Le "aree dismesse" (fabbriche obsolete, caserme inutili, scali ferroviari in abbandono, carceri ingestibili) potrebbero fornire occasioni strategiche per il futuro delle città. Non solo in Italia, anche in Europa: il Libro verde per l'ambiente urbano, recentemente approvato dal Parlamento europeo, dedica infatti una particolare attenzione alle aree dismesse, definite come occasioni da non perdere per riqualificare e umanizzare le città. Gli stabilimenti Fiat-Lingotto a Torino, Pirelli-Bicocca e Alfa-Portello a Milano, Fiat a Firenze, le caserme del quartiere Prati a Roma, la Marittima a Venezia, il parco ferroviario a Pescara, l'Italsider a Napoli: sono solo alcuni degli esempi più noti. Ma anche ogni città media e piccola ha almeno un caso di area dismessa. Ed è, quasi sempre, un argomento di discussione, di progetti alternativi, di scontri culturali e sociali, di contrasti d'interessi economici, anche di crisi politica (Milano insegni). A volte, anche di scandali che giungono fino alle scrivanie dei magistrati e alle aule dei tribunali.
Di che cosa si tratta? La forte e sregolata espansione urbana, che si è avuta nell'ultimo mezzo secolo, ha inglobato vasti complessi (produttivi, militari, civili), nati originariamente ai margini della città, o fuori di essa. La loro stessa acquisita centralità li ha resi poco idonei a svolgere la funzione originaria. Le strutture edilizie e gli impianti sono divenuti superati. Di qui, la propensione a dismetterli, ad abbandonarli. Si tratta di aree oggi collocate tra il centro, spesso soffocato dal traffico, e la periferia quasi sempre invivibile.
Aree che potrebbero essere utilizzate per sanare, almeno in parte, il deficit di servizi, e soprattutto di verde, che rende spesso ostile e alienante la città contemporanea, Aree dalle quali dovrebbero comunque essere escluse utilizzazioni che siano "attrattrici di traffico", che aumentino il "carico urbanistico" di queste zone delicate, che aumentino la già parossistica congestione del traffico.
D'altra parte, si tratta anche di aree il cui valore di mercato è aumentato a dismisura, proprio a causa della posizione che quei complessi sono venuti ad assumere grazie all'espansione urbana, che in gran parte è il prodotto degli investimenti della collettività. Forte è quindi, da parte delle società o degli enti proprietari, l'interesse a trasferire altrove gli impianti e a lucrare sull'area. Ecco allora innumerevoli progetti, spesso resi accattivanti da orpelli culturali, per la valorizzazione di questa o di quell'altra area dismessa.
Lo scontro è sempre lo stesso. Deve prevalere l'interesse generale, e quindi la scelta delle soluzioni più idonee per migliorare la condizione urbana? Oppure deve vincere l'interesse economico immediato dei proprietari? Non dovrebbe essere difficile rispondere. E ancora più facile dovrebbe essere comprendere che il potere pubblico deve spostare il pendolo verso gli interessi generali. Purtroppo non è così. Moltissimi esempi dimostrano anzi il contrario. Dimostrano l'incapacità degli enti locali di comprendere da che parte sta l'interesse della collettività.
Dimostrano addirittura il prevalere di collusioni e complicità con gli interessi economici: con la speculazione, per adoperare un termine non più di moda.
Un caso emblematico: la Zanussi di Conegliano. 17 ettari tra il centro e la periferia. Un'area grande come l'intero centro storico. Una fabbrica che il Piano regolatore del 1982 conferma nella sua funzione, ma che la proprietà vuole ora abbandonare. Che cosa avrebbe fatto un'amministrazione corretta? E' evidente. La dimensione dell'area e la sua posizione sono tali che è impensabile cambiare la sua utilizzazione senza riprogettare l'intero assetto della città: senza fare un nuovo piano regolatore generale, senza studiare quali sono le soluzioni più opportune tenendo conto di tutto l'organismo urbano, del suo funzionamento complessivo, dell'insieme delle esigenze sociali. Invece no. La giunta, a maggioranza democristiana, approva un progetto, limitato all'area Zanussi, "in variante" al piano regolatore vigente. Un progetto che prevede la realizzazione di 600 mila metri cubi (di uffici, residenze, centri commerciali): quanti se ne sono costruiti a Conegliano in 10 anni.
In città si apre un dibattito acceso. Lo animano il Pds. i Verdi, alcuni tecnici. Interviene anche la Diocesi. La Commissione pastorale afferma che la città è in preda a "spinte interessate, ispirate da interessi economici consistenti: dalla politica urbanistica del Comune emerge l'ambiguità di obiettivi e metodi". I metodi seguiti dal Comune sono pesantemente criticati dalla Regione, dove sembra che gli argomenti degli oppositori abbiano la meglio. Il Comitato tecnico esprime un giudizio senza appello: è illeggittimo, oltre che tecnicamente inammissibile, introdurre con il meccanismo della "variante parziale" modifiche così stravolgenti. Identico il parere degli esperti legali cui la Giunta regionale si rivolge. Alle interpellanze del Pds e dei Verdi l'assessore regionale risponde condividendone il giudizio e impegnandosi a operare di conseguenza. Ma il comune tira diritto. Approfitta del ritardo con cui la Regione risponde ufficialmente per dichiarare esecutivo il progetto per "silenzio-assenso". La Giunta regionale ricorre al Tar. Ma non sta bene litigare troppo a lungo tra amministrazioni dello steso colore politico. Si trova la strada d'un accordo. Il Comune ottiene che la Regione inserisca la "pratica" del "fascicolo" di un'altra variante, che era in viaggio indipendentemente dal progetto Zanussi e cha aveva seguito, stancamente, un iter "regolare". Sul treno prossimo alla stazione d'arrivo si fa insomma salire, come un passeggero clandestino, il progetto Zanussi. Il Comitato tecnico regionale, spaccato al suo interno, approva il pasticcio. Il giorno dopo, in assenza perfino della relazione tecnica (che non è stata ancora stesa) la Giunta regionale approva. La sera, a Conegliano, il trevigiano ministro dei trasporti brinda col Sindaco. Ma il gruppo consiliare del Pds decide di ricorrere alla magistratura. C'è da scommettere che dell'area Zanussi di Conegliano si parlerà ancora.
Edoardo Salzano