Il manifesto, 8 maggio 2016 (p.d.)
Quando si esalta un tiranno, magari per farci ricchi e convenienti affari, prima o poi va a finire male. Anzi malissimo. E’ capitato a Matteo Renzi con il generale presidente Al Sisi, ora capita a tutti i leader europei con il Sultano atlantico Erdogan che sta trasformando la Turchia in una buia prigione. Nascondendo il fatto che il presidente golpista egiziano aveva le mani sporche di sangue, il presidente del Consiglio italiano ha sdoganato Al Sisi per primo, la ha riempito di elogi pubblicamente, ha intessuto con lui una rapporto preferenziale perfino amicale.
Ora non sa che dire di fronte al fatto che quel regime depista e nasconde le prove sul delitto di Stato di Giulio Regeni, fa dire che quella del Cairo è su questo una «collaborazione inadeguata», mentre in Egitto infuriano repressione, sparizioni violente, arresti e condanne a morte. Tanto che è stato incarcerato anche Ahmed Abdallah, attivista dei diritti umani e consulente della famiglia Regeni.
Sul fronte turco, hai voglia a prendersela con le malefatte «ottomane» del presidente turco. Siamo noi che andiamo alla sua corte a prendere lezioni di umanità, democrazia e rispetto delle libertà. Così ha fatto Merkel che è corsa ad Ankara dopo avere accettato la messa sotto accusa in Germania del comico Jan Böhmermann che si era «permesso» una canzoncina satirica su Erdogan. Al quale abbiamo prima attribuito il compito, tramite la coalizione degli «Amici della Siria» di destabilizzare la Siria coinvolgendola direttamente nel sostegno in armi e addestramento a tutta la galassia degli insorti anche jihadisti, compresi Al Nusra (Al Qaeda) e Isis.
Operazione riuscita a metà – non completamente come in Libia – ma con la devastazione di un altro Stato in Medio Oriente, con costi umani e sociali da apocalisse. Poi, di fronte alla tragedia di decine di milioni di profughi in fuga da quella guerra che anche noi abbiamo attivato, riconosciamo sempre ad Erdogan con tanto di elargizione di ben 6 miliardi, il ruolo di salvatore dell’Europa perché si trasformerà per noi con abile maquillage in «posto sicuro» dove, a nostre spese, continuerà ad accogliere la marea di disperati. Tutto, insomma, purché non arrivino a casa nostra.
Nell’Unione europea che nessuno riconosce più e che, invece che madre – secondo l’auspicio di papa Francesco – sembra, attorno ad una moneta, una camera di tortura disseminata di ostacoli e muri. La vicenda è smaccatamente sotto gli occhi di tutti, al punto che emerge perfino la coda di paglia di Matteo Renzi che dichiara, tra un tweet e l’altro, di essere preoccupato per la bontà dell’accordo della Ue con Ankara. Ma quando l’ha sottoscritto ignorava forse quello che tutti sapevano?
E il Sultano turco che fa? A ventiquattrore dalla defenestrazione del «troppo filo-occidentale» premier Davutoglu, punta ad una nuova Costituzione più presidenziale e autoritaria. E, nello stesso giorno in cui i due giornalisti del quotidiano di opposizione Cumhuryet, il direttore Cam Dündar e il caporedattore Erdem Gül, vengono condannati a 5 anni di galera per violazione del segreto di Stato per avere documentato e denunciato traffici di armi con i jihadisti in Siria; e nelle stesse ore in cui davanti al tribunale di Istanbul proprio Dündar subisce un attentato a mano armata perché «traditore», ecco che Erdogan dichiara con durezza all’Europa che lui non cambia le leggi antiterrorismo. Le stesse che il Consiglio d’Europa accusa di essere lo strumento per «reprimere le attività della società civile, asfissiare il legittimo confronto politico e il giornalismo investigativo».
Perfino gli Stati uniti denunciano gli stessi argomenti . Mentre aumentano i processi per «insulto al presidente» e la Turchia ha il triste primato del maggior numero di giornalisti in carcere. E mentre i leader della sinistra kurda sono minacciati di morte e le città kurde sono investite da una violenza repressiva senza pari, bombardate e sotto coprifuoco, che qui da noi non fa nemmeno notizia.
Il grande scrittore Orhan Pamuk ha lanciato in questi giorni un doloroso quanto impotente grido d’allarme: «Salvate Istanbul, viviamo nella paura». Il fatto è che il Sultano, islamista moderato, è anche il baluardo sud dell’Alleanza atlantica che tace su ogni repressione dei diritti civili in Turchia. Se la Turchia fosse investita da una legittima rivolta democratica, L’Unione europea sarebbe persa.
Così Erdogan tiene in scacco le cancellerie del Vecchio continente. Si avvia infatti a gestire per noi in appalto in nuovi universi concentrazionari (cioè campi di concentramento) la disperazione dei profughi. Vale a dire la vergognosa arroganza della fortezza Europa. Davvero non c’è più bisogno che Ankara entri nell’Unione. È al nostro «livello», l’integrazione è realizzata: i veri turchi siamo noi.