Altreconomia.it 19 settembre 2014
«I romani considerarono tutte le res in publicu usi, le cose di uso comune, come beni appartenenti al popolo, ed extra commercium. Essi ci hanno insegnato che per tutelare un bene di uso comune, cioè in proprietà collettiva del popolo, occorre porlo fuori commercio. L’esempio moderno di questa concezione è dato dai beni demaniali, che sarebbero pertanto inalienabili, inusocapibili e inespropriabili. Questo principio è tuttavia oggetto di una serie di travisamenti, fino ad arrivare al decreto legislativo 85/2010, il cosiddetto “federalismo demaniale”, che ha trasferito i demani statali, idrico, marittimo, minerario e culturale alle Regioni, e disposto che queste -dopo aver valorizzato i beni- li possano vendere a privati. Quanto disposto è oggi in via d’attuazione, e noi vediamo che sono state vendute a privati quasi tutte le isole della Laguna veneta, che è in vendita il monte Cristallo sopra Cortina d’Ampezzo, che in Umbria è in vendita la tenuta di Caicocci. Questo provvedimento è palesemente incostituzionale, ma nessun soggetto deputato a farlo (le Regioni) ha fatto ricorso alla Corte ‘in via principale’».
In che modo il diritto romano può rafforzare la “dottrina dei beni comuni”?
Il territorio dal punto di vista fenomenico è un luogo, dal punto di vista della qualificazione giuridica se ne è parlato invece in dottrina di “bene comune”. La teoria dei beni comuni, che ha avuto un forte impatto sull’immaginario collettivo, non prende tuttavia in considerazione il fenomeno giuridico essenziale dell’appartenenza del bene, e si preoccupa solo della sua destinazione ad uso pubblico, dichiarando che non è importante stabilire se è in proprietà pubblica o privata. A me sembra, invece, che occorra partire dall’idea che l’intero territorio appartiene al popolo, a titolo di “sovranità”, e che la proprietà privata è una cessione di parti del territorio che il popolo sovrano fa a singoli soggetti.
Che cosa comporta questa sovranità popolare?
L’appartenenza del territorio al popolo implica che le leggi contribuiscano a una distribuzione equa dello stesso tra demanio diretto, ad uso pubblico della comunità, e territorio in proprietà privata. Oggi, invece, la proprietà privata è di gran lunga superiore a quella demaniale, e come se ciò non bastasse si provvede vorticosamente alla sdemanializzazione degli ultimi beni. Questo appare in contrasto con l’articolo 42 della Costituzione, che distingue la proprietà in pubblica e privata, intendendo con l’uso dell’aggettivo pubblico -come precisò l’illustre giurista Massimo Severo Giannini- proprio i beni demaniali.
Poi, però, l’Assemblea costituente ha modificato questa situazione: in che modo?
Questa scissione, foriera di danni incalcolabili per la collettività, è stata ricomposta dalla Costituzione repubblicana, la quale all’articolo 42 riconosce la proprietà collettiva demaniale, e si preoccupa di condizionare alla funzione pubblica la proprietà di quei beni che producono utilità eccedenti le strette necessità individuali e familiari. Sicché, oggi, la Costituzione riconosce come inviolabili soltanto i diritti di proprietà privata cosiddetti personali, come il diritto ai vestiti, alle scarpe, ad una utilitaria, alla prima casa, alla minima unità colturale, alla coltivazione diretta, mentre la grande proprietà privata -quella dell’industria e quella agricola- che produce utilità eccedenti i bisogni individuali resta sottoposta a una “funzione sociale”, cioè alla necessaria redistribuzione di utilità fra tutti i cittadini. Ciò è ribadito anche dall’articolo 41, che afferma che l’iniziativa economica privata è libera, ma non può essere in contrasto con l’utilità sociale né recare danno alla sicurezza alla libertà e alla dignità umana.
La tutela giuridica, poi, non c’è per un “diritto a costruire” che non esisterebbe proprio. La maggioranza dei cittadini è convinta che la proprietà privata abbia come contenuto del suo diritto uno ius edificandi, che però è falso. Poiché il diritto di modificare un territorio costruendo, cementificando e impermiabilizzando spetta a chi ne è proprietario, cioè è uno dei poteri sovrani del popolo, di fronte alla distruzione del paesaggio ogni cittadino può opporre la propria azione popolare sovrana.
Riferimenti
Sull'argomento si veda su eddyburg la recensione al libro di Paolo Maddalena Il territorio bene comune degli italiani, di Francesco Erbani , Quel bene di tutti chiamato paesaggio. Inoltre Il consumo di suolo e la mistificazione del ius aedificandi e Il territorio, il lavoro, la crisi finanziaria.Contributo alla teoria dei beni comuni di Paolo Maddalena.