I vasti problemi che si riferiscono allo sviluppo delle città italiane ed alla disciplina della loro nuova fabbricazione, trovansi ora, nell'attuale decisivo momento edilizio, all'ordine del giorno tecnico della Nazione; ed i nostri ingegneri ed i nostri architetti debbono prepararsi ad affrontarli con adeguata competenza, con rispondenza sicura tra i mezzi ed il fine.
Purtroppo nel passato prossimo questa preparazione è quasi sempre e quasi ovunque mancata; e forse non poteva essere altrimenti. Il grandioso fenomeno dell'urbanesimo, che ha affollato le città con enormi e rapidissimi aumenti di popolazione, si è sviluppato prima che maturassero, non solo lo studio e l'esperienza, ma perfino la coscienza dei grandi problemi che esso coinvolgeva nei riguardi del passato, del presente e dell'avvenire delle agglomerazioni cittadine. In particolare i mezzi di comunicazione hanno avuto un incremento imprevedibile, sia a recare un ingombro insopportabile nelle vecchie vie, sia a costituire un elemento di liberazione e di richiamo verso l'esterno, quasi a somigliare nel contrasto tra veicolo e strada l'alterna vicenda dei mezzi bellici di offesa e di difesa.
Soltanto colà dove una mente lungimirante ha presieduto allo sviluppo edilizio, come a Bruxelles, o dove una energia imperiale ha voluto affermarsi in opere grandiose con vastissimi mezzi, come a Vienna, a Parigi, a Strasburgo, a Monaco (seguendo l'esempio di quel megalomane di genio che fu Sisto V nella Roma del Cinquecento), ivi l'organismo della città si è in tempo avviato al suo ampliamento e si è dimostrato adatto al maggior sviluppo successivo. Ma questo non è stato, nè poteva essere, il caso delle città italiane; ove non sono mancate qua e là concezioni edilizie in tutto od in parte felici, come quelle dei viali periferici e del viale dei Colli di Firenze, o quelle del Rettifilo di Napoli, del Corso Vittorio Emanuele di Roma, della via XX Settembre a Genova, ma limitate ad un tracciato, non portate ad abbracciare tutta la vita cittadina, soluzioni locali aventi scopo a loro stesse, non fasi di più vaste realizzazioni per l'incremento della città; ed intanto la nuova edificazione si è addensata entro ed intorno al vecchio nucleo, spesso alterandone il carattere d'arte e d'ambiente, fasciandolo e soffocandolo cogli enormi casamenti entro gli isolati tutti uguali, tra le vie tutte uguali e tutte ugualmente insufficienti pel movimento che vi è sopraggiunto nel periodo immediatamente successivo. Questa attività edilizia che data dai cinquanta ai venti anni fa, rappresenta ora il maggior ostacolo ad ogni espansione ulteriore.
Da questa non lieta era di imprevidenza e di incomprensione della Edilizia nella tecnica e nell'arte ci andiamo ora, forse troppo tardi, rilevando. Oggi - è confortante constatarlo - si manifesta tra noi in questo così vasto campo tutto un magnifica risveglio di energie, che si esprime in studi severi, che si sostituiscono al dilettantismo empirico, ed in iniziative razionalmente avviate. La istituzione di speciali insegnamenti di Edilizia nelle scuole superiori d'architettura e nei corsi speciali di perfezionamento presso le Scuole d'ingegneria, le moltissime pubblicazioni di libri e riviste in cui appare alfine un riflesso di quella vastissima letteratura che fiorisce in Germania, in Francia, in Inghilterra sul molteplice argomento, i pubblici concorsi banditi pei piani regolatori di importanti città, come recentemente per Milano e per Brescia, la costituzione a Roma, a Milano, a Torino di gruppi urbanistici, le stesse discussioni ferventi che si animano nelle principali città italiane sui problemi dello sviluppo cittadino, sono non solo promettenti indizi di rapide conquiste, ma insieme mezzi efficaci per la formazione di una scienza e di una coscienza urbanistica. Si comincia ormai a vedere da tutti che l'ampliamento di una città, con l'innesto di nuovi quartieri sul vecchio tronco e l'avviamento verso uno sviluppo avvenire, rappresenta uno dei compiti più vasti e di maggiori responsabilità che si presentino all'Ingegneria ed all'Architettura; regolato da leggi precise, reso complesso dall'interferire di condizioni di diversissimo ordine.
