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Gaetano Azzariti
Il pareggio che per i diritti è una sconfitta
23 Settembre 2014
Democrazia
«La pro­po­sta di ini­zia­tiva legi­sla­tiva popo­lare rap­pre­senta dun­que l’indicazione di una nuova rotta. Un per­corso arti­co­lato che potrà essere imboc­cato solo se si saprà costruire un con­senso dif­fuso, uni­ca­mente se verrà accom­pa­gnato da un’ampia, con­vinta e attiva par­te­ci­pa­zione. Nulla garan­ti­sce infatti il suc­cesso».
«La pro­po­sta di ini­zia­tiva legi­sla­tiva popo­lare rap­pre­senta dun­que l’indicazione di una nuova rotta. Un per­corso arti­co­lato che potrà essere imboc­cato solo se si saprà costruire un con­senso dif­fuso, uni­ca­mente se verrà accom­pa­gnato da un’ampia, con­vinta e attiva par­te­ci­pa­zione. Nulla garan­ti­sce infatti il suc­cesso».

Il Manifesto, 23 settembre 2014 (m.p.r.)

Ora vediamo chi vuole cam­biare dav­vero. L’iniziativa legi­sla­tiva popo­lare che vuole assi­cu­rare il rispetto dei diritti fon­da­men­tali anche nelle fasi di crisi eco­no­mica rap­pre­senta una pro­po­sta di vera rot­tura con il pas­sato. Non si limita a cri­ti­care l’introduzione del prin­ci­pio del pareg­gio di bilan­cio nella nostra Costi­tu­zione, si spinge a indi­care una strada alter­na­tiva. La riforma costi­tu­zio­nale appro­vata nel 2012 quasi all’unanimità dal nostro par­la­mento è pre­sto assurta a sim­bolo dell’incapacità della poli­tica di gover­nare i pro­cessi eco­no­mici e finanziari.

S’è trat­tato di una rispo­sta pura­mente ideo­lo­gica (il neo­li­be­ri­smo come unica razio­na­lità pos­si­bile) ad una crisi di sistema che ha con­ti­nuato ad avvi­tarsi su se stessa. Ora, con la pro­po­sta di modi­fica di tre arti­coli della Costi­tu­zione, si vuole cam­biare radi­cal­mente il punto di vista per ten­tare di uscire dalla reces­sione, che non è solo eco­no­mica, ma è soprat­tutto cul­tu­rale. Non è una pro­spet­tiva vel­lei­ta­ria quella che si pro­spetta. Si radica, invece, nel solco del costi­tu­zio­na­li­smo moderno, risco­pren­done le vir­tua­lità eman­ci­pa­to­rie. È alla sto­ria poli­tica e sociale che biso­gna rico­min­ciare a guar­dare, da tempo offu­scata dall’autoreferenzialità della poli­tica inca­pace di con­tra­stare la logica distrut­tiva del mer­cato spe­cu­la­tivo. Occorre tor­nare ai diritti.

Persi nei fumi dell’ideologia, tra­sci­nati dal vento impe­tuoso del tempo, troppo a lungo abbiamo scor­dato che alla base del vivere civile, a fon­da­mento del patto sociale, si pone il rispetto dei diritti fon­da­men­tali, non l’equilibrio finan­zia­rio. Se c’è una lezione da trarre dalla sto­ria poli­tica del costi­tu­zio­na­li­smo moderno è che la garan­zia dei diritti deve essere assi­cu­rata, altri­menti la società civile «non ha una costi­tu­zione» (così espli­ci­ta­mente nella dichia­ra­zione del 1789), e si torna allo stato di natura dove pre­vale la legge del più forte (eco­no­mi­ca­mente, oltre che mili­tar­mente). Solo l’hobbesiana pro­tec­tio può legit­ti­mare la richie­sta di oboe­dien­tia, solo il rispetto dei diritti può giu­sti­fi­care i doveri sociali. Nelle costi­tu­zioni del secondo dopo­guerra que­sto dato fon­da­tivo delle società moderne ha por­tato ad affer­mare il prin­ci­pio di «indi­spo­ni­bi­lità» dei diritti fon­da­men­tali ed il pri­mato della per­sona. Prio­rità da far valere anche sull’economia, soprat­tutto sull’economia, la quale non può essere rap­pre­sen­tata come espres­sione di un «ordine natu­rale», ma è anch’essa frutto di un «ordine giu­ri­dico». Dun­que, mani­fe­sta­zione di scelte di poli­tica eco­no­mica che con­for­mano un par­ti­co­lare assetto d’interessi, a disca­pito di altri. Opzioni — que­sto è il punto — che non sono com­ple­ta­mente libere.

