“Europe as a place to be inhabited: linking immigration and the cases of abandoned spaces” nel padiglione della Grecia alla Biennale di architettura di Venezia. In calce i link al powerpoint in inglese ai testi in lingua italiana e inglese.
1. L'ESODO
VERSO L'EUROPA
Un esodo. Ciò che si sta manifestando oggi non è la semplice migrazione di persone che desiderano spostarsi in altri paesi per ragioni personali, ma un esodo, largamente provocato da condizioni economiche, sociali, politiche e ambientali. Per le sue dimensioni e le sue cause non è un fenomeno che si spegnerà rapidamente.
Le dimensioni. Qualche numero, giusto per dare un’idea delle dimensioni del problema. Le previsioni contenute nell’ultimo rapporto dell’UNHCR (UN High Commissioner for Refugees Agency) stimano in oltre 1,19 milioni il numero delle persone da reinsediare. Il gruppo maggiore è costituito dai siriani (40%), seguito dai profughi dal Sudan, dall’Afghanistan e dalla Repubblica popolare del Congo. L’UNHCR stima inoltre che nel 2050 i profughi potrebbero essere, nel mondo intero, dell’ordine dei 200-250 milioni. Il Parlamento europeo, dal conto suo, valuta in 17,5 milioni le persone che hanno abbandonato i loro paesi (soprattutto dalle regioni dell’Africa subsahariana) dal 2014.
Le cause. Queste sono le cause principali dell’esodo, e al tempo stesso gli attori che cosa le hanno provocate. In primo luogo, la trasformazione radicale delle economie locali provocata dalle varie forme dello sfruttamento operato dal colonialismo, con il conseguente trapasso da economie locali di autosussistenza a economie legate al mercato economico globale.Le trasformazioni dell’economia si sono sempre accompagnate agli interventi della politica: un’altra causa della fuga è costituita dai regimi dittatoriali e spesso corrotti, imposti o favoriti e finanziati dagli stati o dalle imprese del Primo mondo.Ancora, le guerre scatenate o fomentate per impossessarsi delle risorse, a cominciare dalla terra e dall’acqua e quelle attuate dal Primo mondo nell’illusione di combattere il terrorismo.
Infine – ma si tratta di cause non meno importanti - la fuga dagli effetti provocati dagli eventi naturali estremi innescati dal cambiamento climatico globale (siccità, inondazioni, riscaldamento globale), nonché dai luoghi dei disastri ambientali causati da inquinamenti incontrollati o incidenti industriali, tutti frutti avvelenati dello sviluppo capitalistico.
La fuga. La fuga di moltitudini di simili proporzioni avviene in modo del tutto spontaneo, e quindi assume inizialmente la forma del caos. Ma i migranti, per poter fuggire, hanno trasformato in moneta le risorse di cui disponevano. Ciò, in assenza di altre possibilità legittime, ha provocato il formarsi di attori (soprattutto non istituzionali, generalmente organizzazioni malavitose), che sfruttano le risorse dei migranti, e spesso i loro stessi corpi, in cambio del trasporto in condizioni disumane e irte di rischi dai luoghi di origine ai luoghi della speranza.
Quelli che ci arrivano sono in precarie condizioni di salute fisica e psichica.
L’approdo. L’approdo alle terre della speranza è quasi sempre drammatico. Se il vettore è l’imbarcazione e la frontiera è la costa marina spesso si paga il prezzo del naufragio e del gran numero di morti. Se la frontiera è sulla terra e il vettore sono le gambe degli uomini, delle donne e dei bambini il prezzo è vivere nella misera, nel freddo e nelle malattie dietro recinti di filo spinato alla mercé di una vigilanza a volte disumana.
La “prima accoglienza”. Quella che dovrebbe essere la prima accoglienza è essa stessa un dramma: all’arrivo i migranti sono spesso affetti da seri problemi fisici e psicologici. Nei centri di accoglienza le condizioni di vita sono spesso disumane: l’insufficienza dei servizi per i bisogni fisici, sanitari, culturali a partire dalle difficoltà di comunicazione dovute alle lingue diverse; il completo isolamento e la mancanza di comunicazione con i familiari; infine, l’incubo della selezione e l’inammissibile discriminazione dei “profughi economici”.
