LONDRA - Lo si vede già da quasi ogni angolo della città. Ma per il momento è nudo, incompleto e non ancora del tutto cresciuto. Quando sarà terminato, nel 2012, diventerà il grattacielo più alto di Londra e di tutta Europa: 310 metri, 87 piani, un cono di luce, interamente rivestito di pannelli di vetro, che lo faranno risplendere sulla più grande metropoli del continente. A progettarlo è stato un architetto italiano, Renzo Piano, le cui opere adornano mezzo mondo, dal museo Pompidou di Parigi alla nuova sede del New York Times nella Grande Mela, vincitore del premio Pritzker, il Nobel dell’architettura, che ora mette la sua firma anche in cima, per così dire, alla capitale britannica.
Un italiano sul tetto di Londra è la conferma che, per quanto ne dica il primo ministro David Cameron, il multiculturalismo è vivo e vegeto in questa città che cambia pelle in continuazione, mescolando vecchio e nuovo, antico e moderno, classico e avanguardia. E non a caso The Shard, il nome del nuovo grattacielo (alla lettera significa "coccio", "frammento"), ha messo d’accordo perfino laburisti e conservatori, fu un sindaco di sinistra, Ken Livingstone detto "il Rosso" ad autorizzare con entusiasmo la sua costruzione, è un sindaco di destra, Boris Johnson, a salutarlo adesso come «un chiaro e illuminante esempio della fiducia nell’economia di Londra».
Di tanta fiducia è il simbolo, questa nuova torre di Londra, che due grandi giornali londinesi, il Financial Times e il Daily Telegraph, gli hanno dedicato ieri una pagina intera per ciascuno, senza aspettare che sia finito. Dentro ci sarà posto per un albergo a cinque stelle, ristoranti gourmet, uffici per 7 mila persone, appartamenti da 12 milioni di euro l’uno e anche quattro piani (dal 68esimo al 72esimo) per il pubblico che voglia fargli una visitina.
Non tutti, naturalmente, gli danno il benvenuto. Simon Jenkins, principe dei columnist e presidente del National Trust (l’ente che sovraintende ai beni nazionali), lo definisce «un arpione conficcato nel cuore storico» della capitale e anche «un fallo piombato sulla terra dallo spazio capitalista» (non è chiaro come possa un fallo avere forma conica, ironizza il Telegraph, ma forse nello spazio intergalattico sono fatti così). E un principe autentico, l’erede al trono Carlo d’Inghilterra, strenuo difensore dell’urbanistica vecchio stile, o a misura d’uomo come preferisce chiamarla lui (senza necessariamente chiedere all’uomo della strada se vi si riconosce), lo liquida con disprezzo: «Londra ha già un cetriolo gigante (il Gherkin, cetriolo per l’appunto, soprannome di un altro grattacielo criticato da Sua Altezza ma diventato rapidamente un’icona cittadina, ndr), ora siamo sul punto di avere una gigantesca saliera, la nostra città sta trasformandosi in un assurdo tavolo da pic-nic». Sempre il Telegraph commenta che lo Shard ha un aspetto inconsueto per una saliera: magari viene anche quella dal cosmo.
Ma a parte il fatto che il dissenso è – per restare in tema – il sale di Londra, ogni nuova aggiunta allo skyline londinese ha inizialmente generato polemiche, per poi venire vantato con orgoglio da (quasi) tutti. È successo con The Eye, la ruota panoramica in riva al Tamigi, con il Millennium Dome, l’anfiteatro coperto dove si fanno concerti e tornei di tennis, con il grappolo di grattacieli di Canary Wharf, la nuova cittadella degli affari. L’opinione dominante è che lo Shard di Renzo Piano simboleggerà la rinascita di Londra dalla peggiore crisi finanziaria della sua storia, cambiando ancora una volta, insieme a un’altra mezza dozzina di torri di cristallo attualmente in costruzione, l’orizzonte di una città che oggi incarna il design, l’innovazione e il futuro come nessun’altra in Europa.
postilla
parlare di cattive abitudini dei giornalisti forse è un po’ troppo, ma sta di fatto che l’approccio fra il modaiolo e il nazionalista del pezzo finisce per trascurare uno fra gli aspetti davvero innovativi del progetto: con tutto quel volume, lo Shard NON HA POSTI A PARCHEGGIO salvo pochissimi legati ai servizi essenziali, e quindi da un lato approfitta al meglio delle infrastrutture esistenti di trasporto collettivo, dall’altro automaticamente meglio si integra con lo spazio del quartiere e della mobilità pedonale, non dovendo fare i conti con accessi, rampe ecc. ecc. Insomma un’ottima interpretazione del tema “città densa”, non solo a parole, ma nei fatti e nelle regole urbanistiche sottese. Se poi l’archistar riesce a dare il meglio di sé, tanto di guadagnato, ma il pregio come si suol volgarmente dire sta nel “manico”, ovvero nella strategia insediativa, che nella capitale della greenbelt difficilmente starebbe nascosta (solo) dietro al conto in banca degli immobiliaristi.
Va da sé che (almeno là dove le cose vengono affrontate onestamente e non per finta) urbanistica e mobilità debbano andare di pari passo. Il grattacielo di Renzo Piano praticamente ha una stazione come pianterreno, mentre per fare un confronto il cosiddetto "Formigone" a Milano pur molto vicino sia a un paio fermate della metropolitana che alla stazione ferroviaria P.ta Garibaldi, sostanzialmente le ignora. Uno dei principali progetti di riqualificazione urbana newyorkesi, Hudson Yards, si basa esattamente sulla strategia della riduzione ai minimi termini degli standard a parcheggio [vedi pdf allegato]. E in entrambi i casi, Londra e New York, parallelamente a questi (certamente discutibili da tanti altri punti di vista) casi di densificazione si sviluppano politiche cittadine sia di ciclabilità che di cosiddetti "spazi condivisi", ovvero dove l'ambiente stradale viene sottratto sia alla dominanza delle auto che al tipo di segregazione classico delle nostre isole pedonali (f.b.)