Repubblica,l'Unità, il Fattoquotidiano. 17 aprile 2017
«I "Sì" alle riforme costituzionali che assegnano tutti i poteri al presidente ottengono il 51,3% contro il 48,7 dei "No". Vantaggio esile ma sufficiente a cambiare il volto del Paese. Che si avvia a diventare una autocrazia di stile mediorientale. Il presidente: "Decisione storica che tutti devono rispettare". E sulla reintroduzione della pena di morte possibile una nuova consultazione»
ISTANBUL - Una vittoria sul filo di lana, per Recep Tayyip Erdogan. I "Sì" alle riforme costituzionali che in Turchia gli assegneranno tutti i poteri hanno ottenuto il 51,3 per cento dei consensi, contro il 48,7 dei "No". Un vantaggio risibile, ma sufficiente a cambiare il volto del Paese. L'opposizione sostiene tuttavia che molti voti non sono validi, e anzi parla apertamente di brogli, perché un alto numero di certificati elettorali non presenterebbero il timbro ufficiale.
"La Turchia ha preso una decisione storica di cambiamento e trasformazione" che "tutti devono rispettare, compresi i Paesi che sono nostri alleati", ha detto Erdogan, nel suo primo discorso dopo la vittoria. "La Turchia ha preso la sua decisione con quasi 25 milioni di cittadini che hanno votato sì, con quasi 1,3 milioni di scarto. È facile difendere lo status quo, ma molto più difficile cambiare", ha detto Erdogan, ringraziando i leader dei partiti che hanno sostenuto il 'Sì' al referendum. "Voglio ringraziare ogni nostro cittadino che è andato a votare. È la vittoria di tutta la nazione, compresi i nostri concittadini che vivono all'estero. Questi risultati avvieranno un nuovo processo per il nostro Paese", ha concluso il presidente turco.
In ogni caso, non appena le autorità vidimeranno la correttezza dello svolgimento sul referendum, nuovi scenari si apriranno da ora in poi per la Turchia. E cioè quelli di un Paese molto più vicino a una autocrazia di stile mediorientale, che alla realtà pensata dal fondatore della Repubblica, Mustafa Kemal, detto Ataturk, il padre dei turchi, di una nazione laica e candidata all'ingresso nell'Unione Europea.
Perché anche questo aspetto è destinato, fin da subito, a cambiare. Il "Sultano", come lo definiscono con sprezzo gli avversari, ha già detto di essere pronto a chiamare un nuovo referendum, e questa volta sulla permanenza di Ankara come Paese candidato alla Ue. Poi di essere pronto a un altro, scioccante voto referendario: quello sulla reintroduzione della pena di morte in Turchia, misura eliminata nel 2004 proprio in virtù di un auspicato ingresso del Paese della Mezzaluna in Europa. E arringando la folla, Erdogan ha promesso la questione sarà discussa con gli altri leader politici e che potrebbe essere oggetto di un nuovo referendum.
Con un comunicato la Commissione europea fa sapere che "in considerazione del risultato del referendum e le implicazioni di vasta portata delle modifiche costituzionali, anche noi chiediamo alle autorità turche di ricercare il più ampio consenso possibile a livello nazionale nella loro attuazione".
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I primi risultati usciti alle 4 del pomeriggio, non appena le urne si sono chiuse, davano una vittoria schiacciante per i "Sì": addirittura il 65 per cento contro il 35 assegnato al fronte del "No" riconducibile all'opposizione rappresentata principalmente dal partito repubblicano, di ispirazione socialdemocratica, che si contrappone ai conservatori di origine religiosa fondati dal Capo dello Stato Erdogan.
Poi, via via, il consenso per i fautori delle modifiche costituzionali è andato assottigliandosi, arrivando a un risicato 51,3 dei voti. Tanto bastava tuttavia per far gridare Erdogan, e il suo premier Binali Yildirim, alla vittoria.
A quel punto era l'opposizione a definire il risultato come irregolare. E il vice-leader del principale partito di opposizione, Bulent Tezcan, commentava la decisione repentina del Consiglio elettorale supremo di autorizzare per la prima volta il conteggio delle schede senza timbro ufficiale nel referendum costituzionale sul presidenzialismo, a meno che non venga provato un loro impiego fraudolento, come illegittima. "Il Consiglio elettorale supremo ha cambiato le regole del voto - denunciava Tezcan - questo significa permettere brogli creando un serio problema di legittimità".
In ogni caso Erdogan avrà ora mano libera su tutto il campo. Non solo il suo partito ha la maggioranza in Parlamento, ottenuta alle elezioni del novembre 2015 con il 49,9 per cento dei voti. Ma adesso potrà assumere in sé i poteri esecutivo, giudiziario e legislativo, senza più controlli da parte dell'Assemblea di Ankara, di fatto depotenziata nonostante l'aumento proposto dei deputati da 550 a 600. Il quarto potere, con più di 150 giornalisti in carcere per aver espresso le loro opinioni e tacciati di "sostegno al terrorismo", è già impaurito e silenziato.
