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E’ finalmente uscito il molto atteso libro: Rivoluzione e sviluppo in America Latina, a cura dello storico Pier Paolo Poggio, pubblicato dall’editore Jacabook di Milano.
Si tratta di un volume di oltre 750 pagine, il quarto di una serie di monografie ispirate all’”altronovecento”, cioè alle storie meno note del secolo scorso. I tre volumi precedenti sono stati dedicati a “rivoluzione e sviluppo” nel periodo del comunismo sovietico, e poi nel Novecento europeo e in quello degli Stati Uniti e sarà seguito da altri due che esamineranno le stesse contraddizioni in Africa e Asia e, infine, nel XXI secolo.
Questo quarto volume viene pubblicato proprio nei giorni in cui l’Olimpiade in corso a Rio de Janeiro, in Brasile, sta portando davanti agli occhi del mondo alcuni aspetti dell’America Latina, quella specie di vastissimo triangolo attaccato sotto l’America settentrionale. L’America meridionale deve essere sembrata una specie di paradiso terrestre incontaminato, ai “conquistatori” spagnoli e portoghesi che vi sono sbarcati 500 anni fa col preciso obiettivo di rapinarne, per la maggior gloria degli imperi europei, le risorse naturali.
Alla loro avidità si offrivano vegetazioni ricche di specie e materie fino allora sconosciute (si pensi soltanto alla patata, al pomodoro, al mais e alla gomma), minerali, deserti, montagne altissime, pianure erbose, cascate e vulcani, un continente attraversato da fiumi così vasti che i conquistatori pensavano fossero dei mari.
Ricchezze, soprattutto, che non erano “di nessun” e delle quali quindi il primo arrivato poteva impadronirsi tracciando una riga su una carta geografica. Salvo poi scoprire che tali ricchezze erano “di qualcuno”, di popolazioni di nativi, considerati “selvaggi”, anche se alcune avevano una lunga storia di civiltà e di cultura.
Per portare via metalli preziosi e risorse agricole e forestali occorreva della mano d’opera che i conquistatori ottennero portando via dall’Africa i “negri”, e usandoli vergognosamente come schiavi. Gli abitanti dell’America Latina diventarono così una straordinaria miscela di discendenti dei conquistatori europei, dei nativi, degli schiavi africani e dei relativi incroci, a cui si aggiunsero, e siamo ormai nel Novecento, gli immigrati provenienti dai paesi europei, in fuga dalla miseria e dai fascismi.
Nel XX secolo l’America Latina è stata davvero un crogiolo di diversità umane e naturali in cui sono nate, cresciute e scomparse rivoluzioni alla ricerca di strade autonome allo sviluppo, di liberazione da potenti e arroganti ristrette classi dominanti il cui sfruttamento delle risorse del paese ha mostrato presto i frutti avvelenati: inaridimento dei campi creati distruggendo le foreste, erosione del suolo, inquinamento delle acque, impoverimento dei pascoli.
E’ difficile riassumere in poche righe il gran numero di informazioni contenute nel libro Rivoluzione e sviluppo in America Latina; mi soffermerò a considerare alcuni aspetti delle risorse naturali e dell’ambiente relativi a tre dei paesi latinoamericani.
Cuba, la bella isola, pur indipendente dal 1902, è stata appetibile preda degli interessi economici e finanziari nordamericani con le sue ricche piantagioni di canna da zucchero, e la produzione di bevande alcoliche e di sigari, un turismo di lusso attratto dalla presenza di case da gioco. La rivoluzione castrista del 1959 ha liberato il paese dai corrotti personaggi che assicuravano la sudditanza agli Stati Uniti ed ha dato ad una austera Cuba mezzo secolo di sviluppo con migliori servizi sanitari e educativi.
Il Cile, repubblica indipendente dal 1817, ha vissuto periodi di grande prosperità grazie alle esportazioni del nitrato di sodio, materia prima per l’industria chimica, e poi del rame di cui possiede riserve fra le più grandi del mondo, per decenni nelle mani delle multinazionali nordamericane grazie a governi compiacenti. Così le ricchezze minerarie, pur appartenendo “al popolo”, potevano essere portate via lasciando solo spiccioli ai cileni. Nella breve primavera 1970-1972 del suo governo, Salvador Allende decise, con la nazionalizzazione delle miniere di rame, che i benefici della loro utilizzazione dovessero restare al popolo cileno per assicurarne uni sviluppo civile. Allende “fu suicidato” nel 1972, un evento che contribuì alle rivolte dei paesi produttori di materie prime, a cominciare da quelle petrolifere, contro gli sfruttatori stranieri.
Il Brasile ha vissuto la sua più recente primavera rivoluzionaria dal 2002 con l’elezione alla presidenza del socialista Lula che ha assicurato un periodo di grande prosperità e sviluppo economico e sociale e ha portato il Brasile fra le grandi potenze economiche e industriali emergenti, il gruppo BRIC, Brasile-Russia-India-Cina. Il successo di Lula è stato seguito da quello (2010) della presidente Dilma Rousseff (2010), entrambi osteggiati dalla potente destra che sta riportando il grande paese nella crisi economica e nel caos, difficilmente dissimulati dal chiasso e dallo sfarzo delle Olimpiadi.
Infine non è un caso che in questa straordinaria parte meridionale del continente americano sia nata quella primavera del cristianesimo che fu la teologia della liberazione, il movimento che ha riconosciuto la missione della Chiesa nel liberare, appunto, i popoli dalla povertà e dall’oppressione. Alcuni saggi del libro ricordano questa stagione che ebbe il suo più noto martire in mons. Oscar Romero, assassinato nel 1980 per aver testimoniato, “opportune et importune”, come scrive San Paolo a Timoteo, da che parte sta la Chiesa fra oppressori e oppressi. E non è un caso che da tale continente sia venuto l’attuale Papa Francesco, con le sue “nuove”, antichissime per il Vangelo, parole di giustizia e di misericordia.
L'articolo è inviato contemporaneamente a La Gazzetta del Mezzogiorno