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Piero Bevilacqua
Regime italiano
6 Maggio 2011
Piero Bevilacqua
Che la democrazia versi in più o meno precarie condizioni…

Che la democrazia versi in più o meno precarie condizioni, in tutti i paesi in cui essa è nata o si è sviluppata nella seconda metà del Novecento, è un fatto abbastanza noto. Almeno a coloro che hanno letto qualche libro di analisi politica negli ultimi anni. Basterebbe rammentare il fatto che la democrazia è nata ed è anche cresciuta all'interno dei territori nazionali ed oggi deve fare i conti con poteri che si muovono senza frontiere, sulla base di leggi che spesso questi medesimi poteri impongono ai governi. La subalternità del ceto politico - quello che forma per l'appunto i governi e gli Stati - al potere economico e finanziario costituisce uno degli elementi di corrosione degli istituti democratici che si erano formati nel secolo scorso. Occorre aggiungere che la competizione inter-capitalistica a livello mondiale è arrivata a un tale grado di asprezza, che gli ordinamenti democratici vengono vissuti sempre più, dalla grande imprenditoria capitalistica, come una camicia troppo stretta.

Da qui la richiesta di messa in discussione dei diritti sindacali, degli accordi contrattuali, della dignità del lavoro, ridotto a merce flessibile e precaria. La democrazia diventa un ostacolo al mercato e va adattata alle sue regole. Ma così diventa un simulacro. In Italia, tuttavia, il fenomeno ha aspetti particolarmente gravi. Da noi il potere economico non si limita a condizionare il governo. In Italia è accaduto l'impensabile. Un imprenditore è diventato egli stesso il presidente del consiglio. Ma non un imprenditore qualunque, un grande magnate della tv, ossia il proprietario monopolista dello strumento principe con cui si fa la politica nel mondo attuale.

C'è di più. Questo presidente del Consiglio ha ai suoi ordini il più abietto ceto politico che abbia mai calcato la scena pubblica nella storia dell'Italia contemporanea. Non è un'invettiva moralistica ma, da storico, una constatazione freddamente politologica. Mai si era visto un'intera maggioranza di governo umiliata al punto da fare propria la più inverosimile delle menzogne per difendere il proprio premier (la nipote di Mubarak). Mai si era visto nel Parlamento italiano trionfare un così spudorato mercato dei posti di parlamentare. Moralismo? Ma l'abiezione morale dei parlamentari dei Pdl e dintorni è la condizione politica perché il presidente del consiglio possa usare le istituzioni dello Stato per fini strettamente personali, senza che questo crei dissenso e contrasti all'interno del governo e della maggioranza. Ed è anche la condizione sostanziale perché il magnate Berlusconi possa estendere la sua maggioranza con strumenti di persuasione che nessun altro possiede. Nel frattempo, perché si possa trasformare la menzogna in verità viene attaccato un potere fondamentale dello Stato, denunciati i giudici come golpisti, comunisti, persecutori di chi comanda grazie al voto popolare.

È democrazia questa? Certo, non ci sono i carri armati per le strade, le tipografie dei giornali nemici non sono incendiate, gli oppositori non sono buttati in galera. Ma si commette un grave errore di valutazione pensando che la democrazia possa morire violentemente come lo Stato liberale e sottovalutando gli aspetti etico politici della questione. Ricordiamo che la democrazia vive anche dell'ethos storico che anima le sue istituzioni. Se questo si spegne, muoiono anche i suoi istituti e noi siamo un paese fragile dove dilaga la corruzione, un paese che vanta l'infelice primato di possedere tre delle maggiori forme di criminalità organizzata del pianeta. Si indovina quale può essere il seguito della nostra storia? Di fronte all'inaudito dobbiamo solo gridare il nostro sdegno? Dobbiamo limitarci a protestare educatamente?

La proposta paradossale di Asor Rosa - equivocabile quanto si vuole - era un'evidente provocazione, frutto di una situazione moralmente intollerabile, che voleva fare scandalo. E lo scandalo occorre suscitarlo, perché le democrazie possono morire in molti modi, anche per stanchezza e rassegnazione. La canea suscitata sul Foglio da Giuliano Ferrara - un fine intellettuale, noto per il suo disinteresse personale e per sua coerenza politica, che ha dato contributi fondamentali alla cultura italiana - non mi stupisce. Continua nel suo mestiere di servire il Principe facendo finta di avere a cuore le sorti dell'Italia. Ma il manifesto bipartisan pubblicato sul Foglio del 15 aprile «contro l'antidemocrazia intollerante e anticostituzionale», firmato da parlamentri Pdl e Pd, dà le vertigini per la sua grottesca stupidità. È Asor Rosa la minaccia alla democrazia? Silvio Berlusconi sta facendo a pezzi la nostra Costituzione e si sottoscrive un manifesto con i suoi accoliti contro un intellettuale che ha reso un po' più degno vivere in questo Paese?

Questo articolo è inviato contemporaneamente al manifesto

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