ITiscali online, 13 febbraio 2016
Ucciso dai servizi segreti egiziani - Il tema della tesi coincide con quello dell’articolo che, secondo l’ipotesi investigativa in corso di verifica, avrebbe attirato l’attenzione degli apparati di sicurezza, trasformando il giovane e brillante ricercatore poliglotta in un soggetto pericoloso a cui riservare lo stesso trattamento che, secondo le denunce delle organizzazioni umanitarie, viene riservato sistematicamente agli oppositori del regime di al Sisi. Perché non c’è alcun dubbio che – per le modalità e il contesto – il sequestro-omicidio sia stato messo in atto con le bestiali tecniche tipiche del Mukhabarat, il Servizio segreto egiziano. Tutto ruota attorno all’incontro dei sindacati indipendenti che si tenne al Cairo l’11 dicembre. Fu in quell’occasione che l’attività di ricerca e l’impegno civile di Regeni si sovrapposero. Assistere a quell’incontro era infatti un modo per acquisire elementi per la tesi. Ma gli diede anche spunti per scrivere, assieme a un collega, il famoso articolo apparso sotto pseudonimo il 14 gennaio sul sito specializzato Nena News e, col vero nome, il 5 febbraio sul Manifesto. Pubblicazione, come si ricorderà, alla quale la famiglia si oppose inviando al quotidiano, attraverso il suo legale, Alessandra Ballerini, una formale diffida. Che fu ignorata. [vedi postilla in calce]
Quell’unico articolo inviato dal Cairo - Rispetto alla genesi di questo articolo, il ritrovarsi a Fiumicello di tanti colleghi e amici ha portato nuovi elementi all’inchiesta. E’ entrata nel fascicolo del pm una mail inviata da Regeni il 14 dicembre, cioè tre giorni dopo l’assemblea dei sindacati indipendenti: “C’è stato un importante incontro sindacale qualche giorno fa e io e un altro dottorando italiano abbiamo deciso di scrivere un articoletto a riguardo. E’ una cosa semplice, e siccome lui ha già scritto per il manifesto pensavamo che potesse interessare. Di fatto l’articolo interessa, però il tipo in questione non vuole né due nomi, né uno pseudonimo (che per noi sarebbe abbastanza essenziale date le circostanze)”.
Firmare con uno pseudonimo non gli è bastato - Il messaggio è rilevante perché circoscrive ulteriormente a quell’11 dicembre il momento in cui cominciò l’esposizione di Regeni e l’attenzione dei suoi confronti da parte degli apparati di sicurezza. Infatti dalla mail si deduce (e la circostanza ci è stata confermata da più persone che erano in contatto con lui) che prima di allora Regeni non aveva scritto alcun altro articolo dal Cairo. E mai aveva collaborato col manifesto. E che era ben consapevole di essere stato presente a un incontro sì pubblico (fu in effetti annunciato anche da alcuni quotidiani) che però era considerato particolarmente pericoloso dal regime. Una conferma gli arrivò durante il suo svolgimento quando una giovane donna egiziana gli si piazzò davanti e scattò una fotografia. Giulio reagì con disappunto. Si preoccupò. Ne parlò con gli amici. E anche per questo avanzò la richiesta – non accolta, stando alla mail – di firmare con uno pseudonimo. Cosa che avvenne – sul sito Nena News – il 14 gennaio. L’articolo fu pubblicato la firma “Antonio Drius”. Una scelta fatta dallo stesso Regeni che mise assieme un nome che gli era molto caro – quello di Gramsci – con un antico cognome di famiglia.
Il cambiamento del metodo della ricerca - Era giunto al Cairo il 5 settembre. E aveva avviato la sua ricerca raccogliendo materiale di documentazione e svolgendo interviste. Dopo alcuni mesi, il metodo cambia. Tanto che Giulio verso ottobre dice a un amico che in un certo senso il ‘vero lavoro’comincia in quel momento. In cosa consiste questo cambiamento? La sua presenza all’incontro dell’11 dicembre fa pensare che avesse cominciato a lavorare alla sua tesi secondo il metodo PAR (Participatory action research) l’”osservazione partecipante”: un approccio diverso da quelli tradizionali perché il ricercatore non si pone in modo freddo e distaccato davanti all’oggetto del suo studio, ma ne diventa egli stesso parte attiva. E’ un metodo scientifico riconosciuto. Ma certamente ignoto agli aguzzini del Mukhabarat per i quali la presenza di due ricercatori occidentali a un incontro dell’opposizione sindacale evoca scenari totalmente diversi. Se poi a questo si aggiunge un articolo che fa propria quella visione e richiama i valori della Primavera araba il sospetto, nella logica paranoica dei servizi di sicurezza di un paese governato dai militari, può diventare una certezza.
Un incontro col leader del sindacato degli ambulanti - Ma quando fu deciso questo cambio di metodo, Giulio ne parlò con i suoi supervisori? E in tal caso fu adeguatamente valutato dai docenti di Cambridge il fatto che il giovane ricercatore si stava esponendo a dei pericoli che, quando partì per l’Egitto, non erano stati messi in conto? Sono le domande alle quali si tenta di dare una risposta ascoltando la professoressa Maha Abdel Rahman. Anche per capire se, oltre all’assemblea dell’11 dicembre, il giovane ricercatore avesse riferito altri momenti di contatto diretto con gli ambienti che erano oggetto della sua ricerca e quali. Uno viene segnalato dal Corriere della Sera oggi in edicola. Giulio Regeni avrebbe avuto un incontro col leader del sindacato degli ambulanti e avrebbe anche comunicato l’idea di presentare una domanda alla “Antipode Foundation”, una fondazione che finanzia progetti per “promuovere analisi radicali su questioni geografiche e spingere per lo sviluppo di una società nuova e migliore”. Si tratta di progetti che mettono assieme Organizzazioni non governative e università internazionali. Due dei più terribili tra i mostri che si aggirano negli incubi della dittatura di Abd Fattah al Sisi.