Il Fatto Quotidiano,
Sapevo che sarei andato in Vietnam. A quel tempo filmavo per Tv7. La data (1 febbraio) era stata decisa secondo le esigenze e i turni della troupe e nessuno si aspettava, in quel momento, neppure gli strateghi americani, che i Viet Cong avrebbero attaccato Saigon, si sarebbero spinti fino a combattere sul prato intorno alla ambasciata americana, uccidendo e facendosi uccidere come in un grande e ben diretto spettacolo di morte. Noi siamo arrivati a Saigon di mattina, poche ore dopo l’inizio della “offensiva del Tet” e non sapevamo neppure che il Tet era (è) il Capodanno vietnamita. Ci ha portati a Saigon un Caravelle delle linee aeree thailandesi che è partito e arrivato in orario, senza alcun avvertimento o notizia all’aeroporto o dal pilota. Strano, dicevamo l’uno all’altro, per un volo di linea: stiamo volando sopra i fiocchi bianchi di decine e decine di esplosioni. A terra il Caravelle ha parcheggiato evitando le buche di esplosioni, fra due aerei distrutti.
Ho dovuto abbandonare il documentario sui discepoli di Gandhi e la pace dell’India, perché il Tg di quei tempi mi voleva negli Usa per seguire Martin Luther King.
Stava diventando, in un anno elettorale, il grande leader politico nero. Quando King è stato assassinato, al Lorraine Motel di Memphis, Andrew Young e Jesse Jackson (le due persone più legate e più vicine a lui) mi hanno aiutato in una immediata inchiesta filmata a partire dal punto in cui loro (che erano accanto a King al momento del delitto, sul ballatoio del motel) avevano visto partire il colpo. Niente del nostro film coincideva con i rapporti di polizia, e per anni Coretta King e i suoi figli si sono battuti per la liberazione del presunto assassino (James Earl Ray) morto in isolamento in prigione. Ma erano i giorni (3,4 e 5 aprile) in cui Washington era in fiamme per la rivolta nera contro il delitto di Memphis. Le truppe federali non sono riuscite a fermare la rivolta. Ma è riuscito, nel cuore della notte in fiamme (5 aprile) Robert Kennedy, ormai candidato vincente alle primarie democratiche presidenziali, con una idea che è diventata anche un celebre Tv7 della Tv italiana.
Illuminato dall’unica lampada del datore di luci, in piedi sulla macchina scoperta noleggiata dalla Rai, facendosi sentire con due altoparlanti a cui era stato collegato il microfono, Kennedy ha detto: “Hanno ucciso mio fratello, hanno ucciso vostro padre. Ma non siamo quelli che uccidono, non vogliamo diventare come i nostri assassini. Noi siamo coloro che portano pace.
«Kennedy era credibile perché era il solo a battersi contro la guerra nel Vietnam e perciò seguito e sostenuto da una marea di giovani. La rivolta del ghetto di Washington è finita quella notte e Bob Kennedy diventava ogni giorno di più il futuro presidente degli Stati Uniti». Andrea Barbato e io lo abbiamo seguito, intervistato e filmato per la Rai durante tutti i mesi e tutti i giorni seguenti della campagna elettorale.
Fino alla notte del 4 giugno, quando l’uomo colpito con precisione alla testa e morente sul pavimento della cucina dell’Hotel Ambassador di Los Angeles, è andato ad aggiungersi ai grandi cadaveri della politica americana, ancora una volta colpito con esattezza da un assassino sfuocato, e non veramente identificabile, per ragioni mai dette, salvo le falsità accettate ancora una volta nei tribunali per chiudere il caso.
Ma il caso non si è mai chiuso, e non era chiuso quando, in tanti (una folla di decine di migliaia, guidati da Allen Ginsberg e Norman Mailer) siamo andati al Pentagono “per levitarlo” (Allen Ginsberg) e infondergli una volontà di pace. E il caso non era chiuso quando, alla Convezione democratica di Chicago, soldati armati di baionette hanno circondato e bloccato l’immensa folla giovane, e il documentario lungo come un film che ne abbiamo tratto era in molti punti diretto da Michelangelo Antonioni, che era venuto a raggiungerci nel momento cinematograficamente migliore e politicamente peggiore di quel 1968. Nelle elezioni presidenziali, ricorderete, ha vinto Nixon. Ma con un trucco che, in due anni, lo porterà alla rovina del Watergate.