Erdogan, dal 2019, potrà essere rieletto per due termini consecutivi di 5 anni ciascuno, con una prelazione per ulteriori cinque anni. Scatto che lo porterebbe, in teoria, a rimanere in carica fino al 2029, e poi addirittura al 2034. Un potere a vita, in pratica, visto che l'uomo forte della Turchia è alla guida del Paese dal 2002, prima come premier e poi come presidente della Repubblica. Come capo dello Stato rimarrebbe infatti la sola figura di riferimento, poiché l'incarico di premier verrebbe abolito. Ci saranno solo due vice presidenti, e i ministri verranno nominati direttamente dal presidente, ma in maniera esterna al Parlamento, a cui i titolari dei dicasteri non presterebbero responsabilità. Un potere illimitato, e a questo punto difficilmente arginabile. Se mai lo sia stato, fino ad ora.
«Dare un segnale: stop al negoziato per l’adesione alla Ue»
La Pasqua ci consegna una Turchia che scivola fuori dai confini della democrazia “tradizionale”, come abbiamo avuto la fortuna di conoscerla da questa parte del mondo.
Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha ottenuto il proprio obiettivo: la vittoria degli evet (sì in turco) al referendum sulla nuova costituzione ha confermato il voto del parlamento e consegnato al presidente poteri quasi assoluti. Il referendum si è svolto in condizioni di grande tensione, dato il perdurare dello “stato d’emergenza” dichiarato il 15 luglio 2016 (quando si verificò il fallito colpo di Stato) e da allora mai cessato, anzi.
La Turchia si trasforma così da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale. Il presidente sarà anche capo del governo perché la riforma, tra le altre cose, elimina la figura del primo ministro; nominerà e revocherà a suo piacimento i ministri; potrà con decreti presidenziali intervenire su molte materie senza passare dal parlamento; potrà nominare direttamente i vertici dell’esercito e dei servizi segreti, i rettori delle università, i dirigenti della pubblica amministrazione, buona parte dei giudici.
Basterebbe questo per rendere allarmante la situazione, ma c’è dell’altro.
Dal giorno del fallito (finto?) colpo di stato l’attuale presidente Erdogan e il governo turco hanno arrestato 43mila persone, sequestrato 800 società, chiuso giornali ed emittenti televisive, mandato in carcere 150 giornalisti (per 16 è stato chiesto l’ergastolo), allontanato dal lavoro 140mila dipendenti pubblici (tra cui funzionari, dirigenti, giudici, poliziotti). Con una complessa rete di relazioni, poi, il presidente turco controlla anche le principiali aziende del paese. Una riforma in senso presidenziale proposta da una guida politica che ha fatto tutto questo, non può che spaventare.
Per l’Europa e “l’Occidente” si pongono molti interrogativi sull’atteggiamento da tenere con la Turchia, che non solo è membro della NATO (dal 1952), non solo è un “cuscinetto” tra noi e il caos mediorientale, ma è anche uno stato che per lungo tempo Europa e Stati Uniti hanno corteggiato illudendola addirittura di poter diventare l’avamposto dell’occidente in Medio Oriente.
Erdogan, salvo colpi di scena, rimarrà in carica fino al 2029: lo farà grazie al fatto che sì, rimane il limite dei due mandati, ma l’approvazione di una nuova costituzione azzera il “conteggio” e dalle presidenziali del 2019 il presidente in carica potrà ricandidarsi e farlo successivamente anche nel 2024.
Non si potrà rimanere indifferenti di fronte alle prevaricazioni portate avanti dal suo regime, ma purtroppo Erdogan sarà un difficile e obbligato interlocutore per tutti. A maggior ragione l’Europa non può pensare di rispondere con un ritorno ritorno agli Stati-nazione come vorrebbero i vari Grillo, Salvini, Le Pen, Orban, May.
Serve più Europa, serve un’Europa più compatta, capace di progredire nel processo di integrazione portando con sè tutti i paesi membri; ma impedendo a chi non ci vuol stare di bloccare tutti gli altri.
C’è una cosa che si potrebbe fare subito e che darebbe un “segnale” importante: l’interruzione del negoziato (per me poco sensato) avviato nel 2005 per l’adesione della Turchia all’Unione europea e da tempo arenato. Sarebbe un atto di difesa dei valori democratici e liberali che assegnerebbe autorevolezza a chi lo promuovesse.
