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Piero Bevilacqua
25 aprile con i palestinesi
13 Aprile 2015
Piero Bevilacqua
Il 25 aprile è certamente la data simbolicamente più significativa e fondante dell'Italia repubblicana. Il giorno della liberazione del paese dall'occupazione nazifascista ...>>>

Il 25 aprile è certamente la data simbolicamente più significativa e fondante dell'Italia repubblicana. Il giorno della liberazione del paese dall'occupazione nazifascista ...>>>

Il 25 aprile è certamente la data simbolicamente più significativa e fondante dell'Italia repubblicana. Il giorno della liberazione del paese dall'occupazione nazifascista segna un frattura netta non solo con la dittatura mussoliniana, ma anche con il conservatorismo monarchico, ponendo le basi dell'Italia democratica. Un evento che non è una delle tante “rivoluzioni passive” della nostra storia, ma il frutto della lunga lotta partigiana, di una resistenza popolare che ha pochi precedenti nel nostro passato nazionale. Per circa un ventennio la sua celebrazione è entrata nell'immaginario degli italiani come un anniversario condiviso, una festa di tutti che ratificava l'accettazione universale dei valori della Costituzione e della democrazia. Ricordo che sul finire degli anni '60 e nel decennio successivo, la replica di quella commemorazione cominciò ad apparire, ai giovani di sinistra della mia generazione, come uno stanco rituale in una società di stabile democrazia, che aveva ormai bisogno di idealità più avanzate cui ispirarsi.

Ma dagli anni '80, com'è noto, le cose cambiarono. Il 25 aprile insieme alla Resistenza e alla prima parte della Costituzione, subirono attacchi molteplici, sia in sede storiografica che politica e giornalistica. Revisioni che contribuirono non poco a “sporcare” un mito fondativo della Repubblica. Da allora quella data è terreno, in vari modi, di contesa e di lotta politica, dal momento che tutte le forze in campo hanno compreso il valore simbolico della memoria, il suo essere terreno di egemonia. Quest'anno, la celebrazione di quella data sta lacerando il fronte antifascista promotore, creando problemi all'interno dell'Anpi a causa di un dissenso esploso di recente: la Brigata Ebraica e l'Aned, l'Associazione degli ex deportati, non parteciperanno al tradizionale corteo di porta San Paolo. Ragione del violento dissenso è la presenza di organizzazioni palestinesi all'interno del corteo, ree di aver criticato il governo di Israele e di non volere nel corteo la bandiera di quello stato.

Credo che la decisione di parte ebraica sia faziosa e sbagliata per più ragioni, e non ho bisogno di entrare nei dettagli delle discussione per dimostralo. Del resto, basta leggere l'intervista a Yussuf Salman, quale rappresentante delle comunità palestinesi (il manifesto del 10.4.2015) per vedere quanto ragionevole sia la posizione di questa parte. E' faziosa e sbagliata intanto perché nella presente fase storica, mentre infuria in Medio Oriente un fanatismo religioso di inaudita ferocia, l'intelligenza politica consiglierebbe la ricerca dell'unità, del dialogo, della cooperazione tra le forze che ambiscono alla pace. Non turba nessuno il fatto che in questo momento l'Isis sta portando i suoi massacri nel campo dei rifugiati palestinesi di Yarmouk, gremiti di bambini e di vecchi? O è solo Israele, solo gli ebrei che devono godere del monopolio della pietà una volta per sempre?

Ma nel gesto della Brigata Ebraica e dell'Aned ci sono due errori politici gravi: l'identificazione con lo stato d'Israele, e il conseguente vulnus alla coscienza pacifista e democratica dell'antifascismo italiano. Che cosa c'entrano gli ex deportati con l'attuale governo di Netanyau? Com'è possibile che ancora oggi gli ebrei democratici non comprendano un aspetto fondamentale della storia recente d'Israele? Se esso ha il merito di avere dato una patria a un popolo perseguitato e disperso, rappresenta tuttavia la coda violenta e tardiva del colonialismo europeo, una imposizione militare, che avrebbe richiesto ben altra strategia di riparazione nei confronti del mondo arabo. E invece, insieme agli USA, quello stato ha prodotto una politica che ha disperso un'alto popolo ed è all'origine della più grave instabilità di questa parte del mondo negli ultimi 60 anni.

E veniamo a noi. Forse che milioni di italiani non hanno ragioni di recriminazioni, nei confronti dell'intera comunità ebraica del nostro paese, per la tiepidezza – si fa per dire – con cui essa ha assistito al massacro di civili palestinesi a Gaza? Uccisioni e distruzioni immani, perpetrati per ben due volte, con bombardamenti simultanei da terra , dal cielo e dal mare, nel 2008 e nel 2014. Non è ad essa ben noto che milioni di italiani, forse la grande maggioranza del nostro popolo, guarda allo Stato d'Israele, come a un potere ingiusto e liberticida, che tiene in servitù un altro popolo? O crede che i cittadini non capiscano, non sappiano. Eppure, per amore di unità e di dialogo l'antifascismo italiano ricerca l'accordo, tentando di mettere insieme le parti. Perciò io credo che l'Anpi su questo punto deve avere una posizione di assoluta fermezza. Come ha ricordato Angelo D'Orsi, l'art. 2 dello statuto di quella organizzazione rivendica «un profondo legame con i movimenti di liberazione del mondo» (il manifesto, del 9.4.2015). L'equidistanza pilatesca deforma la verità. Oggi sono i palestinesi, è questo popolo che attende di essere liberato.

L'articolo è stato inviato contemporaneamente al manifesto
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