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Un eccesso di regolamentazione delle banche sarebbe nocivo e potrebbe ostacolare la crescita. Parola di Douglas Flint, a capo di quella Hsbc al centro dello scandalo SwissLeaks per avere aiutato decine di migliaia di facoltosi clienti ad aprire conti cifrati per nascondere i propri soldi in giro per il pianeta. La stessa ad avere ricevuto nel 2012 1,9miliardi di dollari di multa dalle autorità statunitensi per una vicenda legata al riciclaggio dei proventi dei cartelli della droga messicani.
L’elenco potrebbe continuare, così come potrebbero essere molte altre le banche chiamate in causa per scandali, truffe e crimini che vanno dalla manipolazione dei tassi di interesse (Libor ed Euribor) a quella del mercato delle valute o del prezzo dei metalli, a casi di evasione fiscale, riciclaggio, corruzione e chi più ne ha più ne metta.
Alcuni casi al limite – e spesso ben oltre il limite – della legalità, che non devono nascondere i devastanti impatti della speculazione e delle attività a regime di un sistema responsabile dell’esplosione della peggiore crisi degli ultimi decenni e salvato con montagne di soldi pubblici, secondo il noto principio di socializzare le perdite dopo avere privatizzato i profitti. Dopo la bolla dei subprime, ogni vertice internazionale si è chiuso con roboanti dichiarazioni sulla necessità di chiudere una volta per tutte il casinò finanziario. In quasi otto anni poco o nulla è stato fatto. La speculazione è ripartita come e peggio di prima, le lobby rialzano la testa, mentre passa l’idea che la finanza pubblica sia il problema, quella privata la soluzione. Austerità per Stati e cittadini che hanno subito la crisi, liquidità illimitata per chi l’ha provocata.
Se l’impegno messo nell’imporre politiche devastanti ai governi europei fosse stato indirizzato a regolamentare la finanza privata, probabilmente oggi la situazione in Europa sarebbe parecchio diversa. Sappiamo cosa andrebbe fatto e come procedere: una tassa sulle transazioni finanziarie, limiti all’utilizzo dei derivati, un contrasto ai paradisi fiscali e al sistema bancario ombra, dei controlli sui movimenti di capitale e via discorrendo. Il problema non è di natura tecnica ma nella volontà politica di procedere. Se, grazie alle spinte delle reti della società civile, molti di questi temi sono entrati nell’agenda europea, in troppi casi si va avanti, al meglio, con il freno a mano tirato. Solo per citare un esempio: perché in finanza non esiste un principio precauzionale analogo a quello che impedisce di immettere sui mercati un prodotto finché non se ne dimostri la non pericolosità e nocività? Non posso vendere una lavastoviglie se rischia di allagarmi la cucina, ma posso mettere in commercio un derivato in grado di mettere in ginocchio interi Paesi.
Non solo oggi la finanza crea disastri ed esaspera instabilità e diseguaglianze, ma al culmine del paradosso non fa nemmeno ciò che dovrebbe fare. Da un lato una quantità sterminata di denaro è all’esasperata ricerca di profitti. Dall’altro fasce sempre più ampie della popolazione sono escluse dall’accesso al credito. Domanda e offerta di denaro non si incontrano, nel più clamoroso fallimento di mercato dell’era moderna.
Per questo l’introduzione di regole e controlli è necessaria ma non sufficiente. Prima ancora, occorre ricostruire l’immaginario della crisi che si è imposto in questi anni e che di fatto ne ribalta cause e conseguenze. Perché la finanza dovrebbe essere uno strumento al servizio della società, non l’opposto; dovrebbe essere una parte della soluzione, e non come oggi, uno se non il principale problema.