Anzitutto esprimo il mio apprezzamento per il prezioso servizio svolto da eddyburg, che costituisce per me una fonte quotidiana d’informazione. Mi impegnerò tra l’altro a svolgere un ruolo attivo sulla recente proposta di vertenza per la difesa e valorizzazione dello spazio pubblico, irrinunciabile conquista della disciplina urbanistica e più in generale della democrazia, che è senza alcun dubbio minacciato da una pericolosa tendenza alla privatizzazione del territorio. Habermas, Baumann ed altri studiosi della modernità illustrano come la tendenza alla privatizzazione dello spazio pubblico riguardi ahimè non solo la gestione del territorio ma ogni campo d’azione sensibile per la democrazia come l’informazione, la cultura ecc..Credo che questa battaglia sia di portata epocale e per condurla con qualche speranza di successo si dovrà uscire dagli ambiti strettamente disciplinari e trovare alleati su diversi fronti. Nello specifico disciplinare l’impegno sarà quello di ripristinare un equilibrato rapporto tra investimento privato e investimento in opere pubbliche finanziate con gli oneri di urbanizzazione.
Ma vengo all’argomento che mi ha spinto ad intervenire: Castelfalfi. Ho letto con molto interesse non solo le posizioni illustrate nella cartella appositamente aperta da eddyburg ma anche l’esauriente documentazione inserita nel sito del Garante della comunicazione incaricato di istruire la” pratica partecipativa “. Mi sono occupato per molti anni di progettazione partecipata per il Comune di Roma. Negli ultimi dieci, in qualità di dirigente di un ufficio che si chiama “sviluppo locale ecosostenibile partecipato”, ho maturato esperienza sulle pratiche partecipative ed ho fatto parte del gruppo di lavoro che sotto la guida di Luigi Bobbio ha curato il testo A più voci edito dal Ministero della Funzione pubblica. Questa premessa è necessaria per spiegare (o giustificare?) un mio punto di vista che, malgrado io non svolga più le funzioni di cui sopra , non riesce a spogliarsi ancora del ruolo istituzionale già svolto.
Comprendo una preoccupazione di fondo che turba Salzano, Magnaghi, il WWF, Italia nostra, Legambiente ed altri intervenuti : Castelfalfi è un “tassello del meraviglioso mosaico del paesaggio italiano”( Salzano); un intervento che modifichi alcuni aspetti costitutivi delle colline toscane può rappresentare un pericoloso precedente per spregiudicati investitori pronti allo scempio dell’intero patrimonio paesaggistico della Toscana (vedi la storia di Montichiello). E, in modo più o meno velato, emerge la preoccupazione che il particolare impegno posto dalla Giunta Regionale sulla vicenda Castelfalfi con la predisposizione di un articolato piano di consultazione e l’istituzione di un Garante, che ricalcano le linee della legge regionale sulla partecipazione, approvata da pochi giorni, non derivino solo dalla risonanza anche internazionale suscitata dal caso ma siano un modo surrettizio per entrare nella cittadella delle tutele paesaggistiche usando la partecipazione come cavallo di Troia. Che la partecipazione sia una bandiera talvolta sventolata dal nemico non ho dubbi, che ci siano usi strumentali ne ho alcune prove, che a volte sia confusa ed affrettata ne sono testimone e artefice anche per le scarse risorse di cui disponevo, ma il tema di fondo è: vogliamo o no che si svolgano processi partecipativi? E se si, come si dovrebbero svolgere?
