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Eddytoriale 102 (26.03.2007)
10 Giugno 2008
Eddytoriali 2007

Ma vorremmo che fosse migliorata: soprattutto per emendare il linguaggio da alcuni residui “lupeschi” (i diritti edificatori, lo sviluppo del territorio), e per introdurre maggiore efficacia ai suoi principi, soprattutto in materia di difesa del suolo e di diritti dei cittadini.

Della tradizione dell’urbanistica italiana, cancellata ope legis o lasciata cadere in desuetudine dalle pratiche di “governo del territorio” la proposta di legge recupera più d’un elemento. Rende esplicito il “principio di pianificazione”, con una formulazione efficace. Ribadisce la non indennizzabilità dei “vincoli ricognitivi”, cioè delle tutele poste per ragioni oggettive su parti del territorio dotate di qualità o soggette a rischi. Recupera gli standard urbanistici, sia pure con formulazioni non sempre convincenti. Ripristina alcuni apporti della Commissione Giannini (DPr 616/1977) caduti in desuetudine, come i “lineamenti fondamentali dell’assetto del territorio nazionale” quale documento territoriale nel quale le competenze dello stato (dalle infrastrutture alle tutele) dovrebbero trovare la loro sintesi.

Molte delle formulazioni, il rilievo dato – almeno sul piano dei principi e degli impegni generali – al contenimento del consumo di suolo, e la riconduzione della “perequazione” sostanzialmente a ciò che era nella “legge ponte” del 1967, rivelano il tentativo, in gran parte riuscito, di costruire una piattaforma che possa comporsi con le proposte formulate da altre forze politiche del centro-sinistra, in particolare con quelle che hanno fatto propria le “legge di eddyburg”. E se il lavoro parlamentare proseguirà tenendo conto prevalentemente delle due proposte che abbiamo finora citato si può dire senz’altro che la fase della “legge Lupi” è dietro le nostre spalle. Ma a un paio di condizioni.

In primo luogo, occorre correggere alcune espressioni linguistiche tipiche dell’impostazione distruttiva prevalsa nel decennio trascorso, e rivelatrici della sua ideologia. Ne segnaliamo in particolare due.

Negli articoli si parla spesso di “sviluppo del territorio” (espressione che appare fin dall’importante articolo 2 dedicato al “principio di pianificazione”). È un’espressione nemmeno ambigua nel suo significato, poiché il suo uso discende dal termine anglosassone “development” e indica la trasformazione del territorio per l’attuazione di un piano di lottizzazione o simile. “Sviluppo del territorio” allude alla Cascinazza di Monza, non all’emersione improvvisa dal mare dell’isola Ferdinandea. È un termine non adoperato dai geologi, ma dai promoters di operazioni immobiliari. In un testo che, nei suoi principi, dichiara sempre la priorità del risparmio delle risorse non rinnovabili, della conservazione della biodiversità e del patrimonio culturale, storico e paesaggistico, ha senso riferirsi di continuo allo “sviluppo del territorio” come un obiettivo di grande rilievo? E ha senso introdurre all’articolo 16 tra gli standard urbanistici (alias “dotazioni territoriali”) “il sostegno all’iniziativa economica”?

Veniamo alla seconda espressione. Opportunamente nella proposta si riconduce la perequazione a strumento attuativo della pianificazione urbanistica, e quindi se ne ripristina il ruolo di compensazione degli interessi immobiliari all’interno degli ambiti attuativi (il collaudato meccanismo dei piani di lottizzazione convenzionata). Ma perché attribuire alle facoltà di edificazione, concesse dai piani, e giustamente destinate alla decadenza ove non utilizzate nei tempi stabiliti, il termine impegnativo di “diritto edificatorio”? Questa espressione non esiste nella legislazione urbanistica. Introdurlo appare una incoerenza, o un residuo di precedenti stesure. Come del resto palesemente contraddittorio è il comma 6 dell’articolo 21 (dedicato appunto alla perequazione e alla disciplina dei diritti urbanistici), nel quale si afferma che “l’utilizzazione dei diritti edificatori deve avvenire a seguito di trasferimento di cubatura”. Da dove a dove, visto che tali “diritti” devono essere perequati all’interno degli ambiti?

La seconda condizione per rendere adeguata la proposta è quella di attribuire efficacia operativa ai principi proclamati. L’abbondanza delle formulazioni di principio e d’intenzioni accattivanti (a volte anche pleonastiche, come il principio di legalità e quello di democrazia e trasparenza) non trova riscontro in formulazioni legislative capaci di agire con immediatezza e chiarezza nelle trasformazioni del territorio. La proposta nata da questo sito (e le formulazioni della proposta dell’on. Migliore e altri) consentono ben diversa, più efficace e più immediata tutela del territorio non urbanizzato (riportiamo qui sotto gli articoli in proposito).

Più in generale, preoccupa molto la delega pressoché totale alle regioni della responsabilità di tradurre i principi stabiliti dalla legge nazionale in precise norme vigenti erga omnes. Così in materia di standard urbanistici, a proposito dei quali occorrerebbe almeno far salvi i “diritti acquisiti” dai cittadini sulla base della legge del 1967 e del decreto del 1968. Ma il caso limite è l’attribuzione alle leggi regionali della “emanazione delle misure di salvaguardia” (articolo 15). Oggi in ogni parte d’Italia tra l’adozione di un piano e la sua approvazione il sindaco non può autorizzare interventi che siano in contrasto con il piano adottato, ma non ancora vigente; ciò per effetto di una legge che vige in tutto il territorio nazionale. Domani non sarà più così? Un comune che avrà deciso con un nuovo piano urbanistico – come molti hanno fatto in questi ultimi decenni – di ridurre le previsioni di espansione, o correggere interventi di trasformazione urbanistica (development) lungo le sponde del fiume o sulle colline, dovrà aspettare una eventuale legge regionale per impedire che questa sua saggia decisione venga rispettata?

Il dibattito parlamentare, che auspichiamo si apra presto e si svolga in modo produttivo, darà risposte a queste e ad altre domande che il testo solleva. La speranza è che le positive intenzioni espresse nella proposta di cui è prima firmataria l’on. Raffaella Mariani, e che sappiamo essere il risultato di un faticoso lavoro di composizione di esigenze, culture ed esperienze diverse, trovino l’approdo in un testo legislativo con esse pienamente coerente.

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