La “post-accoglienza”. L’ordinaria condizione dei profughi dopo la prima accoglienza è una sorta di limbo. Essi restano in attesa del loro destino. Se saranno accettati e quindi avranno un permesso di soggiorno, oppure se saranno respinti e riceveranno un foglio e saranno messi sulla strada a infinita distanza dal luogo che, senza mezzi, dovrebbero raggiungere; una condizione ancora più drammatica di quella che aveva provocato la fuga. I ”fortunati”, ottenuto il permesso di soggiorno, sono al cospetto delle difficoltà di affrontare la vita e il proprio mantenimento : trovare un lavoro, una casa, la possibilità di costruire legami sociali, l’integrazione senza perdita di identità, etc. ma anche ristabilire contatti e riunificazione con le famiglie d’origine e infine l’assoluta mancanza di strategie e progetti che prevedano la possibilità di un ritorno programmato nei paesi di origine.
Che fare. Sebbene le cause dell’esodo non possano essere eliminate in una prospettiva temporale ravvicinata, occorre intervenire nell’immediato per rendere meno disumane le condizioni del percorso.
A questo fine non è sufficiente combattere i trafficanti di migranti. È invece indispensabile realizzare canali protetti dall’origine al termine del percorso, a opera di una organizzazione internazionale e, contemporaneamente adattare misure specifiche per i diversi momenti del percorso dei migranti. Ogni fase (dallo sbarco, all’accoglienza, all’integrazione) richiede approcci, attori e progetti diversi.
Inoltre, ogni intervento immediato deve porsi in una strategia e in una visione temporale più ampia. È necessario un impegno disinteressato, sinceramente mirato a migliorare le condizioni ambientali ed economiche dei paesi di origine. Ciò comporta il superamento degli attuali programmi di cooperazione, spesso finalizzati al mantenimento della cooperazione stessa o per ottenerne vantaggi economici e politici. Per ridurre le cause dell’esodo e per investire in modo più fruttuoso le risorse disponibili è necessario un forte impegno per la pace e la decisa condanna della produzione e del commercio di armamenti.
2. OSPITALITÀ E CITTADINANZA
I PRINCÌPI
Il modo giusto di affrontare la questione dei migranti sarebbe quello di partire dai concetti di ospitalità incondizionata e di cittadinanza universale, in relazione ai diritti universali della persona, traducendoli in vera azione solidale, anziché in nuovi strumenti di sfruttamento o discriminazione.
La promessa di ospitalità incondizionata. Dobbiamo costruire un’ospitalità libera dai legami e dalle costrizioni di sovranità statale e dalla prevalenza della nozione di appartenenza nazionale, bensì fondata sui valori di compassione, responsabilità, libertà di movimento e sul diritto di essere, di esistere ovunque, senza alcuna considerazione della sovranità dei confini territoriali.
La visione di una cittadinanza cosmopolita. Dobbiamo aspirare a una cittadinanza non più ancorata alla territorialità, sovranità e nazionalità condivisa, ma basata su forme alternative di comunità politica, che vada oltre il falso presupposto che l’interesse del singolo cittadino abbia la priorità sui doveri del resto della razza umana, poiché la nazione-stato non è l’unica né la principale comunità morale.
3. L'OSPITALITÀ COME BENE COMUNE
UNA PROPOSTA
Perché non si può rimanere indifferenti. Tre buone ragioni lo impediscono: l’etica, la sicurezza, l’interesse.
L‘etica: provoca profondo degrado morale vivere nell’opulenza al cospetto di moltitudini che vivono in così drammatiche condizioni di miseria. Le notizie che ogni giorno funestano i giornali ne sono la testimonianza quotidiana.
La sicurezza: la disperazione della miseria senza sbocco alimenta il terrorismo. Le mura della fortezza saranno inevitabilmente travolte dalla giustamente rabbiosa moltitudine degli esclusi.
