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Judith Butler e Paola Rudan
Se torna il servizio civile
2 Agosto 2015
Democrazia
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Come pagare le tasse (diceva Padoa-Schioppa) ha un’intrinseca bellezza (perché sono i liberi che si assegnano quell’obbligo per vivere autonomamente), così lo è il servizio civile alla comunità, un impegno di cittadini liberi verso se stessi».

La Repubblica, 2 agosto 2015.

Sulla pagina Facebook della Lega Nord si legge questo post: «La Lega sta preparando una proposta di legge per reintrodurre il servizio civile e militare obbligatorio per i maggiorenni. Rispetto per il prossimo, spirito di sacrificio, generosità. Voi sareste d’accordo?». Sembra un anacronismo: sia la proposta di legge che l’appello ai sentimenti repubblicani. L’annuncio ha ricevuto una valanga di critiche, soprattutto dai giovani deputati del Pd. Nella sua Amaca, Michele Serra ha commentato così queste due notizie: mentre «sbertucciano » Salvini, forse i giovani deputati del Pd non sanno che la leva obbligatoria è stata «per molti decenni, uno dei punti fermi della cultura socialista e comunista». E prima ancora, vi è da aggiungere, di quella democratica.

L’obbligo del servizio militare non era campato per aria, visto che dall’Ottocento una delle più importanti giustificazioni dell’estensione del suffragio elettorale fu il servizio alla nazione, con il lavoro e con l’arruolamento. Certo, questa visione della libertà politica da “meritarsi” è stata, per nostra fortuna, superata dalla concezione del diritto politico come un diritto umano fondamentale, attaccato, se così si può dire, alla persona del cittadino; un diritto che non deve essere meritato.

E però, la leva obbligatoria in democrazia ha un fondamento molto diverso e anche più realistico: quello della sicurezza delle istituzioni. L’esercito di una democrazia non è di offesa (la nostra Costituzione chiarisce molto bene che la Repubblica aborre la guerra) bensì solo ed esclusivamente di difesa. Ma la ragione per la quale “un esercito di popolo” è preferito dalle democrazie non sta tanto o soltanto nella sicurezza rispetto al nemico esterno ma anche e prima di tutto rispetto ai nemici interni. Come ricorda opportunamente Serra, «un esercito di popolo» è stato tradizionalmente giudicato molto più sicuro di «un esercito di professionisti » ai fini della difesa dell’ordine politico democratico.

Questa ragione realistica è stata superata dall’appartenenza dei nostri Paesi all’Europa, che ci ha abituati a pensare non più in termini di eserciti e di difesa da nemici (e quindi di una pace armata), ma in termini di cooperazione fra diversi e quindi di una pace vera, non armata (lasciando però alla Nato e agli Stati Uniti l’onere della nostra difesa). Ma in aggiunta a questa ragione realistica ve n’è un’altra, etica, che Serra coglie molto bene: «Per una società narcisista e liquida come la nostra ripensare a un periodo (obbligatorio e uguale per tutti) nel quale si mettono da parte le proprie esigenze e ci si dedica agli altri sarebbe rivoluzionario. Le istanze pacifiste e militariste, non solo rispettabili ma anche decisive nella cultura della sinistra libertaria, sarebbero ampiamente garantite dalla scelta tra leva civile e leva militare». È così scandaloso avanzare questa proposta?

In questi giorni si è fatto largo uso dell’argomento “non lasciamo la battaglia per meno tasse alla destra”. Molto più pertinente sarebbe applicare lo stesso schema argomentativo alla cultura del servizio civile e della solidarietà di cittadinanza. Il fatto è che queste due prerogative stanno su opposte sponde poiché una propone che sia etico ritirarsi dall’impegno verso la società e concentrarsi sui propri interessi, mentre l’altra suggerisce che sia etico dare più impegno.

Dietro la proposta di Salvini vi è, certamente, una nemmeno troppo velata propaganda nazionalista, una lettura del patriottismo come sentimento di sacrificio verso una patria identitaria che esclude e discrimina chi non vi è parte, una visione ben poco attraente. Tuttavia, deve fare riflettere il fatto che la proposta di ripensare a una riforma del modo di concepire il servizio dei cittadini verso se stessi — ovvero degli uni agli altri — venga da destra e sia castigata dalla sinistra. La quale ha abbracciato una cultura dei diritti invididuali, attenta alla libertà della scelta individuale, e tuttavia non è sensibile a questa cruciale implicazione: una cultura dei diritti dell’individuo non esclude un’etica della cittadinanza che sappia parlare la lingua del servizio.

Non c’è alcun bisogno di rispolverare la dottrina dello stato etico per dare sostegno a questa idea come fa la destra. È cruciale invece rifarsi alla più convincente idea democratica di reciprocità tra liberi e uguali, poiché dare servizio alla nostra comunità di cittadini è una scuola di sentimenti pubblici che ci abitua a pensare in termini di autonomia vissuta, non solo proclamata dai diritti e scritta nei codici. Come pagare le tasse (diceva Padoa-Schioppa) ha un’intrinseca bellezza (perché sono i liberi che si assegnano quell’obbligo per vivere autonomamente), così lo è il servizio civile alla comunità, un impegno di cittadini liberi verso se stessi.

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