É dunque il momento di intensificare gli studi e gli sforzi, e forse sotto questo riguardo è provvido l'attuale ristagno nella fabbricazione da parte dell'industria privata. Molto ancora può essere salvato nelle nostre città, molti errori possono ripararsi o con provvedimenti organici o con efficaci espedienti; poiché la maggior portata dei mezzi, specialmente dei mezzi meccanici di comunicazione, può raggiungere ora soluzioni di un ordine più vasto di quelle che qualche decennio fa, se pure fossero state comprese, difficilmente avrebbero potuto attuarsi. Ma occorre che non si giunga tardi quando tutto sia compromesso!
Se l'Urbanistica è una tecnica ed un'arte - tecnica complessa a cui fanno capo l'igiene, la costruzione stradale, e gli impianti molteplici cittadini ed i mezzi di traffico, arte di ordine superiore che associa al sentimento tradizionale d'ambiente, la nuova composizione architettonica delle grandi masse - è sopratutto guidata da principi stabili e da un metodo determinato, che occorre ben affermare. Dopo un vario ondeggiare di tendenze, si è ormai nell'arduo tema dei piani regolatori di sistemazione e di ampliamento di antiche città giunti in modo quasi concorde a criteri ed a postulati, che ora qui, nella impossibilità di svolgere analiticamente la trattazione, si riportano nella forma un po' scolastica di un decalogo.
1.° Devesi premettere al piano regolatore cittadino il piano regolatore regionale, che contempli cioè l'ampia sistemazione delle comunicazioni esteriori coi centri prossimi ed anche la corrispondente diffusione del futuro abitato nelle campagne.
2.° Il piano regolatore d'ampliamento deve essere tutta una cosa con quello dell'interna sistemazione del vecchio nucleo, considerando il reciproco modo con cui i nuovi quartieri reagiscono sul nuovo centro e viceversa. Il piano regolatore dei mezzi di comunicazione deve analogamente essere contemporaneamente studiato e direttamente coordinato col piano regolatore edilizio.
3.° Si dividano nettamente i vari tipi di traffico, cioè il traffico esterno di passaggio, quello che converge ai nodi tra loro ben collegati della viabilità e del movimento cittadino, quello locale, ed a ciascuno si dia la sede adatta secondo ben studiati circuiti, talvolta periferici, talvolta radiali, distinguendo in ogni caso la rete stradale di grande circolazione dalla spicciola rete di vie minori per la suddivisione dei lotti di case. Il criterio dello sdoppiamento del sistema cinematico cittadino discende allo studio dei singoli organi, come le piazze d'incontro delle vie ed eventualmente i passaggi ed i mezzi di comunicazioni sotterranei.
4.° Si dividano i quartieri di nuova fabbricazione in zone di vario tipo fabbricativo, che col loro associarsi non solo diano un ritmo alla città e rechino vantaggi all'estetica ed all'igiene, ma contribuiscano all'avviamento razionale della fabbricazione.
5.° Si aprano le porte alla espansione della città nelle zone esterne, togliendo con arditi e tempestivi provvedimenti le barriere che quasi sempre ostacolano il collegamento tra la città esistente ed i nuovi centri.
6.° Si coordinino i vari mezzi suindicati, cioè tracciamento di vie secondo precisi circuiti, ampi innesti, divisione in zone più o meno intense, attivazione dei mezzi di comunicazione di vario rodine (tranvie, autobus, ferrovie, metropolitane, linee di navigazione), alla finalità di promuovere e dirigere la fabbricazione secondo un determinato programma, e di evitare che essa venga a chiudere e congestionare ed alterare il vecchio centro. La città vecchia e le sue nuove propaggini debbono coesistere ciascuna con le proprie esigenze e col proprio carattere.
7.° Si adattino i tracciati stradali alle condizioni altimetriche, evitando gli schemi geometrici ideati a due dimensioni, che tanto spesso nelle città reticolate hanno dato non soltanto un insopportabile carattere di monotonia, ma anche condizioni infelici di pendenza e di costo. Non solo i tracciati, ma gli incontri delle vie, la disposizione delle piazze e dei giardini siano frutto di uno studio complesso, relativo al flusso della viabilità, alla conformazione utile degli isolati, ad una estetica di ampia monumentalità o, più comunemente, di aggruppamenti vari e vivaci.
8.° Negli attraversamenti che si rendessero necessari nel vecchio nucleo a congiungere i poli esteriori (ove non siano efficaci gli anelli periferici) si adatti il tracciato alla fibra edilizia esistente e si eviti il contrasto di tipo e di masse architettoniche, possibilmente valendosi di nuove linee attraverso il corpo degli esistenti isolati, piuttosto che praticando allargamenti di vie esistenti.
