Il manifesto, 19 ottobre 2017 nell’intervista di Chiara Cruciati la fortedenuncia di Jeff Halper, l’attivista israeliano che da una vita combatte per idiritti della Palestina; nella cronaca di Michele Giorgio i recenti atti direpressione dei soldati di Israele contro i palestinesi.
HALPER: «GUERRE CONTRO I POPOLI: IL MODELLO È ISRAELE»Chiara Cruciati intervista Jeff Halper
«Il capitalismo globale reprime i popoli usando il concetto di pacificazione. Ma l’Occidente non ha molta esperienza in questo tipo di conflitti. E Israele gli fornisce armi e high tech», spiega lo storico attivista israeliano Jeff Halper
Guerre contro-insurrezionali, anti-terrorismo,guerre non convenzionali, limitate, guerre a bassa intensità. Nell’ultimodecennio il mondo ha assistito alla trasformazione del concetto di conflittomilitare: da guerre tra Stati e eserciti a guerre contro i popoli. Repressione,stato di polizia, frontiere chiuse al passaggio di esseri umani ne sono laplastica rappresentazione.
In cima alla piramide del mercato globale dellasicurezza c’è Israele, paese che conduce da 70 anni una guerra contro un interopopolo, quello palestinese. Ne abbiamo discusso con ©, fondatore di “The People Yes! Network" e di “Icahd,Comitato israeliano contro la demolizione di case”. In questi giorni è in Italia per la presentazionedel libro La guerra contro il popolo. Israele, i palestinesi e lapacificazione globale (Ed. Epokè).
I sistemi usati oggi in Europa per impedirel’ingresso dei rifugiati lungo le rotte terrestri sono spesso made in Israel.
«Muri, sistemi di sorveglianza, barriere high techche individuano i movimenti umani: è tutto israeliano. Israele vende in Europale tecnologie di confine sviluppate sui palestinesi a Gaza e in Cisgiordania.Questa è la Palestina globalizzata. Israele sa che i palestinesi nonrappresentano alcuna minaccia ma forniscono un conflitto di basso livello chegli permette di sviluppare armi e sistemi di sicurezza e sorveglianza daesportare sul mercato globale. Israele è all’avanguardia perché ha un popolointero da usare come cavia da laboratorio».
Il libro introduce i concetti di «conflittosecuritario» e «industria globale della pacificazione». Perché il modelloisraeliano è diventato globale?
«L’occupazione israeliana va posta oggi all’internodel sistema capitalista globale che, entrato in crisi, è divenuto maggiormentecoercitivo. Cambia anche la guerra: dalle guerre tra Stati, convenzionali, si èpassati oggi a guerre contro i popoli, repressive di istanze popolari e a bassaintensità. Il capitalismo globale reprime i popoli utilizzando il concetto dipacificazione, ovvero una forma di repressione popolare che rende la baseincapace di reagire e riorganizzarsi.
«E, a parte il caso del Vietnam per gli Stati uniti,il nord globale – il centro del sistema capitalista mondiale – non ha moltaesperienza in questo tipo di conflitti. Ed è qui che Israele si inserisce: hale armi, le tattiche, il sistema di sicurezza e sorveglianza, il sistema dicontrollo della popolazione a cui oggi anelano le classi dirigenti di tutto ilmondo. E questo dà a Israele un potere nuovo, sul mercato militare ma anche sulpiano politico».
Un know how militare che si traduce in cartamonetapolitica e diplomatica?
La sua incredibile influenza è proporzionale albisogno che di Israele ha il capitalismo globale. La chiamo la «politica dellasicurezza» che intreccia l’economia israeliana (fondata sulla commistione traindustria bellica e high tech) a influenza politica internazionale.
Alcuni esempi. L’avvicinamento alla Cina: Israele èil secondo o il terzo esportatore di armi a Pechino, tradizionalmente vicinaalle istanze palestinesi. O la normalizzazione con l’Arabia saudita che sulpiano ideologico dovrebbe essere una nemica ma con cui condivide obiettivi(l’Iran) e bisogni (la repressione interna)».
Durante le proteste di Black Lives Matter negliUsa, gli attivisti palestinesi inviavano consigli su come resistere allecariche della polizia. Se il sistema securitario si globalizza, se ilcapitalismo si globalizza, è possibile che si globalizzi anche la resistenza?
«Il problema è l’assenza della sinistra. Ilcapitalismo è globalizzato, la cooperazione è globalizzata, gli Stati sonoglobalizzati e lo sono anche terrorismo e reti criminali. Solo la sinistra nonriesce a globalizzarsi. Il movimento delle donne non parla agli attivistipro-palestinesi, il movimento per il clima non parla a quello per i dirittidegli afroamericani e così via. I movimenti di base tendono a restare isolati,limitati, a concentrarsi su temi specifici senza fare i dovuti collegamenti conaltre questioni.
«La ragione sta nell’incapacità della sinistra divedere il quadro completo. Le nuove generazioni sono nate e cresciute sotto ilmodello globale del neoliberalismo, un sistema che ha annullato i movimentiglobali e distrutto la collettività, imponendo l’individualismo e la riduzionedei cittadini a consumatori. La sinistra dovrebbe dotarsi di un’agenda globaleche leghi le diverse questioni».