Il Fatto Quotidiano online
REFERENDUM TURCHIA, ERDOGAN VINCE MA IL PAESE È SPACCATO: IL SUPER PRESIDENZIALISMO PASSA CON IL 51%
di FQ
«Dopo settimane di infuocata campagna elettorale Ankara vara la riforma costituzionale voluta dal presidente, ma il voto referendario non è esattamente un plebiscito: i No alla Sultanizzazione, infatti, sfiorano quota 49%, con un affluenza all'84%. Decisivo il voto nelle campagne mentre nelle grandi città vince il fronte anti Erdogan. L'opposizione accusa: "Voto illegittimo: conteggiate anche schede senza timbro ufficiale". Ora Erdogan può restare fino al 2034»
l presidente può esultare ma quella che esce dalle urne è una Turchia praticamente spaccata in due: da una parte ci sono i sostenitori fedeli a Recep Tayyip Erdogan, dall’altra quelli che invece non vogliono la Sultanizzazione del Paese. E dunque non vogliono nemmeno un Sultano. A vincere il referendum costituzionale sono i primi, ma sul successo si allungano subito le proteste da parte dell’opposizione che parla esplicitamente di “brogli” elettorali e annuncia la richiesta di riconteggio delle schede.
Dopo settimane di infuocata campagna elettorale, in ogni caso, Ankara svolta verso il super presidenzialismo voluto da Erdogan, anche se il voto referendario non è esattamente un plebiscito in favore del presidente. Secondo i dati diffusi dall’agenzia Anadolu, infatti, i Sì alla riforma costituzionale sono “appena” il 51,33% dei voti, contro i No che alla fine di una lunga rincorsa si fermano a quota 48,67 %. Da segnalare che il fronte contrario alla riforma vince sia ad Ankara che ad Instabul – cioè nella capitale e nella città in cui Erdogan è stato sindaco per anni. Decisivo, invece, per la vittoria del Sì il voto nelle province più periferice e nelle campagne.
Alla fine a dividere le due facce del Paese poco più di un milione di preferenze: 24 milioni e 819 mila turchi hanno votato per la riforma approvato dal parlamento il 21 gennaio scorso, mentre sono 23 milioni e 526 mila i voti espressi contro il super presidenzialismo, quando lo scrutinio è ormai arrivato al 99% delle schede. Numeri da non sottovalutare dato che l’affluenza è stata molto alta, quasi all’84%: su oltre 55 milioni di elettori, quasi 49 milioni sono andati a votare.
Le urne sono state chiuse alle 16, ora italiana, lo spoglio è cominciato subito dopo e aveva dato subito in largo vantaggio il fronte pro Erdogan con il Sì che era dato superiore al 60%. Una percentuale che si è abbassata via via che le scrutinio andava avanti. Alla vigilia, d’altra parte, si registrava qualche incertezza sull’esito del voto con i No che erano addirittura dati in vantaggio. Negli ultimi giorni, però, la tendenza si è rovesciata a favore del Sì, dopo una partenza in sordina. E alla fine dunque, il voto decisivo di un milione e trecentomila turchi fa vincere la grande scommessa ad Erdogan, il presidente uscito vincitore dal tentativo di colpo di Stato del luglio scorso: adesso potrebbe restare al potere fino al 2034.
Il clima post scrutinio, però, appare tutt’altro che rilassato. Subito dopo la diffusione dei primi dati sullo scrutinio, infatti, il Chp – principale partito di opposizione – ha messo in dubbio la legittimità del voto. Il motivo? La dichiarazione apparsa sul sito della Consiglio elettorale supremo turco (Ysk) qualche ora prima della chiusura delle urne segnalava che sarebbero state conteggiate anche le schede non timbrate dai funzionari, a meno che non si potesse provare che le stesse schede fossero contraffatte. La decisione, precisano dalla commissione, è giunta dopo che diversi votanti hanno segnalato che erano state consegnate loro schede senza timbro. In passato, queste venivano considerate nulle. “L’Alta commissione elettorale ha sbagliato, consentendo la frode nel referendum”, ha detto Bulent Tezcan, vice presidente Chp, ai giornalisti presenti nel quartier generale del partito ad Ankara. “Il Consiglio elettorale supremo – ha continuato Tezcan – ha cambiato le regole del voto. Questo significa permettere brogli“, creando “un serio problema di legittimità“. Il Chp ha dunque annunciato che chiederà di ricontare il 37% delle schede scrutinate. Che l’esito ufficiale sia Sì o No, contesteremo 2/3 delle schede. I nostri dati indicano una manipolazione nell’intervallo del 3-4%”, scrive invece su twitter l’account ufficiale del Partito Democratico dei Popoli (Hdp), la formazione turca che unisce le forze di sinistra e filo-curde.
Parole dure quelle di Tezcan, alle quali replica in qualche modo il primo ministro della Turchia, Binali Yildirim. “La nazione ha fatto la sua scelta. Questa è una nuova pagina nella storia della nostra democrazia, il risultato verrà usato per garantire la pace e la stabilità della Turchia”, ha detto il premier nella prima dichiarazione ufficiale dopo il voto. “Non ci fermeremo – ha aggiunto – andremo avanti dal punto in cui eravamo arrivati”.
Nel frattempo piazza Taksim, uno dei luoghi più frequentati della zona europea di Istanbul e palcoscenico di duri scontri tra manifestanti e polizia nel 2013, è stata chiusa al traffico per ragioni di sicurezza. Nelle altre zone della città, invece, i sostenitori di Erdogan, festeggiano.