E’ il nostro sistema costi­tu­zio­nale ad avere indi­vi­duando i prin­ci­pali limiti pro­prio nella «libertà, sicu­rezza e dignità umana», nell’esigenza di assi­cu­rare una «esi­stenza libera e digni­tosa», nei «doveri inde­ro­ga­bili di soli­da­rietà poli­tica, eco­no­mica e sociale». In que­sto senso può cer­ta­mente affer­marsi che in uno stato costi­tu­zio­nale «sull’economia pre­val­gono i diritti». Ed è entro que­sto con­te­sto costi­tu­zio­nale che si alter­nano i diversi cicli eco­no­mici, quelli più favo­re­voli e quelli meno.

È evi­dente, infatti, che l’espansione dei diritti richiede ingenti risorse eco­no­mi­che, per­tanto da tempo si rico­no­sce che i «diritti che costano» (pra­ti­ca­mente tutti i diritti hanno un costo) sono finan­zia­ria­mente con­di­zio­nati. Ciò non toglie però che anche in una fase di crisi eco­no­mica — soprat­tutto in fasi in cui le risorse sono limi­tate — diventa vitale assi­cu­rare una tutela pri­vi­le­giata ai diritti fon­da­men­tali, i quali devono pre­va­lere sulle garan­zie pre­state ad ogni altro inte­resse. Ed è que­sto il senso pro­fondo che si pone a fon­da­mento dell’iniziativa popo­lare. Essa rap­pre­senta una rot­tura di con­ti­nuità con il più recente pas­sato che ha invece inver­tito le prio­rità tra diritti e eco­no­mia, ponendo i primi al ser­vi­zio della seconda. Nel 2012 que­sta pre­tesa ha assunto le vesti della revi­sione costi­tu­zio­nale con l’inserimento di un prin­ci­pio «sov­ver­sivo» (in senso stret­ta­mente eti­mo­lo­gico) del sistema di garan­zia dei diritti costi­tu­zio­nal­mente defi­niti. Un prin­ci­pio che si è dimo­strato fal­li­men­tare per le stesse ragioni dello svi­luppo eco­no­mico, oltre che per la garan­zia dei diritti.

Non si tratta ora sem­pli­ce­mente di tor­nare indie­tro, bensì di svi­lup­pare nel segno del cam­bia­mento i diversi prin­cipi del costi­tu­zio­na­li­smo moderno. Ciò che si pro­pone è un altro approc­cio alla revi­sione costi­tu­zio­nale; diverso rispetto da quello sin qui pra­ti­cato da un ceto poli­tico intento a sman­tel­lare pro­gres­si­va­mente le con­qui­ste di civiltà che la lotta per i diritti ha sto­ri­ca­mente affer­mato e la nostra Costi­tu­zione ha giu­ri­di­ca­mente impo­sto. Con que­sta ini­zia­tiva si vuol dimo­strare che dalla Costi­tu­zione (dai suoi prin­cipi fon­da­men­tali) si può ripar­tire per tra­sfor­mare la società e la poli­tica ita­liana; che essa non è un osta­colo bensì il fat­tore di cam­bia­mento più vitale.

