochi giorni fa si è consumato in Libia, dove le milizie che gestiscono le prigioni hanno sparato a terra uccidendo 16 migranti.
E, come se non bastasse, nelle piane di Vibo Valentia, dove i braccianti-migranti vengono ogni giorno sfruttati per pochi euro, è stato ucciso Sacko Soumalyla, ventinovenne maliano e attivista del sindacato di base Usb.
Nella fossa comune che è diventato il Mediterraneo gli esseri umani disperati, ridotti alla condizione di ultimi degli ultimi, continuano a fuggire. E ad essere uccisi; sono sempre in fuga da condizioni di vita insopportabile nell’Africa dell’interno,– ricchissima di materie prime ma ridotta in povertà grazie al nostro modello di sviluppo-rapina rispetto al quale da nessuna parte si annunciano cambiamenti radicali; e in fuga dalle tante guerre mediorientali che abbiamo contribuito ad innescare secondo il rituale ormai collaudato di scelte occidentali bipartisan. Ma, è vero, gli arrivi, conti alla mano, sono sempre di meno: perché non si devono vedere e non stanno in nessuna statistica le disperazioni di quel quasi milione di persone di cui parlano le Nazioni unite rimaste intrappolate tra la costa della Libia e il confine sud del Sahara.
Né dobbiamo gettare l’occhio, nemmeno distratto, sulla realtà della detenzione di decine edecine di migliaia di persone in campi di concentramento, lager prigioni sottoposte ogni giorno a torture e violenza. Meglio non vedere e accontentarsi delle statistiche «brillanti». E ripetere il mantra sempre meno credibile che ha ben funzionato il famigerato Codice dell’ex ministro degli interni Minniti che ora si dice preoccupato che Salvini non diventi «l’Orbán del Mediterraneo».
Di che si lamenta Minniti: Salvini aspira fortemente al ruolo di facente funzioni di Orbán nel Mediterraneo, ma alla fine sarà respinto anche dal leader ungherese della Mitteleuropa di destra.
Il taglio naziona-populista all’accoglienza che Salvini agita preoccupa la Chiesa di Bergoglio perché è l’anticamera della morte certa per migliaia e migliaia di esseri umani; perché la disperazione africana non è finita, con le crisi che si moltiplicano, e la guerra afghano-mediorientale continua, anzi deve continuare nonostante i ripetuti, vecchi e nuovi annunci – per capirlo, guardate il «retroterra culturale» della nuova ministra della difesa, la grillina Elisabetta Trenta. È stato proprio Minniti a tirare la volata a Salvini sui migranti – come denuncia ora perfino il presidente del Pd Matteo Orfini.
Proviamo a ricordare infatti le caratteristiche del Codice neo-coloniale dell’ex ministro dell’interno Pd: blocco dell’accoglienza a mare, criminalizzazione delle Ong di soccorso; finanziamento della cosiddetta «autorità» libica – ma la Libia non ha alcuna autorità tantomeno unica e rappresentativa, è un paese spaccato in quattro tronconi contrapposti dopo la guerra della Nato nel 2011, con 700 milizie armate e tanti Paesi «alleati» che se la contendono per via della sua immensa ricchezza petrolifera. Il risultato è l’allargamento dell’universo concentrazionario in una miriade di galere, prigioni, torture, campi di concentramento che, ora con il consenso dell’Unione europea, vogliamo estendere a mezza Africa, perché dice la Commissione di Bruxelles che «il Niger è la frontiera sud dell’Europa». Il risultato delle statistiche è «brillante», così tanto che lo stesso Salvini fa sapere a Minniti che il suo è stato «un discreto lavoro» e che non ha intenzione di «smantellare nulla».
Un «lavoro», quello di Minniti, che continua ad esaltare con i suoi editoriali Marco Travaglio sul Fatto quotidiano, manco fosse diventato come uno dei tanti «giornaloni» tradizionalmente schierati con il governo in carica.
Minniti sosteneva che così facendo avrebbe salvato la democrazia dalla deriva xenofoba; a quanto pare non solo non è servito ma, facendosi destra e attivando la devastazione della democrazia in mezzo continente africano da ridurre a campo di concentramento, ha anche soffiato il vento in poppa al nazional-populismo razzista ora al potere.
L’unica vera risposta gli viene per ora dalle parole di un dirigente sindacale dei braccianti della piana di Vibo Valentia: «È finita la pacchia per Salvini, perché noi risponderemo». . La protesta non si fermerà. E ci riguarda.