Eddyburg è stato sempre molto attento alle parole. Nel sito c’è una cartella dedicata a questo tema, e una che contiene un Glossario. Un'altra cartella, curata da Fabrizio Bottini, contiene un'ampia anntologiache raccoglie Testi per un glossario. Una lezione intitolata Glossario è stata svolta nellaseconda e nella terza edizione della Scuola di eddyburg, vi troverete pianificazione, governance, paesaggio, territorio,sviluppo, beni e merci, e molte altre ancora. Un piccolo glossario è in appendice del libro Ma dove vivi?.
In passato ci si è preoccupati soprattutto di fornire alcune definizioni da assumere come comuni per comprendersi meglio, offrendo magari punti di vista diversi ma non contraddittori. Da quest’anno ci si propone di fare un passo avanti: di ragionare sulle parole con maggiore attenzione al loro significato letterale, al contesto in cui sono nate e, soprattutto, ai diversi contesti in relazione alle quali si sono trasformate, il loro significato ha slittato e ne è cambiato il senso.
Il fatto è che le parole, il linguaggio, i discorsi hanno un’importanza enorme: non solo per comunicare per intenderci tra noi, ma anche per comprendere la realtà, i mutamenti e le trasformazioni del passato, del presente, e quelle proposte per il futuro. Non solo, il linguaggio, se lo intendiamo come pratica sociale, può contribuire a cambiare la realtà. La prima parte del testo ( Linguaggio, discorso, potere) che presentiamo a questa IV edizione della Scuola vuole soffermarsi sull’importanza di parole, sui loro significati, sul fatto che questi cambiano, al cambiare della società e il potere che queste hanno.
Vorrei sottolineare sei aspetti:
1. Il linguaggio è un fenomeno sociale, cioè esiste una relazione di influenza reciproca tra linguaggio e società. Quando parliamo, scriviamo, ascoltiamo, leggiamo lo facciamo in un modo che dipende dalla società, dall’insieme delle relazioni e delle contingenze socio-economiche, politiche e culturali in cui la nostra società si trova. Nello stesso tempo il nostro modo di parlare, scrivere ecc. ha degli effetti, delle ricadute sulla società.
2. Il discorso comprende sia il testo, scritto, parlato visivo, che processi che mi consentono di interpretarlo e poi produrlo. Per potere affrontare questi processi noi attingiamo ad una serie di risorse nella nostra mente, sia quelle linguistiche, la grammatica, la sintassi ma anche quelle legate ai valori alle credenze. Queste risorse a cui attingiamo e che si formano via via nel corso della vita, attraverso le relazioni con le altre persone, il lavoro, la scuola ecc. dipendono da una serie di convenzioni che la società attraverso le istituzioni, i comportamenti, le pratiche stabilisce.
3. Questo insieme di convenzioni è determinato dalle relazioni di potere. Sia le convenzioni più banali, come le regole comportamentali implicite nel modo di salutarsi, di mangiare ecc, sino a quelle più complesse che coinvolgono il modo di comprendere il mondo che ci circonda, dare un senso del perché agire in un certo modo piuttosto che un altro in questioni politiche, economiche ecc,. Queste relazioni di potere sono fortemente influenzate dal modo in cui una società organizza la sua produzione economica. Nella nostra socità capitalistica le relazioni di potere sono influenzate dal rapporto tra chi detiene il capitale e chi detiene la forza lavoro.
4. I discorsi, scritti e parlati, sono un ottimo veicolo per il potere perché attraverso essi si può affermare una certa idea del mondo, e attraverso questa idea si possono quindi affermare certe pratiche, certi modi di fare piuttosto che altri. Il potere che si esercita attraverso il discorso, attraverso la parola non è un potere coercitivo, ma un potere che si acquisisce attraverso il consenso, sia attraverso la comunicazione con la quale si convince e attraverso l’inculcazione, cioè una sorta di persuasione che avviene in maniera recondita, non consapevole.
5. Occorre comprendere e agire nel mondo non attraverso ilsenso comune, cioè attraverso la passiva e acritica acquisizione di supposizioni, credenze, aspettative che altri elaborano, ma piuttosto attraverso il buon senso, connettendo la vita concreta ad una profonda e critica comprensione di ciò che avviene intorno.