Non ser­vono molte parole per affer­mare un prin­ci­pio di cam­bia­mento radi­cale. Anche in que­sto può pla­sti­ca­mente rin­ve­nirsi una diver­sità di stile — che è anche di sostanza — con il revi­sio­ni­smo costi­tu­zio­nale che è alle nostre spalle. Si guardi a tutte le «grandi riforme» che, dalla Com­mis­sione bica­me­rale del 1993 ad oggi, hanno cer­cato di met­tere le mani sulla Costi­tu­zione: un pro­flu­vio di parole senza la soli­dità di un prin­ci­pio. Si esa­mini l’attuale pro­po­sta in discus­sione di modi­fica pre­sen­tata dall’attuale governo rela­tiva al senato e al Titolo V: un insieme di dispo­si­zioni informi, spesso tra loro in con­trad­di­zione. Si leg­gano i nuovi arti­coli scritti dai neo-revisori costi­tu­zio­nali (dal ridon­dante art. 111 all’ingestibile art. 117): lun­ghi elen­chi di incerto valore e dif­fi­cile appli­ca­zione. E, infine, si con­fronti nel merito la for­mu­la­zione ragio­nie­ri­stica e con­ta­bile del prin­ci­pio di «pareg­gio di bilan­cio» con quella pro­po­sta dall’iniziativa popo­lare: l’innovazione si sostan­zia nell’eliminazione di tutte le con­tro­verse regole di equi­li­brio finan­zia­rio, sosti­tuite dal lim­pido prin­ci­pio costi­tu­zio­nale del rispetto dei diritti fon­da­men­tali delle per­sone che deve con­for­mare la legge di attua­zione alla quale si rin­via per la defi­ni­zione dei vin­coli eco­no­mici (com­presi quelli di bilan­cio). Rea­li­sti­ca­mente non si esclude dun­que che quest’ultimi deb­bano ope­rare, si afferma «sem­pli­ce­mente» che que­sti devono ope­rare nel rispetto del prin­ci­pio di tutela dei diritti.

Un ritorno non solo al diritto, ma anche alla lun­gi­mi­ranza dei prin­cipi, che val­gono per il lungo periodo e non pos­sono venir schiac­ciati sulla con­tin­genza (eco­no­mica, poli­tica o cul­tu­rale). È sem­pre stata que­sta la forza delle costi­tu­zioni che aspi­rano «all’eternità», che non si limi­tano a legit­ti­mare la poli­tica, ma – con ben altra ambi­zione – pre­ten­dono di defi­nire il qua­dro e i limiti entro cui si dovrà poi svi­lup­pare la dina­mica poli­tica e il con­flitto sociale («l’essenza e il valore della democrazia»).

È del tutto evi­dente – almeno per chi prende sul serio i diritti – che le costi­tu­zioni neces­si­tano di essere attuate. Non basta cioè l’affermazione del prin­ci­pio (di pre­va­lenza dei diritti fon­da­men­tali delle per­sone, nel nostro caso) per­ché esso possa rite­nersi rea­liz­zato. La lunga lotta per l’attuazione costi­tu­zio­nale – che può assu­mere forme diverse e non tutte pre­ven­ti­va­mente deter­mi­na­bili – rap­pre­senta il cuore di quel che potremmo chia­mare il diritto costi­tu­zio­nale vivente. Non è pos­si­bile qui ricor­dare le mol­te­plici forme che ha assunto la con­ti­nua ten­sione tra costi­tu­zione e sua rea­liz­za­zione. Ciò che deve però almeno essere chia­rito è che anche la lotta per la rea­liz­za­zione dei prin­cipi è assog­get­tata al diritto. Tant’è che sarà un giu­dice (la Corte costi­tu­zio­nale) e non la poli­tica (il governo ovvero il par­la­mento) ad avere l’ultima parola.