Il neoliberismo vive anche istigando la guerra tragli ultimi.
«Leopinioni pubbliche si sono assuefatte alla violenza di questo modellosecuritario. Il cittadino medio pensa a come proteggersi da soggetti cheapparentemente mettono in pericolo il suo lavoro, la sua casa, i suoi interessi,affibbiando le responsabilità del neoliberismo ai soggetti da questo esclusi.Anche qui Israele è modello ad una visione distorta, al non-impatto del modellorepressivo sulla società».
RAID NELLE SEDI DEIMEDIA PALESTINESI,
ALTRE 2600 CASE PER I COLONI
di Michele Giorgio
«Cisgiordania. Pugno di ferro di Israele nei Territori occupati dopo l'annuncio del governo Netanyahu che non negozierà con un governo palestinese con all'interno il movimento islamista Hamas».
Arresti notturni in Cisgiordania, migliaia di nuove case per coloni, demolizioni di abitazioni a Gerusalemme Est e raid dell’esercito nelle sedi di organi d’informazione palestinesi. Tutto nel giro di poche ore. Notizie che certo non rappresentano una novità nei Territori palestinesi che Israele occupa del 1967. Tuttavia questa escalation potrebbe essere collegata alla decisione del governo Netanyahu di far uso del pugno di ferro contro la riconciliazione tra il movimento islamista Hamas e il partito Fatah.
L’altro giorno è passata nell’esecutivo israeliano la linea del ministro ultranazionalista Naftali Bennett che aveva chiesto di dare una risposta forte all’accordo al Cairo tra le due principali forze politiche palestinesi divise per dieci anni da uno scontro devastante. Il premier Netanyahu che, secondo gli analisti aveva inizialmente scelto una posizione più prudente, ha deciso che il suo governo non negozierà con quello palestinese se al suo interno ci sarà anche Hamas del quale è tornato a chiedere il disarmo.
«Le decisioni del gabinetto israeliano sono una scusa per arrivare a un punto morto» denunciano i palestinesi. Il «no» di Netanyahu al negoziato con il futuro governo di unità nazionale avrebbe lo scopo, aggiungono, di aprire la strada al “piano di pace” dell’Amministrazione Trump che, secondo le indiscrezioni, propone la soluzione della questione palestinese nel quadro di una trattativa tra Paesi arabi e Israele.
Sono 1.323 i nuovi alloggi che saranno costruiti per i coloni israeliani nella Cisgiordania occupata, dove ieri un palestinese avrebbe tentato di accoltellare un soldato israeliano ma è stato bloccato e ferito. Un numero che porta, in appena tre giorni, a 2.646 il totale delle nuove unità abitative negli insediamenti coloniali, rivela l’organizzazione pacifista Peace Now. A questi appartamenti si aggiungono i 31 approvati lunedi, per la prima volta dal 2002, per i coloni nella città di Hebron. Una colata di cemento che non turba il leader dell’opposizione laburista Avi Gabbai che a inizio settimana aveva escluso l’evacuazione anche di una sola colonia nel quadro di un accordo di pace. Poi ha fatto una parziale retromarcia.
Invece vengono demolite subito le case palestinesi “illegali” nei territori sotto occupazione. Tra martedì e ieri le ruspe del comune israeliano di Gerusalemme hanno trasformato in un cumulo di macerie un edificio nel quartiere di Beit Hanina e due abitazioni a Silwan. «Ai palestinesi vengono rilasciati pochi permessi edilizi mentre dal 1967 i governi di Israele sono stati coinvolti nella costruzione a Gerusalemme Est di 55mila case per israeliani contro le 600 per i palestinesi», ricorda Daniel Seidemann di “Terrestrial Jerusalem”. L’Onu riferisce che dall’inizio dell’anno sono stati demoliti a Gerusalemme 116 edifici palestinesi.
Sarebbero parte, secondo il portavoce militare israeliano, di una operazione dell’Esercito contro «l’istigazione alla violenza e al terrorismo» i raid compiuti martedì notte negli uffici di otto redazioni giornalistiche palestinesi a Betlemme, Nablus, Ramallah e Hebron, città che ufficialmente sono sotto la piena autorità, anche di sicurezza, dell’Anp di Abu Mazen. I soldati hanno sequestrato computer, documenti, filmati, registrazioni audio negli studi di Pal Media, Ram Sat, Trans Media, Al Quds, Al Aqsa, Palestine Alyoum e di altre due emittenti.
«È stata una brutale aggressione. L’occupazione israeliana vuole prevenire la copertura mediatica delle atrocità che compie», ha protestato il portavoce dell’Anp, Yousif Mahmoud. Immediata la replica dell’Esercito: «Le forze di sicurezza continueranno a lavorare contro l’incitamento al terrorismo». Da Londra la Commissione di sostegno ai giornalisti (Journalist Support Committee) ha condannato i raid, sottolineando che sono 33 i reporter palestinesi nelle prigioni israeliane, gli ultimi due, arrestati ieri, sono i fratelli Amer e Ibrahim al Jaabari di Trans Media. Nelle stesse ore sono stati arrestati altri 16 palestinesi.