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ad una sparatoria. E questo titolo, molto provocatoriamente, fu dato a una rivista da un gruppo di intellettuali di varia provenienza politica e formazione, all'indomani dell'uccisione, a Bologna, l'11 marzo del 1977, dello studente Francesco Lorusso.
Il senso di anticipazione che si percepisce in questi scritti intrigano lo storico che guarda a quei fatti dalla catastrofe politica dei nostri giorni. Quegli intellettuali che protestavano contro forme intollerabili di violenza e di sopraffazione, in realtà cominciavano a esprimere non solo disagio per un welfare cittadino avviato al declino, ma un dissenso sempre più dispiegato nei confronti della politica nazionale del PCI, ispirata dalla dalla scelta del “compromesso storico” con la Democrazia Cristiana. Nelle parole di Gianni Scalia le ragioni della rivista, che sono quelle di una rivolta intellettuale e morale molto ampia, si comprendono con rara chiarezza. E sono parole per il nostro tempo: « Dovrebbe essere semplice da capire: il Potere diventa assoluto, e funziona come tale se manca l'opposizione al potere, se l'opposizione fa parte del potere, si “compromette” col potere, se il potere si produce e si riproduce con il consenso dell'opposizione». Scalia e gli altri, in effetti, vedevano da Bologna e dall'Emilia, vale a dire dal punto più alto del successo egemonico del PCI, l'inizio del suo storico dissolvimento. E lo scorgevano marxianamente – vale a dire con l'insuperabile bussola analitica di Marx – nel progressivo disancoraggio della sinistra istituzionale dalle sue radici di classe: «Quello che ci minaccia è la perdita della “memoria” di classe, nella classe che è irriducibilmente espropriata ed è irriducibilmente, potenzialmente rivoluzionaria, perché c'è sempre la divisione intollerabile di oppressi e oppressori, di sfruttati e di sfruttatori.» Parole queste ultime che ssuoneranno arcaiche ai politici perbene della sedicente sinistra dei nostri giorni, impegnata a conseguire sempre più scarsi consensi elettorali, piuttosto che organizzare e rappresentare le classi lavoratrici e i ceti subalterni.
Non è qui possibile dar conto dei temi affrontati dalla rivista nei suoi pur pochi anni di vita. Basti qui accennare almeno al fatto che negli scritti antologizzati in questa pubblicazione si riflette anche il generale processo involutivo verso cui si avviava la vita civile del nostro Paese. Repressione e rivolta si fronteggiavano in quegli anni in una contrapposizione lacerante.Tutta «la società – scriveva Boarini in un saggio dell'ottobre 1978 – è idealmente e materialmente in armi: il pluralismo politico e sociale sembra tendere a identificarsi con una pluralità di partiti o gruppi armati». L'ombra del terrorismo calava sulla realtà italiana finendo col rendere “criminale” ogni critica radicale alla società divisa in classi.