9.° Non si pretenda di voler portare con vasti sventramenti i centri di vita nuova nei vecchi quartieri, ove ogni taglio in grande stile si risolve in danni per l'economia ed insieme pel carattere storico ed artistico della città antica, ed in luogo di avviare la soluzione della città antica la pregiudica forse irrimediabilmente. Per queste vecchie zone valga la formula del minimo delle sopraelevazioni e degli addensamenti.
10.° Si segua per questi quartieri nelle loro parti più logore e più dense, quando siano liberate dalla grande viabilità, il sistema del diradamento edilizio e dello spicciolo miglioramento delle condizioni igieniche ed architettoniche dei singoli edifici.
Alcuni punti di questo decalogo richieggono di essere maggiormente chiariti. In particolare, quello che si riferisce all'innesto di nuovi quartieri sul vecchio nucleo.
Le due soluzioni-tipo per tale innesto razionale sono come è noto, o quella degli anelli periferici che raccolgono il movimento e lo deviano dal centro (esempi, Ring di Vienna, di Lipsia, di Norimberga), o quella dello spostamento radicale o graduale del centro cittadino (esempio tipico la Neustadt di Strasburgo). Spesso però nè l'uno nè l'altro dei due sistemi sono attuabili nella forma schietta. L'anello non è efficace quando le condizioni altimetriche mal si prestano (Roma ad esempio ha due tronconi di anello nel Lungotevere e nel viale delle Mura tra Porta Pinciana ed il Castro Pretorio, ma tra loro mal congiungibili), ovvero quando ormai la città è già tanto sviluppata da non consentire più l'isolamento del nucleo centrale (come a Milano ed a Firenze). Lo spostamento del centro perché sia applicabile in modo completo, richiede una gagliarda iniziativa con mezzi adeguati in condizioni adatte; ben più sovente viene sostituito dalla formazione di vari centri nuovi tra loro ben collegati, ma possibilmente tutti da un lato relativamente alla città esistente.
Roma con la sua lunga vita edilizia e con gli errori (in gran parte inevitabili) del suo sviluppo dal 1870 in poi, offre esempi veramente istruttivi in questo campo.
Sarebbe certo interessante, ma non è qui il tempo nè il luogo, il rievocare le varie vicende edilizie dell'Urbe: dalla tipica suddivisione in distretti di Roma imperiale, alcuni incredibilmente affollati di popolazione, altri riservati a ville, altri a pubblici edifici; alla configurazione decentrata della Roma medioevale fino al principio del Quattrocento in cui tanti nuclei come di borgate diverse e lontane erano costruiti intorno al Campidoglio, nel Trastevere, presso il Vaticano e presso il LAterano; al processo di completamento delle zone intermedie ed allo spostamento del centro determinatosi sotto Sisto IV colla città curiale del rione di Ponte, sotto Leone X e Paolo III con lo sviluppo della fabbricazione in Via di Ripetta e sulla Via Lata (l'attuale Corso), fino al piano regolatore di Sisto V, che attraverso i vigneti dell'Esquilino e del Viminale tracciò le strade dritte come la sua volontà precedendo la futura città di quasi tre secoli.
Ma più direttamente utile è l'accennare alle vicissitudini edilizie di Roma capitale d'Italia. É noto che all'alta mente di Quintino Sella balenò l'idea di svolgere la nuova fabbricazione accanto e non entro la vecchia città in tutta la zona tra la Porta Pia e la Porta S.Giovanni, allora quasi deserta. I mezzi scarsi, i pregiudizi, la malaria, le opposizioni politiche impedirono l'attuazione di questo savio progetto, di cui rimase il Ministero delle Finanze come prima manifestazione isolata. E venne l'era delle piccole discussioni tra i «prataroli» ed i «monticiani», tra i sostenitori della Via Nazionale diretta a Piazza Colonna o diretta verso S.Pietro; vennero i tracciati di strade (come la Via Cavour, il Corso Vittorio Emanuele, la Via Veneto) senza uscita; si ebbe il piano regolatore del 1883 coi suoi tagli nell'interno troppi e troppo triti, quello del 1908 che volle recare un principio d'ordine ed un inizio regolare di ampliamento; ed intanto la fabbricazione si svolse anarchicamente ovunque l'individualismo la sospingeva, sia quella di quartieri privati, come il quartiere di S.Lorenzo e le costruzioni del periodo delle Cooperative, sia quella di edifici pubblici, e specialmente dei nuovi ministeri (che il Calderini ed il Sanjust saviamente volevano concentrare in Piazza d'Armi) disseminati a tutti gli estremi della città, senza un collegamento e senza una guida.
