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Assisto come tutti, al vivace dibattito che si svolge in Italia e in Europa sui grandi temi delle riforme istituzionali, della crescita del Prodotto Interno Lordo PIL e del lavoro, sulla necessità di fermare l’immigrazione, di aumentare i consumi, di realizzare grandi opere, sulle eccellenza di cui possiamo vantarci: auto di lusso, moda, gioielli, specialità alimentari. Ogni tanto, magari, appaiono notizie sulle condizioni miserevoli di centinaia di migliaia di immigrati lavoratori stagionali, ammassati in rifugi malsani, di città e strade allagate, di italiani poveri che talvolta non hanno di che mangiare, di fastidiosi dimostranti che protestano per la perdita del posto di lavoro nelle fabbriche e negli uffici, di fumi tossici che appestano l’aria di alcune città, di schiumose acque di fogna che finiscono nel mare anche nelle delicate zone naturali.
Sono comunque lontani i tempi di quarant’anni fa, quando l’ondata della contestazione ecologica ha investito l’Italia e il mondo, e tanti sostenevano invece che il degrado e l’intossicazione dell’ambiente erano proprio dovuti al “dovere” di far crescere il PIL, accusato di essere il triste indicatore che accompagna la produzione di merci e il conseguente inevitabile inquinamento dell’aria e delle acque e l’impoverimento delle risorse naturali, l’indicatore che cresce anche se aumentano gli incidenti stradali e il gioco d’azzardo.
Tutte queste ubbie della contestazione sono state “fortunatamente” spazzate via dalla saggezza dei governanti che nella crescita economica e dei consumi vedono l’unico rimedio alle crisi economiche, la ricetta per il glorioso cammino dell’umanità, anzi per la stessa soluzione dei problemi ambientali. Spazzate via ma non del tutto; nelle settimane scorse sono calati a Roma i rappresentanti dei movimenti popolari internazionali per discutere dei temi, squisitamente ecologici: “terra, casa, lavoro”, chiedendo solidarietà e giustizia contro gli effetti distruttivi del potere economico. Erano persone delle cooperative agricole, dei sindacati, dei raccoglitori e riciclatori di rifiuti, dei lavoratori delle miniere, e hanno descritto le condizioni miserevoli in cui vivono nel mondo duemila milioni di persone: in certe zone con un gabinetto ogni ottocento persone.
La voce di questi movimenti è stata raccolta dal Papa Francesco che ha tenuto un lungo discorso, di cui ha parlato anche questo giornale, riconoscendo l’origine dello scandalo della mancanza di abitazioni, di lavoro, di terra proprio nel “culto idolatrico al denaro”. «All’inizio della creazione, ha ricordato il Papa, Dio creò l’uomo custode della sua opera, affidandogli l’incarico di coltivarla e di proteggerla». Questo disegno è stato sconvolto dall’accaparramento di terre, dalla deforestazione, dall’appropriazione dell’acqua, dai pesticidi, tutte forme di violenza ecologica che hanno strappato intere generazioni dalla loro terra natale. E ha continuato: «Durante questi incontri avete parlato di pace e di ecologia. E’ logico: non ci può essere terra, non ci può essere casa, non ci può essere lavoro se non abbiamo la pace e se distruggiamo il pianeta. Tutti i popoli della terra, tutti dobbiamo alzare la voce in difesa di questi due preziosi doni: la pace e la natura. La sorella madre terra, come la chiamava san Francesco d’Assisi».
E ancora: «Un sistema economico incentrato sul dio denaro ha anche bisogno di saccheggiare la natura, per sostenere il ritmo frenetico di consumo che gli è proprio. Il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità, la deforestazione stanno già mostrando i loro effetti devastanti nelle grandi catastrofi a cui assistiamo, e a soffrire più di tutti siete voi, gli umili, voi che siete vicino alle coste in abitazioni precarie o che siete tanto vulnerabili economicamente da perdere tutto di fronte ad un disastro naturale. Il creato non è una proprietà solo di alcuni, di pochi. Il creato è un dono, è un regalo, un dono meraviglioso». A proposito della casa il Papa ha ricordato che «un tetto, perché sia una casa, deve avete anche una dimensione comunitaria. Oggi viviamo in immense città che si mostrano moderne, orgogliose e addirittura vanitose. Città che offrono innumerevoli piaceri e benessere per una minoranza felice ma si nega una casa a migliaia di nostri vicini e fratelli, persino bambini. Città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari immobiliari ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle periferie, che demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra».
Ho voluto riprodurre letteralmente queste parole del Papa perché, a mio parere, contengono un programma di azioni che assicurerebbero un genuino sviluppo anche nel nostro paese, occasioni di quel lavoro che in Italia manca. Al di là delle fittizie proposte di merci verdi, bio, sostenibili, come le chiamano, la soluzione dei grandi problemi del nostro paese richiede progetti di occupazione per produrre cose realmente utili, nuove e diverse città, beni materiali e servizi capaci di soddisfare dei veri bisogni umani. Bisogni di mobilità decente, di abitazioni con servizi adeguati, di acqua e depuratori delle fogne, di difesa del suolo e di rimboschimento, anche per rallentare i cambiamenti climatici, bisogni di alimenti a prezzi che siano remunerativi per gli agricoltori e accessibili alle classi meno abbienti. E infine lavoro per sollevare dalla miseria, in tanti paesi del mondo, chi non ha acqua, elettricità, medicine, case: una ingegneria senza frontiere «affinché tutti possano beneficiare dei frutti della terra». Grazie al Papa ecologo.
L'articolo è stato inviato contemporaneamente alla Gazzetta del Mezzogiorno