Salzano mostra sfiducia in un processo che consegna le decisioni alla sola comunità di Montaione. Denuncia la mancanza di rappresentanti di comunità più vaste e auspica una partecipazione allargata ai cittadini della Regione su su fino all’Europa per sottolineare la responsabilità collettiva di patrimoni materiali e morali di questa portata. Pone sicuramente un problema serio per la conduzione di processi partecipativi: qual è la comunità di riferimento? Non vi è dubbio che la comunità che decide è quella a cui la legge assegna questo compito,ovvero il Consiglio Comunale di Montaioni previo parere positivo di tutti gli organi sovraordinati e secondo le linee del Piano strutturale adottato e del PIT. La comunità che viene consultata ( sottolineo la differenza tra decisione e consultazione) può e deve essere più vasta in modo da avere il maggior numero di pareri, non escluso quello delle Nazioni Unite . Può sembrare una battuta paradossale, ma voglio ricordare l’utile servizio alla tutela svolto dall’Unesco con il riconoscimento di alcuni luoghi come Patrimonio dell’Umanità. Il processo avviato è di consultazione e può essere ancora esteso ad altri soggetti . Spetta alla sensibilità e all’intelligenza politica del Consiglio Comunale di Montaioni prendere una decisione, la migliore possibile dati i presupposti di base e l’avvenuta consultazione . La politica è l’arte del possibile. Ad ora non può essere altrimenti salvo programmare per il futuro un Piano strutturale intercomunale che indichi le linee di sviluppo di un’area vasta .
La comunità di Montaioni ha cultura e sensibilità sufficiente per comprendere il tesoro di cui dispone, il danno che arrecherebbe all’intera comunità regionale ed europea, e alle generazioni future, in caso di scelta sbagliata? Qui il discorso si fa più complesso e la posizione di Salzano, di Magnaghi ed altri è di sfiducia. Personalmente, ricordando uno slogan maoista, ho più fiducia nelle masse. Come ho potuto verificare in altre circostanze analoghe di confronto con le comunità locali, i numerosi interventi dei cittadini di Montaioni dimostrano sensibilità e conoscenza profonda in merito ai temi della tutela del paesaggio, delle risorse idriche, energetiche, produttive. Se il processo di partecipazione è ben condotto emerge, anche nelle comunità più piccole che con supponenza crediamo non sappiano vedere al di là del loro naso, sensibilità ambientale, difesa dei valori di conservazione laddove costituiscono un patrimonio inalienabile della comunità, consapevolezza delle conseguenze immediate e future delle scelte. Per i progettisti della TUI che dovranno ricalibrare il progetto e per il Consiglio comunale che dovrà decidere, le informazioni emerse dal dibattito pubblico sono molto preziose: se progetto si farà sarà sicuramente migliore di quello presentato. Magnaghi rivendica la scelta di essere “urbanista di parte” e di voler svolgere un ruolo pedagogico per far emergere dalla comunità i valori più autentici dell’autosostenibilità che la privatizzazione e il consumismo impediscono di cogliere. Il dibattito pubblico gli ha consentito di svolgere la sua funzione pedagogica e se quanto ha seminato non ha portato, a suo parere, un buon raccolto, a differenza delle altre situazioni virtuose che cita, ciò è dovuto anche alla elevata posta in gioco. Quando una comunità teme, in una situazione economica complessa e precaria come quella imposta dai processi di globalizzazione, di perdere un’ importante occasione per lo sviluppo rappresentata da un forte investimento privato, non è facile il compito del pedagogo. In uno splendido film di Lars Von Trier, “Dogville” , è rappresentata con rara efficacia la dinamica di una piccola comunità , nella quale il pedagogo è travolto dai fatti, incapace di mediare tra un evento esterno di forte impatto e i sentimenti e istinti più profondi della comunità.