Ancora tuttavia molto più può essere salvato in Roma da un piano regolatore ideato in grande stile ed attuato con metodo serrato. Anzichè seguire in questo piano un sistema unico, il che sarebbe, per quanto si è accennato, impossibile, converrà associarne insieme vari incompleti: tracciare anelli taluni completi planimetricamente ma mal connessi altimetricamente, altri vastissimi, altri infine parziali, innestati ai primi a ghirlanda; promuovere con tutti i mezzi l'ampliamento della città specialmente nel ventaglio compreso tra il N.E. ed il Sud. L'annessa pianta schematica indica taluni di tali mezzi, consistenti nella sistemazione ferroviaria basata sull'abbassamento del piano della stazione di termini e sul prolungamento delle linee al Nord, nel tracciato di una metropolitana ad 8 avente la stazione stessa come punto d'incontro, nell'avviamento delle principali linee radialmente verso la regione esteriore testè designata. E se il grande viale periferico esterno quale appare disegnato nella unita tavola dimostrativa sembra quasi concentrico al nucleo attuale, non lo è di fatto, sia per la diversa intensità della fabbricazione prevista, sia per la diversa funzione delle vie; il viale che da Ovest dovrebbe essere di chiusa, ad Est ed a Sud si suppone di inizio di tutta una rete irradiantesi verso la campagna fino a raggiungere col tempo la cerchia dei monti e dei paesi che la circondano.
Solo un piano regolatore concepito con siffatta larghezza di criteri, cioè tracciato come schema di poche e grandissime arterie maestre aventi ben precise funzioni (simili a canali di una bonifica) di viabilità e di avviamento edilizio, attuato sistematicamente, in modo da determinare la graduale costituzione di un nuovo organismo vivo, e non con piccoli provvedimenti sporadici ed isolati, potrà risolvere adeguatamente il terribile problema: creare una Roma nuova che non sia, come quella dell'ultimo cinquantennio, una modesta città secondaria di ordinaria amministrazione, che non alteri più oltre il carattere di Arte e di Storia per cui Roma è ancora unica al mondo, ma che raggiunga veramente la grandezza imperiale auspicata dall'alta parola animatrice del Capo del Governo.
Oltre a questi concetti relativi all'ampliamento cittadino, qualche commento richiede pure l'asserzione, con essi direttamente legata, che esclude di concentrare la vita nuova cittadina nel vecchio ambiente. Ancora invece, si è ben lungi dal vedere accolto questo principio così semplice e chiaro, e non sono lontani i tagli del centro di Firenze, della Via Rizzoli di Bologna,, sono di ieri le devastazioni del quartiere di S.Lucia in Padova, sono di oggi i tanti progetti che nella vecchia Roma vorrebbero tagliare vie e piazze enormi senza uscita e senza scopo. Eppure se non ci si lascia illudere dalla rettorica edilizia, appare evidente la illogicità di aumentare l'importanza di spazi che, chiusi nel vecchio ristretto abitato, rimarranno sempre più inadatti ad essere il cuore di un organismo sempre più vasto. Enormi i danni di ordine estetico per l'alterazione della fisionomia di una vecchia città che spesso nel suo aggruppamento pittoresco può dirsi un monumento collettivo, per le condizioni ambientali degli stessi monumenti maggiori, alterate nei rapporti di masse e nelle visuali, pel carattere banalmente mercantile che inevitabilmente assumeranno le nuove costruzioni, anche se i mirabolanti disegni prospettici hanno promesso meraviglie monumentali: sicchè ad un insieme che ha in ogni elemento un valore di ricordi o di arte si sostituisce una volgare massa edilizia senza significato. Enormi i danni per la economia nazionale per la distruzione di un patrimonio di costruzioni a cui bisogna sostituire in perdita altri fabbricati di maggiore capacità, il che nel periodo attuale, in cui l'equazione del tornaconto nelle abitazioni modeste raramente dà soluzioni positive, rappresenta un altro ostacolo quasi sempre insufficientemente considerato.
