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Giorgio Nebbia
Merendine e allagamenti
25 Luglio 2016
Giorgio Nebbia
Il mondo brucia. Gli incendi dei boschi si sono sempre verificati sulla superficie della Terra; in qualche caso i fulmini provocano incendi

(continua la lettura)

che permettono il ricambio della vegetazione e ristabiliscono equilibri ecologici. Nel corso dei secoli gli esseri umani, col fuoco o con le asce, hanno distrutto le grandi foreste che coprivano l’Europa per trarne terreni da coltivare e legname da costruzione o da usare come combustibile. Nel Medioevo si poteva andare dalla Sicilia a Parigi senza uscire dai boschi e oggi si può fare lo stesso percorso senza entrare mai in un bosco; ottocento anni fa Federico Secondo poteva andare a caccia nei boschi pugliesi oggi scomparsi.

La distruzione dei boschi si è fatta sempre più rapida a mano a mano che è cresciuto il bisogno di terreni coltivabili e di spazi edificabili, a spese della vegetazione spontanea.

Nel nostro paese si sono moltiplicati gli incendi di alberi e di macchia mediterranea a causa di imprudenza ma più spesso intenzionalmente per sgombrare i terreni dalla vegetazione che intralciava progetti di costruzioni e di speculazione edilizia.

Dopo lunghi dibattiti e allarmi delle associazioni ambientaliste, finalmente il 21 novembre 2000 è stata emanata la legge n. 353 sugli incendi boschivi. La legge comincia a definire un incendio boschivo come “un fuoco con suscettività a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all'interno delle predette”, e prosegue che si propone di difendere dagli incendi il “patrimonio boschivo nazionale quale bene insostituibile per la qualità della vita”.

E, tanto per scoraggiare chi spera di distruggere boschi o vegetazione per costruirci edifici o altre opere di interesse economico, la legge precisa che “le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni”. Nel corso degli ultimi venticinque anni la situazione è peggiorata: in tutto il mondo e ogni anno gli incendi stanno distruggendo sempre più estese superfici di boschi e di vegetazione.

Le foreste, dal punto di vista economico e finanziario, sono inutili; servono “soltanto” ad assicurare “la vita” delle attuale e delle future generazioni. Attraverso le loro foglie le piante assorbono l’anidride carbonica dall’atmosfera e la trasformano in biomassa, l’insieme di sostanze chimiche organiche che si formano liberando ossigeno nell’atmosfera; i boschi regolano la diffusione e la distribuzione delle acque superficiali e sotterranee, ospitano innumerevoli esseri viventi vegetali e animali, molti dei quali importanti per l’alimentazione delle popolazioni locali. Alla fine del ciclo vitale degli alberi e delle piante le spoglie cadono al suolo, vengono decomposte da microrganismi e le loro sostanze organiche si trasformano nell’humus, la complessa materia che assicura la continuazione dei cicli ecologici.

“Purtroppo” molte foreste nascondono nel loro sottosuolo preziose risorse di interesse economico, dai minerali alle fonti di energia, intralciano l’avanzata di strade e dighe per centrali idroelettriche. Già nel corso del Novecento è cominciato l’assalto a tali risorse e a nuovi spazi coltivabili e gli incendi sono stati i mezzi più rapidi e meno costosi per sgombrare la superficie dalla “inutile” copertura vegetale.

Nell’Amazonia con gli incendi vengono conquistati spazi da coltivare a cereali e canna da zucchero, anche se la superficie “liberata” rimane esposta alle piogge che dilavano lo strato fertile e rendono, col tempo, le nuove terre inadatte alla coltivazione.

Nelle foreste indonesiane gli incendi sono provocati per liberare terreni da coltivare a palma il cui olio è una merce ricercata per trarne biodiesel, il surrogato del carburante diesel ricavato dal petrolio, e come ingrediente alimentare largamente consumato in Europa nei dolciumi e merendine.

Gli incendi delle foreste fanno aumentare la concentrazione nell’atmosfera dell’anidride carbonica, il principale “gas serra” responsabile del crescente riscaldamento del pianeta; nello stesso tempo proprio il riscaldamento planetario dovuto all’effetto serra altera il ciclo delle acque, fa aumentare la siccità e rende più fragile, rispetto al fuoco, la vegetazione dei boschi. Così l’effetto serra fa aumentare il numero e la durata degli incendi che devastano in numero crescente l’Italia, l’Europa, e tutti i continenti, incendi che fanno notizia soltanto se arrivano a lambire i lussuosi quartieri residenziali della California.

La tecnologia offre strumenti per combattere gli incendi, per esempio spargendo dall’alto sulla superficie a fuoco agenti chimici che fermano in parte la diffusione delle fiamme, ma è una corsa fra i rimedi umani e le cause umane che provocano tali incendi.

Siamo di fronte ad un’altra drammatica conferma di quanto si osserva a proposito della fusione dei ghiacci e dell’innalzamento del livello dei mari, provocati dal riscaldamento globale e a loro volta causa di tale riscaldamento.

Anche qui gli incendi e la distruzione dei boschi sono facilitati dal riscaldamento planetario e contribuiscono al suo aumento, un fenomeno su cui si sta giocando il futuro dell’intera umanità. Molti hanno riso quando il matematico Edward Lorenz (1917-2008) ha scritto, nel 1963, che il battito dell’ala di una farfalla può provocare una tempesta a migliaia di chilometri di distanza. Ma oggi sappiamo che c’è un rapporto diretto fra l’olio di palma, contenuto nelle merendine acquistate a Milano (tanto per citare un nome), e le piogge che allagano periodicamente tale grande città.

L'articolo è inviato contemporaneamente a La Gazzetta del Mezzogiorno

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