Migliaia di donne palestinesi e israeliane unite per la pace marciano nella travagliata regione spezzata dalla barriera israeliana della West Bank. Una notizia silenziata dei media italiani, che riprendiamo tardivamente da Terra Santa on line, 20 ottobre 2016, con link a un ampio servizio illustrato del Washington Post
Migliaia di donne hanno partecipato a una marcia perchiedere la pace tra Israele e Palestina
Si è conclusa ieri a Gerusalemme, davanti allaresidenza ufficiale del primo ministro israeliano, l'ultima iniziativa delmovimento Donne che fanno la pace. La cui azione prosegue.
«Sapete una cosa? Quando ci si mette dalla parte dellaverità, la pace è destinata ad arrivare». Leymah Gbowee è l’attivista liberianache nel 2011 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace (assieme a Ellen JohnsonSirleaf e alla yemenita Tawakkul Karman) per aver guidato il movimentononviolento composto da donne cristiane e musulmane che è stato cruciale nelporre fine alla guerra civile in Liberia.
Ieri sera però Gbowee non parlava dell’Africa. Dalpalco di fronte alla residenza del primo ministro di Israele a Gerusalemme, sirivolgeva alle migliaia di israeliane e israeliani che si sono radunati perconcludere una marcia pacifica iniziata 15 giorni fa nel nord del paese. LaMarcia della Speranza è l’ultima iniziativa di WomenWage Peace(Le donne fanno la pace), il movimento fondato da un piccolo gruppo diisraeliane nell’estate del 2014, durante l’ultimo attacco a Gaza. Ci siincontrava nelle case per confrontarsi sulla «situazione», pensare a strategiecreative per costringere la politica a rimettere un accordo di pace in cimaall’agenda.
Il gruppo si è allargato nell’arco di poche settimanee oggi Women Wage Peace conta sul sostegno di migliaia di donne in tuttoil Paese. Laiche, religiose, di destra o sinistra, colone, musulmane, ebree ecristiane, donne provenienti da ogni settore della popolazione unite da unarichiesta: «Che i nostri leader politici lavorino con rispetto e coraggio,includendo la partecipazione delle donne per trovare una soluzione alconflitto. Solo un accordo politico onorevole può assicurare il futuro deinostri figli e nipoti».
L’anno scorso in commemorazione dei bombardamenti suGaza del 2014, le donne del movimento organizzarono l’Operazione digiuno,montando una tenda davanti alla residenza del primo ministro e digiunando aturno per 50 giorni - l’equivalente della durata del conflitto. Sotto la tendabianca si fermarono cittadini comuni, membri del Parlamento, come Tzipi Livni eIsaac Herzog, intellettuali come Tszvia Walden, la figlia di Shimon Peres. Unanno dopo il movimento è tornato davanti alla residenza di Benjamin Netanyahuper concludere la Marcia della Speranza. Un evento durato 14 giorni che haincluso micro-marce in tutto Israele e, secondo le organizzatrici, ha coinvolto20 mila persone. Tra queste, anche donne palestinesi e giordane che hannomarciato dalla loro parte del confine.
«Le marce locali sono state meravigliose, ed è statoimportante riuscire a esser attive in tutto il Paese, da Eilat su fino a Metulae Rosh Hanikra. A Gerico eravamo duemila, tra cui molte palestinesi». MichalShamir è una professoressa d’arte, insegna al Sapir College che si trova neldeserto del Neghev, vicino a Sderot. Conosce la vita fatta di sirene cheiniziano a suonare all’improvviso e corse verso i rifugi antiaerei ogni voltache dalla Striscia di Gaza partono i lanci di razzi. Fa parte di Women WagePeace dall’inizio e ora è responsabile del «giorno dopo». «Women WagePeace non si ferma. Costruiremo una sukkah (la struttra temporaneafatta di legno, tende e fogliame che gli ebrei costruiscono per la Festa delleCapanne - Sukkot - che si celebra in questi giorni) e saremo qui finoalla conclusione di Sukkot lunedì prossimo», spiega Michal. Abbiamo unprogramma di eventi, e ospiti che ci faranno visita. Poi fino al 30 ottobre,quando il Parlamento riaprirà i lavori per il nuovo anno, ci sarà un alternarsidi donne che per un’ora staranno a piedi nudi davanti alla casa del premiercome segnale di presenza».
La partecipazione delle donne palestinesi è stataorganizzata da Huda Abuarqoub, attivista nata a Gerusalemme e cresciuta aHebron, direttrice regionale dell’Alleanza per la pace in Medio Oriente.Parlando dal palco ieri sera ha detto: «Sono qua con donne che hanno sceltocoraggiosamente di intraprendere una strada che non è ancora percorsa. Unastrada di speranza, amore, luce, dignità, inclusione e riconoscimentoreciproco. E sono anche qui per dirvi, sì, avete un partner, lo avete visto».
Anche Leymah Gbowee, che è arrivata dalla Liberia pertrascorrere assieme alle donne di Women Wage Peace gli ultimi tre giornidella marcia ha parlato di inclusione e presenza. «Questi giorni sono stati perme un tonante sì: la pace è possibile. Questi giorni sono una manifestazione eun messaggio: davvero c’è un partner per la pace», ha detto ieri sera dal palcoa Gerusalemme. E martedì durante un incontro alla comunità arabo-ebraica di NevéShalom-Wahat Al-Salam, Gbowee ha lanciato alle donne un messaggio chiaro:«Fare la pace è una cosa difficile, richiede un prezzo. Richiede diavventurarsi in luoghi che non avete mai immaginato assieme alle vostre sorellepalestinesi. Vi farà perdere amici e sacrificare la famiglia. Se non sietepronte, fate un passo indietro». Ieri concludendo il suo intervento ha promessodi fare tutto il possibile per sostenere israeliane e palestinesi nel loropercorso: «Avete alleati in Africa, in Asia, Europa, in tutto il mondo». La piazzaha ascoltato attentamente e gli applausi liberatori non fanno pensare a unpasso indietro.