Tutte le condizioni di vario ordine che apparentemente sembrerebbero contrastanti, sono quindi invece, a chi ben guardi, concordi nel determinare la necessità dello sdoppiamento tra lo sviluppo adeguato, ampio, libero, vivace della città nuova secondo le nuove esigenze, dallo spicciolo adattamento nel proprio ambiente della vecchia città.
Questa convergenza di concetti è una delle singolari, inattese caratteristiche del momento attuale dell'edilizia. Le ragioni della viabilità, dell'igiene, della bellezza, del carattere storico, della economia, dello sviluppo demografico che fino a poco tempo fa si esprimevano in trattazioni che tra loro si ignoravano, oggi si incontrano e si uniscono nei principi della giusta distribuzione delle varie zone dell'abitato, nel ritmo della viabilità, dei tracciati e dei raccordi razionali delle vie e delle piazze, dell'aggruppamento viario e pittoresco delle case, delle condizioni d'ambiente richieste dai monumenti.
Occorre tuttavia che questi problemi siano anzitutto intesi nel loro valore dal mondo finanziario ed amministrativo e politico, che ancora vi è assolutamente impreparato. A veder bene, non sono gli ingegneri o gli architetti a dar vita ad un piano regolatore, più o meno ben disegnato; ma le provvidenze amministrative e le combinazioni finanziarie ne rappresentano il vero elemento dinamico che ne avvia l'attuazione, non solo nello spazio, ma anche nel tempo, con un ordine di successione che può secondare o può annullare il concetto informatore del piano stesso. Tanto è vero questo, che molto spesso i piani regolatori si risolvono in una dannosa illusione e finiscono ad essere attuati soltanto per varianti sporadiche e secondo opere isolate che nulla hanno a vedere col programma edilizio. Tanto è vero altresì, che gli esempi non sono infrequenti di governanti di alta mente che hanno miseramente fallito nell'attuazione di grandi vedute edilizie, appunto per la mancanza di ogni razionale giuda nella rispondenza tra i mezzi ed il fine.
Occorre dunque che il programma tracciato sulla carta in bei disegni faccia parte di qualcosa di più vasto, che può dirsi un'alta e continua politica edilizia. Ma per far questo occorre che una seria preparazione si diffonda nelle classi dirigenti, ed è in ciò un grande compito degli ingegneri ed architetti italiani. Non solo essi debbono rapidamente impadronirsi dei problemi urbanistici, ma debbono farsene propulsori e divulgatori, se non vogliono in questo tempo in cui «secol s'innova» estraniarsi dalla vita della Nazione.
Le leggi stesse che a tutta questa materia presiedono sono quanto mai decrepite ed occorre rinnovarle. I compiti e le attribuzioni dei Comuni nei riguardi dei piani regolatori sono ancora quelli concepiti nei limiti della legge del 25 giugno 1865 sulle espropriazioni per pubblica utilità, a cui si aggiunge quasi sempre la legge ideata nel 1885 per le condizioni singolarissime di Napoli ed ora assurdamente generalizzata. L'una e l'altra, malgrado gli adattamenti che si è cercato portarvi con applicazioni stiracchiate e con regolamenti inorganici, creano gravissimi ostacoli all'ampia attuazione di un piano regolatore. Il carattere fiscale della valutazione degli espropri con la legge per Napoli rende enormi le resistenze dei singoli proprietari, ingiustamente spogliati. D'altro lato invece il sano provvedimento di una espropriazione non lineare, secondo i tracciati di viabilità, non per zone interne sì che i Comuni possano ricuperare con l'aumento del valore nei nuovi stabili propspicienti parte delle ingenti spese di sistemazione, è possibile solo in parte e per espedienti; non lo è ad esempio nelle zone esterne dell'ampliamento ove sarebbe più logico e provvido, poiché la trasformazione delle aree agricole in aree edilizie non dovrebbe andare a vantaggio dei singoli proprietari. E così avviene che i Comuni non hanno veri mezzi per farsi con ragionevoli compensi un demanio di aree, e che la sana e razionale tendenza all'ampliamento è ostacolata ed è invece favorita quella inopportuna degli sventramenti interni. Nè i tentativi della legge per Roma dell'11 luglio 1907 e delle varie disposizioni per le espropriazioni per costruzioni di case economiche, hanno con la loro artificiosità, fatto fare un passo alla questione.
Ed ancora: la procedura per l'approvazione e per la dichiarazione di pubblica utilità dei piani regolatori edilizi mal consente di redigerli secondo il sistema razionale della preparazione di una rete a larghe maglie a cui si intesserà in seguito la trama secondaria, come anche mal consente di considerare organicamente come cosa unica, volta ad unica finalità, il piano di ampliamento e quello di sistemazione interna.