L’interesse: recentemente il presidente dell’Inps, Tito Boeri ha dichiarato che le entrate nel pubblico bilancio dovute ai lavoratori emigrati ammontano a 8 miliardi di Euro, mentre solo 3 miliardi escono per le loro pensioni e gli altri benefici sociali. Politiche di accoglienza diverse dalle attuali produrrebbero notevoli vantaggi sul bilancio finanziario. Si tratta di valutazioni che nel mondo attuale hanno più peso di quelle umanitarie e morali. Si consideri ancora, a questo proposito, che oggi l’insieme dei migranti paga un miliardo di euro all’anno per tentar di entrare in Europa, e altrettanto costa all’Europa attrezzarsi per respingerli. Vero è che nel secondo caso sono le imprese europee che ne guadagnano.
Il problema non è “se” ma “come”. Il problema non è "se" dobbiamo accogliere i migranti o no. Provvedere ad assistere le persone nel bisogno o nelle difficoltà è un dovere civile. Il problema è “come” includerli nel nostro futuro e nel percorso del nostro sviluppo, senza discriminazioni né sfruttamento né pretendendo di “addomesticarli”. L’arrivo di un gran numero di migranti è una sfida per ogni paese, ma è anche un’occasione per entrambe le parti: (gli ospitanti e gli ospitati), se guardiamo al problema nel contesto sociale, economico e ambientale dei diversi paesi.
Dove troppo pieno, dove troppo vuoto. Se la storia degli ultimi secoli ha reso i territori dell’esodo troppo pieni di persone, la stessa storia ha provocato in Europa vaste condizioni di troppo vuoto, da più punti di vista. Nell’ultimo secolo i paesi poveri presentano i più alti tassi di crescita della popolazione. L’Europa al contrario sta diventando troppo vuota, sotto diversi aspetti: demografici, territoriali, sociali.
Vuoto demografico. Nel 2015 l’Unione Europea contava quasi 510 milioni di abitanti, contro circa 485 milioni nel 1995 (considerando le frontiere attuali dell’Unione). Questa progressione di 25 milioni di abitanti in vent’anni non ha niente di eccezionale (appena lo 0,2 per cento di crescita annuo, contro l’1,2 per cento della popolazione mondiale nel suo insieme nello stesso periodo). Ma il punto importante è che tale crescita è dovuta, per quasi tre quarti, all’apporto migratorio (più di 15 milioni di persone). Tra il 2000 e il 2010, l’Unione Europea ha accolto quindi un flusso migratorio (al netto degli espatri) di circa 1 milione di persone. Sulla base dei trend demografici, e ove permanessero, l’Europa avrebbe bisogno di 42 milioni di nuovi abitanti entro il 2020 e di oltre 250 milioni in più nel 2060.
Vuoto sociale e territoriale. Definiamo vuoto sociale e territoriale il fatto che esistono molte aree della società e del territorio nelle quali si manifesta una forte carenza di investimenti di risorse, e soprattutto di lavoro, dovuta a sua volta al fatto che non esistono le condizioni che rendano conveniente per il Mercato intervenirvi.
Alcune tipologie territoriali:
- terreni fertili abbandonati per la concorrenza di colture industrializzate;
- lavori di manutenzione idrogeologica e boschiva abbandonati per carenza di investimenti;
- abbandono di interi paesi e di un ricco patrimonio di infrastrutture minori dovuto alle peggiorate condizioni economiche e alla conseguente emigrazione;
- concentrazione delle risorse pubbliche e private sulle infrastrutture di trasporto basato sulle grandi distanze, sulla motorizzazione individuale e sull’alta velocità;
- abbandono di colture e di allevamenti tradizionali a causa del cambiamento degli standard di comportamento sociale degli europei;
- riqualificazione degli spazi pubblici e della manutenzione di aree di verde urbano;
- altre tipologie sociali come la cura alle persone; i mestieri scomparsi a causa della “obsolescenza programmata” dei prodotti utili per esempio tutte le categorie di riparazione di oggetti, dalle scarpe ai giocattoli, agli impianti tecnologici agli strumenti informatici;
- i lavori “scartati” dai giovani europei in quanto considerati troppo faticosi o degradanti.
Cambiare il nostro modo di immaginare e di progettare. Per molto tempo ancora il flusso sarà da Sud a Nord. Dobbiamo considerare questo come un dato normale del nostro assetto demografico e dobbiamo perciò incorporare nella nostra attività di pianificazione e programmazione territoriale il nuovo sistema di bisogni (casa, servizi collettivi, lavoro, ecc.), invece di pensare che istantaneamente il flusso si arresterà o qualcosa riuscirà a impedire alle persone di approdare.