Non tutto, dun­que, potrà venire risolto nep­pure con l’auspicata appro­va­zione di una legge costi­tu­zio­nale come quella pro­po­sta. Imme­dia­ta­mente dopo si dovrà pen­sare a come dare attua­zione al prin­ci­pio costi­tu­zio­nale nella legge gene­rale di con­ta­bi­lità e finanza pub­blica, cui si rin­via per la defi­ni­zione nor­ma­tiva dei vin­coli di bilan­cio; si ren­derà neces­sa­rio vigi­lare sulle pub­bli­che ammi­ni­stra­zioni che dovranno garan­tire la soste­ni­bi­lità del debito «nel rispetto dei diritti fon­da­men­tali delle per­sone»; si dovrà pre­ten­dere l’attribuzione di risorse pub­bli­che per gli enti ter­ri­to­riali, i quali dovranno assi­cu­rare la tutela dei diritti sociali e civili «comun­que suf­fi­cienti a garan­tire in cia­scuna parte del ter­ri­to­rio nazio­nale i livelli essen­ziali delle pre­sta­zioni». La riforma costi­tu­zio­nale non potrà di per sé far venir meno la nor­ma­tiva euro­pea di rigore finan­zia­rio e gli obbli­ghi che il nostro paese con­ti­nua a sot­to­scri­vere. Anche guar­dando all’Europa dun­que sarà neces­sa­rio ope­rare con stru­menti giu­ri­dici ade­guati che favo­ri­scano la par­te­ci­pa­zione dei cit­ta­dini e il supe­ra­mento delle poli­ti­che neo­li­be­ri­ste dei governi (una Ini­zia­tiva dei Cit­ta­dini Euro­pei – ICE – potrebbe essere seria­mente presa in considerazione).

La pro­po­sta di ini­zia­tiva legi­sla­tiva popo­lare rap­pre­senta dun­que l’indicazione di una nuova rotta. Un per­corso arti­co­lato che potrà essere imboc­cato solo se si saprà costruire un con­senso dif­fuso, uni­ca­mente se verrà accom­pa­gnato da un’ampia, con­vinta e attiva par­te­ci­pa­zione. Nulla garan­ti­sce infatti il suc­cesso. La rac­colta delle firme neces­sa­rie per incar­di­nare la discus­sione presso le camere, l’incerto seguito par­la­men­tare, le inat­tuali mag­gio­ranze richie­ste per l’approvazione della legge costi­tu­zio­nale sono tutti osta­coli che si frap­pon­gono alla volontà di un cam­bia­mento radi­cale dello stato di cose pre­senti. È però anche una grande occa­sione per risol­le­vare il capo e ten­tare d’uscire dai sot­to­suoli ove le forze disperse della sini­stra si sono rin­ta­nate. Un’oppor<CW-11>tunità per ripren­dere il filo di un discorso inter­rotto. Certo, può sem­pre dirsi che «avremo biso­gno di ben altro», di una stra­te­gia com­ples­siva, di sog­getti sociali con­so­li­dati, di orga­niz­za­zioni ade­guate, di lea­der rap­pre­sen­ta­tivi e auto­re­voli, di una società civile con­sa­pe­vole, di una cul­tura alter­na­tiva ege­mone, di una soli­da­rietà e un rico­no­sci­mento col­let­tivo. È vero, avremmo biso­gno di tutto que­sto. E in assenza di tali pre­sup­po­sti tutto è più com­pli­cato. Ma anche per que­sto è urgente ricor­dare che la garan­zia dei diritti fon­da­men­tali delle per­sone e la fis­sa­zione di limiti ai poteri dell’economia e della finanza rap­pre­sen­tano valori indi­spo­ni­bili entro uno stato di demo­cra­zia costi­tu­zio­nale. È neces­sa­rio ini­ziare a costruire un’altra idea di società civile, in cui il mer­cato si ponga al ser­vi­zio dei diritti. La pro­po­sta di legge costi­tu­zio­nale di ini­zia­tiva popo­lare è solo un primo movi­mento di una ancora ine­splo­rata stra­te­gia com­ples­siva; un pic­colo passo che però può aprire ad un radi­cale cam­bia­mento di rotta. Credo ci si possa pro­vare.
A chi esita, a chi ci chiede se in que­ste con­di­zioni dif­fi­cili valga la pena ancora impe­gnarsi, non pos­siamo che ripe­tere: «Que­sto tu chiedi. Non aspet­tarti nes­suna rispo­sta oltre la tua».

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