Ed ancora: tra il piano regolatore del tracciato stradale e della edificazione e quello del traffico manca ogni legame, ed è invece essenziale costituirlo strettamente. Ancora i vari enti che vi presiedono si ignorano quasi completamente nelle loro iniziative, che invece dovrebbero essere manifestazioni di un unico programma; ed avviene così ad esempio che l'Amministrazione ferroviaria costruisca stazioni, parchi ferroviari, linee di allacciamento con passaggi a livello ecc. senza tener conto, nè in modo positivo nè in modo negativo, della funzione edilizia.
Questa quasi costante mancanza di una energia unica direttiva fa sì che l'attività privata invece d'essere, se ben guidata, fecondo elemento utile, spesso diviene dannosa.
In questo terreno germoglia così la sementa di tutte le speculazioni malsane, in cui l'interesse di gruppi finanziari si sovrappone al grande supremo interesse della città, bene spesso riesce a fuorviare con mille sapienti mezzi la pubblica opinione.
Oltre al mutare la base giuridica ed al meglio indirizzare le forze edilizie, occorre, come si è accennato che entri in campo l'elemento «tempo», e che i piani regolatori abbiano da parte delle amministrazioni una precisa e tempestiva graduazione dei provvedimenti tra loro concatenati, sicchè, per così dire, la tattica edilizia si associ alla strategia. Tra la tecnica e l'arte urbanistica da un lato e l'amministrazione e la finanza dall'altro, non può esserci distacco, ma coordinamento serrato verso un unico programma; il che può aversi solo con una mutua comprensione.
Il lavoro per giungere a questo risultato vincendo pregiudizi e resistenze non è lieve e deve esercitarsi in vario senso. Ma anzitutto occorre far sì che si diffonda ben più che ora non sia la coscienza, la preparazione, la organizzazione urbanistica.
Occorre per questo intensificare con insegnamenti severi, ma più ancora col lavoro agile delle pubblicazioni e delle conferenze la coltura in tutti i diversi campi che all'Urbanesimo fanno capo.
Occorre favorire la formazione di specialisti, sicchè anche tra noi la figura dell'Urbanista abbia il suo vero rilievo.
Occorre che in ogni Municipio di qualche importanza sia costituito un Ufficio Urbanistico (come testè si è fatto a Milano) in cui ingegneri ed architetti specializzati lavorino nella ideazione dei piani generali o parziali, nello studio dei tanti impianti cittadini, nella compilazione dei regolamenti edilizi, nella redazione di progetti architettonici delle più notevoli sistemazioni, a cui sia possibile direttamente imprimere un carattere con la costruzione di pubblici edifici, ovvero si determinino speciali norme per l'attività privata, associando armonicamente nella composizione l'Architettura alla Edilizia.
Occorre promuovere pubblici concorsi su sistemazioni, o vaste di piano regolatore cittadino o limitate per speciali località, in modo da trarne non tanto soluzioni definitive, chè il concorso troppo spesso rende lirico quello che deve avere un carattere pratico; ma spunti di idee nuove da usufruire con studio ponderato.
Occorre richiedere che l'esame dei piani regolatori sia affidato alla competenza di appositi enti nuovi, pei quali possono utilizzarsi giovani elementi tratti dal Corpo del Genio Civile e dalle R. Sovraintendenze ai Monumenti, e, più in alto, dal Consiglio Superiore delle Belle Arti e da quello dei Lavori Pubblici uniti nel lavoro comune.
Hic opus hic labor. Trattasi, in Italia più che altrove, di grandi problemi nazionali che non debbono più oltre essere trascurati; trattasi della vita stessa delle nostre belle città che non possono più essere compromesse irreparabilmente nel carattere d'Arte ad esse mirabilmente impresso dai secoli, nelle feconde possibilità di un vasto sviluppo avvenire.
La nostra Rivista può e deve portare a questo movimento un contributo diretto e validissimo. Aprendo le sue colonne a segnalazioni ed a discussioni sulle questioni maggiori che interessano le principali città od i più tipici quesiti, riferendo i portati dei più recenti studi di cose urbanistiche, riportando sistematicamente una cronaca delle vicende e delle proposte più salienti ed illustrando ampiamente i migliori progetti concreti, potrà venire vero centro di ricerche e di affermazioni in quella che giustamente può dirsi la più complessa delle tecniche, la più grande delle Arti.