6.Per poterlo fare occorre innanzitutto una consapevolezza critica del linguaggio per comprendere quello che ci viene detto, e quindi essere in grado di reagire ai discorsi attivamente e non passivamente. Senza questa consapevolezza non può esserci un’effettiva cittadinanza democratica, ed non è possibile promuovere un qualsiasi progetto di cambiamento sociale alternativo.
L’argomento di questa edizione della scuola rimanda a parole relativamente nuove (vivibilità, rigenerazione, riqualificazione), ma la loro comprensione deve muovere da parole più antiche, che nel tempo hanno profondamente modificato il loro significato: povertà, disagio, degrado.
Sono parole tra loro collegate, che a volte vengono confuse o utilizzate indifferentemente l’una per l’altra. Tutte indicano che c’è un problema, se vogliamo di natura e con caratteristiche diverse: c’è un problema, e quindi ci si deve adoperare per risolverlo, superarlo, curarlo e muoversi verso una situazione che sia invece di ricchezza, benessere, agio, ecc. Sono parole che implicano un giudizio negativo verso quella condizione individuata. Vorrei sottolineare solo alcuni punti:
1. La parola povertà ha subito molte trasformazioni, da una serie ampia di significati profondi e diversi e non tutti di segno negativo, si è arrivati praticamente ad un unico significato. Oggi la povertà significa principalmente la mancanza di mezzi per il raggiungimento di quello standard di vita che l’ideologia dominante e il complesso delle pratiche sociali indica come l’obiettivo universalmente prescritto. Questo standard viene identificato con un livello di consumo di beni materiali, che tende ad essere sempre più opulento.
2. Disagio è il secondo lemma di questo gruppo. È una parola che denota una situazione di difficoltà, di sofferenza, di malessere generalizzato in cui l’individuo si trova. È una condizione soggettiva, che riguarda il sentire del singolo individuo, ma è strettamente legata alle condizioni economiche, sociali, culturali della società in cui l’individuo si trova, quindi assume in questo senso un carattere sociale.
3. I termini povertà e disagio sociale, spesso usate come sinonimi, indicano realtà diverse sebbene vi siano connessioni e sovrapposizioni. Vi sono persone povere che non manifestano stati di disagio, e contemporaneamente vi sono persone in stato di disagio che non sono povere. Nel testo si descrive come questi termini si siano intrecciati e come la parola disagio abbia in anni recenti soppiantato la parola povertà, nel senso che i problemi della nostra società vengono sempre più ascritti alla sfera del disagio e solo in questi ultimissimi anni, nelle società cosiddette avanzate, riemerge questo problema della povertà. Ma va sottolineato che la povertà, indipendentemente dal fatto che se ne parli o meno, esiste ancora, non è stata debellata neanche dalle nostre società opulente.
4. Sono rilevanti ai nostri fini, i riferimento alle connessioni di queste parole con la città. Disagio urbano, invivibilità, insicurezza, vulnerabilità, “malessere del benessere” sono altre parole ed espressioni esplorate nel testo per individuare le condizioni delle nostre città.
Benessere, vivibilità, urbanitè. Se il primo gruppo di parole indica il problema, la situazione da combattere e sanare, il secondo gruppo esprime in qualche modo l’obiettivo da raggiungere. Si tratta delle parole benessere, vivibilità, e una nuova parola cui nel testo accenniamo soltanto: urbanitè.
1.Il concetto di benessere ha una gamma di significati molto ampia. Nel testo si riprendono le accezioni più significative: a)benessere come piacere e soddisfazione di desideri. Questa è l’espressione usata, direi piuttosto retoricamente, dagli economisti. È, per intenderci il benessere espresso dal livello di reddito o di consumo e a livello nazionale dal prodotto nazionale lordo, o dal pil; b) poi abbiamo il benessere come opulenza, cioè dove la ricchezza materiale è l’elemento chiave per il raggiungimento della soddisfazione; c)il benessere come possesso di opportunità, e infine d) il benessere come qualità della vita, che apre la strada verso il concetto di qualità urbana.
2. Sulla qualità della vita si intrecciano due diversi filoni di ricerca. Uno di carattere più quantitativo, quello degli indicatori sociali, finalizzato a individuare obiettivi e parametri capaci di indicare scalarità e graduatorie. E un altro che si muove su un piano politico-filosofico a partire da una critica della società industriale. Entrambi questi filoni incontrano la tematica dei movimenti ecologici e ambientalistici e il concetto di sviluppo sostenibile. La sintesi e la mediazione tra la linea degli indicatori sociali, quella della qualità della vita, nonché i ragionamenti sullo sviluppo sostenibile conducono all’elaborazione di un nuovo obiettivo: la qualità urbana. Ne parleremo molto in questi giorni.