Il punto cruciale della vicenda quindi è il rapporto tra tutela dei valori storici e culturali del territorio e sviluppo economico. E’ rarissimo il caso in cui tutela e sviluppo si sposino felicemente senza prima una serie di litigi. Anzi il più delle volte i litigi sono talmente forti che il matrimonio non si fa. Ma la situazione di Castelfalfi è simile a quella nella quale si trovano centinaia di comunità locali che devono misurarsi con l’intervento privato che da parecchio tempo ha assunto la forma del project financing o del programma complesso o del progetto urbano, in deroga a tutte le forme tradizionali di pianificazione, che per Salzano sono una vera jattura . Si può tornare indietro? Lo vedo molto difficile. D’altra parte le risorse economiche non vanno dove vogliamo noi ma dove trovano convenienza. E’ una legge inesorabile del capitalismo, che ci piaccia o no è il sistema dentro cui operiamo. Che l’economia trovi molto redditizi gli investimenti sulla rendita non ci sono dubbi; che la politica mostri un’ eccessiva subalternità all’economia non ci sono dubbi; che la politica, solo grazie ad esortazioni morali, riprenda il comando sull’economia è assai improbabile. Credo che, volenti o nolenti, è finita una fase dell’urbanistica e se ne sia aperta un’altra, irta di rischi, per la quale non sono stati ancora predisposti tutti gli strumenti di regolamentazione. L’interessante saggio di Camagni dal titolo “il finanziamento della città pubblica”(pubblicato da Eddyburg) mette in risalto la differenza tra il poco che è entrato nelle casse del Comune di Milano nel calcolo degli oneri versati da un investitore privato rispetto alla situazione di Monaco di Baviera dove l’Amministrazione può ottenere fino ai 2/3 dell’incremento di valore derivato dall’investimento. So di casi di Roma e di altre città in cui si è operato con analoga sciatteria o colpevole omissione a danno del pubblico interesse. Regolare queste operazioni con un onesto e responsabile expertise sarà un aspetto determinante per tutelare il bene comune nell’ambito dell’urbanistica contrattata.
Tra i tanti strumenti necessari per regolare la nuova fase c’è anche la partecipazione. Solo una forte partecipazione informata che obblighi il capitale privato ad una negoziazione ad armi pari, per quanto possibile, può riorientare la politica verso una minore subalternità al potere finanziario. Solo la diffusione di nuove forme di democrazia che Attali ,nel suo azzardato saggio futurologico “breve storia del futuro”, chiama “ iperdemocrazia” può contrastare la tendenza dominante che lui chiama “iperimpero del denaro”.
Per tornare a Castelfalfi ritengo, sulla base della mia esperienza, con i limiti di una conoscenza indiretta , che il processo sia stato fin qui ben condotto, che la figura di un Garante esterno,come stabilito dalla legge regionale, sia determinante, per quanto formale (nella partecipazione la forma conta), che i cittadini e le associazioni intervenute abbiano dimostrato una notevole competenza e maturità, che la TUI ha dimostrato una rara disponibilità a mettere tutte le carte sul tavolo, non escluso il piano finanziario ( vedi Camagni). Magari fossero tutti così gli investitori, di solito neanche si presentano nel dibattito pubblico certi come sono degli accordi stipulati nelle segrete stanze! Tuttavia penso che il processo di partecipazione non possa considerarsi concluso: dai resoconti escono fuori molte posizioni,ovviamente non concilianti tra loro, che per essere portate a sintesi hanno bisogno di molto lavoro progettuale. Tutte le posizioni dovrebbero essere riassunte in alcuni scenari di maggiore o minore impatto ambientale ove ci siano indicatori che misurano l’impatto ( aria, acqua, energia, occupazione, eredità storico- culturale, ecc.). E’ peraltro quanto suggerisce la direttiva europea per piani e programmi di rilevante impatto ambientale che si traduce nella strumentazione della VAS ( Valutazione Ambientale Strategica). Sarà la comunità, la più vasta, ad esprimere un orientamento motivato sulla predilezione di questo o quello scenario con la consapevolezza che tale orientamento costituisce non la decisione ma un fondamentale contributo alla decisione, che spetta unicamente agli organismi preposti, i quali si giocano la credibilità politica sulla serietà, intelligenza e lungimiranza della scelta.
Infine per quanto riguarda lo spazio pubblico aderisco alla vertenza con la convinzione che sicuramente la prima cosa da fare sia una battaglia politica per abolire la norma della Finanziaria che obbliga i Comuni a cercare i soldi per le spese correnti nella svendita del territorio (anche se con l’aria che tira non si sa chi saranno gli interlocutori). Ma la principale strada da percorrere sarà il monitoraggio ed il sostegno alle migliaia di vertenze che piccole e grandi comunità locali, anche quelle che si suppongono limitate culturalmente, hanno aperto con le Autorità locali per la difesa e la valorizzazione di spazi pubblici degradati o minacciati di scomparire per l’assalto del capitale privato al territorio. Come in tutte le vertenze è auspicabile che si possano tutte concludere con un accordo, nel quale si ottenga il massimo, dati i rapporti di forza esistenti.