In una parola, dobbiamo immaginare e via via trasformare le nostre città e i nostri territori non solo per le persone che vivono qui da secoli ma per i nuovi cittadini (i migranti) che hanno storie e diverse nel loro passato.
Il cuore della proposta. La proposta che da più parti viene avanzata in Italia (Luciano Gallino, Guido Viale, Piero Bevilacqua, Franco Arminio, Tonino Perna,…) si riallaccia ad esperienze compiute negli USA e in Europa per affrontare la grande crisi economica del 1929. Si decise allora (il New Deal del presidente USA Franklin Delano Roosvelt) di investire ingenti risorse pubbliche per trasformare l’assetto territoriale di vaste regioni, risolvendo problemi ambientali e territoriali, e aumentando al tempo stesso la capacità di spesa dei lavoratori, riattivando così il sistema economico. Nel nostro caso le migrazioni potrebbero essere l’occasione per investire non solo risorse pubbliche ma anche risorse fisiche collettive (terreni abbandonati ed edifici inutilizzati).
Mettere insieme quello che oggi sembra troppo pieno e quello che è troppo vuoto: anche questa è, al tempo stesso, una sfida e un’occasione. La sfida è fornire un’intelaiatura nazionale ed europea, e una coerenza territoriale sistemica, a un insieme di esperienze, di tentativi e di progetti realizzati o avviati a livello locale, spesso in collaborazione attiva con gli stessi migranti.
Riace, e non solo. L’esperienza di Riace e del suo sindaco è diventata famosa perché una rivista internazionale ad ampia tiratura, Fortune, ha inserito il sindaco Mimmo Lucano nell’elenco dei grandi leadr mondiali per il 2016. Ma molte feconde esperienze sono in atto in Italia e in Europa, da parte di molti attori, istituzionali e non, che hanno scelto la solidarietà contro gli affari.
Siamo convinti che il percorso giusto è di partire dalla molteplicità delle esperienze e dei progetti locali, di portarli a sintesi con i bisogni, i desideri e le competenze dei nuovi cittadini (i migranti) e di costruire insieme progetti più ampi e complessi.
Gli attori e il ruolo Nord-Sud del progetto. Oltre alle istituzioni dei vari livelli (comuni, regioni, stati, Europa) gli attori privilegiati sono tre:
(1) il mondo dell’associazionismo e del volontariato, istituzionale ed extraistituzionale, che già lavora in questa prospettiva;
(2) le presenze già organizzate od organizzabili di persone nei paesi di provenienza per instaurare rapporti, programmi a lunga durata, che prevedano sia l’implementazione di canali di espatrio sicuro, sia il possibile ritorno dei migranti nei loro paesi di origine quando le condizioni lo favoriscano;
(3)la scuola, dalla materna all’università: senza una cultura che rispetti la differenza, l’alterità e creda nella solidarietà non è possibile costruire una società multietnica pacifica.
I primi due attori sono particolarmente utili nella prospettiva di una presenza solo temporanea dei profughi in Europa. Quelli di loro che vorranno tornare nei loro paesi di origine potranno avvalersi delle esperienze e conoscenze (dei saperi e dei mestieri) acquisiti nella fase della loro permanenza in Europa per migliorare le condizione delle loro ritrovate patrie, così come l’Europa avrà potuto arricchirsi grazie alla conoscenze delle loro culture.
Crediti
Il testo è scritto per eddyburg da Ilaria Boniburini, Paolo Dignatici ed Edoardo Salzano, con contributi e discussioni con Maria Cristina Gibelli, Piero Bevilacqua, Paolo Cacciari, Guido Viale. È stato presentato in occasione degli incontri del 25-26 giugno 2016 sul tema “La crisi dei migranti. Industria vs Solidarietà” al padiglione della Grecia alla Biennale di architettura di Venezia, organizzato dall’associazione greca degli architetti Sadas-Pea in collaborazione con eddyburg.
Scarica qui il testo in inglese: Hospitality and Citizenship; e qui il testo in italiano: Ospitalità e cittadinanza. Qui il link al powerpoint, tradotto in formato .pdf.