I Il manifesto, 30 ottobre 2015
Il sindaco Marino ha ritirato le dimissioni. Lo ha fatto, come aveva annunciato, entro i venti giorni previsti da quel 12 ottobre quando la scelta di dimettersi era arrivata sull’onda di alcuni esposti per la vicenda degli scontrini fasulli. Ora, finalmente, il Pd, quello romano screditato dall’inchiesta di mafia-capitale e quello nazionale governato dall’uomo solo al comando, è nudo di fronte alla questione romana che in sé, per la via “extraparlamentare” che l’ha connotata, riassume la questione democratica.
Il ritiro delle dimissioni toglie di mezzo alibi e ipocrisie, fa piazza pulita della foglia di fico degli scontrini usati per gestire, con un commissario di gradimento renziano, l’importante partita del Giubileo. È peraltro curioso l’accostamento — da parte del governo — tra la manifestazione cattolica del pellegrinaggio religioso con l’Expo, una manifestazione laica misurata più che con il soffio dello spirito santo con i bilanci tra costi e ricavi. Ancora più curioso che un assessore del Pd, il torinese Esposito, sia andato a spiegare in tv il gran peso avuto, nella vicenda delle dimissioni di un sindaco, dalla “scomunica” del papa in missione a Filadelfia. Come se l’aria di Roma provocasse repentine conversioni.
Quali sono allora le colpe politiche del sindaco di Roma? Qual è il bilancio di questi due anni di sindacatura? E quando sarebbero state avvistate queste magagne politiche, se il Pd fino all’anatema papale e fino alla bolla degli scontrini non ne aveva mai fatto questione?
Come mai, dopo mafia-capitale, Marino era considerato un esempio di buona amministrazione, un nemico dei poteri capitolini, un avversario delle potenti lobby (dai vigili urbani, alle alte porpore, ai commercianti, a certi consigli di amministrazione…) e ora, invece, è giudicato un incapace della peggior specie? Le buche nelle strade, la sporcizia, gli autobus scassati, qui, nella capitale, non godono delle attenuanti che vengono riconosciute alle altre amministrazioni (mancanza di fondi, politiche di tagli ai servizi). Anzi abbiamo sentito rispolverare il cliché di Milano capitale morale — il magistrato Cantone ha la memoria molto corta — e magnificare la performance dell’Expo come se né l’una, né l’altra avessero rischiato di affondare negli scandali, nelle ruberie, nelle attività delle grandi famiglie mafiose. E meno male che il presidente della repubblica mantiene il doveroso riserbo, altrimenti il palmarés del sindaco marziano avrebbe fatto il pieno.
La situazione è grave ma non è seria. Chi ne farà le spese, in un modo o nell’altro, sarà il Pd. Ma a essere colpita è anche la gestione democratica di questa vicenda che doveva essere trattata alla luce del sole, in Campidoglio, non nelle stanze del Nazareno, non nel modo fazioso di larga parte dei quotidiani nazionali (quelli locali hanno fatto una opposizione “edilizia” dall’inizio della sindacatura), non attraverso informazioni pilotate e interessate. Marino non è il migliore dei sindaci, il mestiere politico non è il suo, si è mosso fidandosi soprattutto dei “suoi”, del suo cerchio magico. Ma sicuramente non è peggiore di quelli che vogliono fargli le scarpe.
Fin qui abbiamo assistito al primo e secondo atto della tragi-commedia romana. Ora aspettiamo il gran finale. Che per più di qualcuno non sarà indolore. E poi si vada alle elezioni al più presto.