"Non c'era un posto per loro" nell'affollata e opulenta Betlemme e Giuseppe e Maria col bambino trovarono rifugio solo in una grotta fredda: mi tornano sempre in mente queste parole del Vangelo di Luca quando penso a tutti i poveri e poverissimi per i quali “non c'è un posto” in cui rifugiarsi, a cominciare da casa nostra: basta vedere le persone ammassate nelle “Rosarno” d’Italia, negli scantinati di edifici abbandonati come l’ospedale Forlanini di Roma.
Più di mille milioni di persone abitano nelle “Rosarno” del mondo, dai campi di concentramento di esuli e rifugiati, alle tendopoli di lavoratori immigrati e sfruttati, alle capanne e baracche delle periferie del terzo mondo, spesso vicino a discariche di rifiuti, ai ricoveri provvisori delle persone in fuga dalla fame, dalle guerre, dalla siccità, vittime dei cambiamenti climatici, rifugi circondati da polvere, sporcizia e acqua di fogna, senza acqua potabile e al buio.
Non è possibile avere una vita libera e dignitosa se si è privi di una casa decente e, davanti al grave problema di chi è privo perfino di un rifugio, già nel 1976, quarant’anni fa, le Nazioni Unite hanno sentito il bisogno di indire a Vancouver una conferenza internazionale sull'abitare per capire che cosa si può fare per soddisfare questo fondamentale bisogno umano che viene subito dopo il bisogno di cibo e di acqua e che si fa sempre più pressante a mano a mano che aumenta la popolazione dei miserabili del pianeta.
Dopo Vancouver le Nazioni Unite hanno costituito una speciale agenzia, Habitat, con sede a Nairobi, e hanno organizzato una seconda conferenza “Habitat II” a Istanbul nel 1996. La terza si terrà a Quito nell’Ecuador, nel dicembre di quest’anno. Per cancellare le migliaia di “Rosarno” del Nord e del Sud del mondo occorre un enorme sforzo internazionale: conoscitivo, prima di tutto (dove sono i senza-casa della terra, quanti sono, di che cosa hanno bisogno ?), finanziario, tecnico scientifico, politico.
Diffondere abitazioni decenti, far crescere villaggi e città umane soprattutto nei paesi poveri, è premessa indispensabile per sconfiggere i grandi mali delle società umane: violenza, sfruttamento dei bambini, prostituzione, diffusione della droga, epidemie, AIDS.
Anche nei paesi avanzati e industriali come il nostro esiste un problema di abitazioni, con drammatiche contraddizioni: ci sono abitazioni vuote, terze case abitate per pochi giorni all’anno, ci sono costruzioni belle e confortevoli e anzi di lusso, quelle che ci occhieggiano dalle riviste patinate, ci sono nuovi quartieri di case invendute, ci sono famiglie senza casa o sfrattate a cui i bassi redditi non consentono di affittare né tanto meno comprare una casa, ci sono i senza-casa.
L’industria dell’edilizia fa fatica ad avviarsi perché orientata a costruzioni adatte per un “mercato” a sua volta in crisi. Quelli che erano i grandi progetti di edilizia popolare si scontrano con la mancanza di soldi dello Stato.
E poi c’è quel miliardo di persone dei paesi poveri e poverissimi che non hanno un rifugio decente. La risposta alla loro domanda richiede tecniche completamente differenti da quelle a cui siamo abituati noi. Bisogna inventare soluzioni semplici, case costruibili con materiali esistenti sul posto, resistenti alle tempeste e all'attacco dei parassiti e dell’umidità.
La purificazione delle acque, la distribuzione di acqua di decente qualità per l'alimentazione e per usi igienici, modeste attrezzature, come gabinetti e docce, possono contribuire a fermare la diffusione di epidemie e salvare milioni di vite.
Per tante zone occorre energia; l'energia del sole e del vento, spesso abbondante nei paesi poveri e poverissimi, può essere messa al servizio dei bisogni umani: penso a piccoli generatori di elettricità, a livello di villaggio, per l'illuminazione, per i frigoriferi in cui conservare i medicinali, per sollevare, purificare e dissalare le acque, per semplici sistemi di telecomunicazioni che avvertano gli abitanti dell'avvicinarsi di tempeste e diffondano istruzione per adulti e bambini.
In questa sfida potrebbero trovare utilizzazione materiali riciclati per la costruzione di prefabbricati, e tutto questo potrebbe creare occasioni di lavoro anche per i paesi industriali. Purtroppo le università e i grandi centri di ricerca sono assenti da questa grande gara per lo sviluppo di tecnologie "appropriate", adatte al miglioramento delle condizioni dell'abitare dei poveri.
Esistono alcuni piccoli centri di sviluppo e diffusione di tali tecnologie; molte iniziative sono prese da associazioni religiose cattoliche e protestanti e di volontariato che operano nei paesi poveri e ne conoscono e fanno conoscere le richieste di abitazione e servizi igienici.
Se non si vuole ragionare in termini di solidarietà e di aiuto dei paesi poveri si consideri che il potenziale enorme “mercato” di nuove “tecnologie della solidarietà” potrebbe attrarre l’interesse di tante imprese in cerca di nuovi sbocchi.
Si parla tanto di rallentare il flusso migratorio che sta premendo dai paesi poveri e una soluzione continuamente ripetuta è quella di aiutare i poveri nei loro paesi di origine. Il primo concreto aiuto consisterebbe nell’offrirgli la possibilità di costruire sul posto, con materiali locali e con saperi locali, i beni più indispensabili, come casa, acqua, servizi igienici, energia.
Una rivoluzione della speranza che non è soltanto un'operazione caritativa: se i paesi industriali non ascolteranno la voce dei poveri saranno travolti da violenze, pressioni migratorie e sociali, conflitti, generati dal loro egoismo e che tale egoismo finiranno - giustamente - per travolgere.
L'articolo è inviato contemporaneamente a La Gazzetta del Mezzogiorno