3. Attraverso un percorso assai diverso si afferma il terminevivibilità. Questo termine ha un’ interessante storia. Intanto, in sé il termine viene dalla biologia e significa sostanzialmente capacità di sopravvivenza. E negli Stati Uniti viene ripreso negli studi urbani, per paragonare la città al metabolismo e studiarla in termini di la natura metabolica della città, in termini di input (le risorse materiali, energie, il suolo ecc.) e output (gli scarti da una parte cioè i vari tipi di rifiuti e la vivibilità, in termini di prestazioni utili al nostro vivere dall’altra). Il termine,livable, livability, viene poi ripreso a partire dagli anni Ottanta, sempre negli Stati Uniti, per individuare una serie di miglioramenti da effettuare per rendere le condizioni delle metropoli più piacevoli. Adesso, almeno in inglese, è fortemente associato al lavoro di un gruppo di americani che annualmente fanno delle convegni su questi temi e che come modello di città vivibile assumono le città europee, con le loro piazze. Ma su questo termine sarebbe interessante discutere, so che Paola Somma ha cose da dire a proposito e credo che saranno molto utili sia a voi che a me, che dopo questa scuola avrò da rivedere tutte queste parole, anche alla luce di queste 4 giornate.
Anche i termini concorrenza e competizione all’inizio sembrano semplici e scontati. Poi, quando si cerca di approfondire, ci si rende conto di quanto invece siano complessi. Non voglio sintetizzare il testo scritto. Voglio limitarmi a sottolineare quattro aspetti:
1.Etimologicamente concorrenza ha due significati essenziali. Quello più antico esprime il correre insieme, nel senso di convergere, quindi cooperare. Il secondo esprime il gareggiare, il lottare l’uno contro l’altro per prevalere. Oggi è di gran lungo quest’ultimo significato che è prevalso.
2. Anche nella accezione più usuale, di concorrenza economica, il termine ha subito diversi slittamenti di significato in relazione alle modifiche del sistema economico – il capitalismo – al quale si riferiva. Li troverete nel documento.
3. Solo molto tardivamente il termine competizione è stato attribuito alla città. Nel documento troverete la descrizione particolarmente ampia di questa fase, in relazione ad una interessante descrizione delle trasformazioni urbane in relazione alle diverse fasi del capitalismo che ho ripreso da David Harvey.
4. La domanda finale è: la competizione è effettivamente utile alla città, oppure provoca più danni che vantaggi. Non vi do la risposta perché altrimenti non leggete il documento!
Prima chiudere vorrei accennare brevemente aRigenerazione e riqualificazione. Ne riparleremo venerdì e troverete questo gruppo di parole su eddyburg tra qualche settimana.
1.Il termine rigenerazione urbana viene dalla pianificazione britannica della metà degli anni ’70 e si riferisce a quell’insieme di politiche e strumenti che permettono il riutilizzo di aree ed edifici dismessi, obsoleti, sottoutilizzati, creando nel contempo nuovi posti di, un miglioramento dell’ambiente urbano e dell’apparato sociale. Si cerca così di dare una risoluzione ad ampio spettro dei problemi funzionali della città, cercando di soddisfare contemporaneamente questioni sociali ed economiche e tentando di generare delle ricadute sulla qualità urbana complessiva.
2. In Italia l’uso di questa parola sembrerebbe improprio perché la pianificazione urbana non ha cercato di affrontare necessariamente la componente economica (e spesso, almeno in un primo tempo, neanche quella sociale). Ci sono diversi motivi, innanzitutto la tradizione di pianificazione italiana, in cui vi è una netta separazione tra programmazione e politica economica da una parte, e politiche urbane e territoriali dall’altro. E poi il differente sviluppo economico dei due paesi.
3. In Italia si parla soprattutto di riqualificazione urbana, riferendosi soprattutto alla componente fisica, ambientale, anche se l’espressione “rigenerazione” è diffusa, ma talvolta appunto utilizzata in modo improprio, cioè non riferita al suo significato inglese originario.
4. Ma diciamo che anche le differenze concettuali si sono andate via via smorzando. Tant’è che all’interno della più recente strumentazione complessa è inclusa soprattutto la componente sociale, e in taluni casi anche quella economica.
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