loader
menu
© 2024 Eddyburg
Maria Pia Vezio; Guermandi De Lucia
Paesaggio: la tutela negata
23 Ottobre 2010
Il paesaggio e noi
Il testo integrale del rapporto di Italia nostra sull’attuazione del Codice del paesaggio. Quello che il Mibac non ha potuto (o non ha voluto) fare. Le colpe del centro e i rari casi positivi, in un’analisi regione per regione

IL PAESAGGIO: LA TUTELA NEGATA

“[...] si è costruito per lo più l’inutile e il superfluo, seconde e terze case invece della prima per chi ne aveva bisogno. [...] Perché la degradazione di città e territorio non diventi irreversibile è dunque necessaria, in quest’u/ltimo decennio del secolo, un’autentica rifondazione della pianificazione.”

Antonio Cederna, 1990

A vent’anni di distanza, il monito di Cederna è più che mai attuale e il tempo è ormai ridottissimo. Lo strumento è quello: una pianificazione territoriale mirata innanzi tutto a salvare quel paesaggio italiano, miracoloso risultato di secoli di armonica interazione fra uomo e natura.

Con questo Primo rapporto sulla pianificazione paesaggistica, Italia Nostra vuole presentare, seppure in estrema sintesi, un’analisi critica dell’attuale situazione della pianificazione in materia di paesaggio, regione per regione. L’obiettivo iniziale era di fornire un quadro aggiornato e ragionato della copianificazione paesaggistica che avrebbe dovuto essere, ad oltre due anni e mezzo dalla definitiva approvazione del Codice, a un avanzato grado di elaborazione su gran parte del territorio italiano. Ci siamo invece resi conto che si trova in uno stato di scandalosa impasse.

Apparentemente arbitro della partita, il ministero, sfibrato da anni di riduzione delle risorse finanziarie, di riorganizzazioni spesso fra loro contraddittorie e comunque incoerenti rispetto ai compiti prescritti dal Codice, da ultima la cancellazione di una direzione generale autonoma del paesaggio, sembra aver ridotto il proprio intervento a un mero ruolo di segreteria amministrativa, mentre gli organi periferici procedono in ordine sparso e con grandi difficoltà determinate non solo dalla scarsità delle risorse a disposizione, quanto soprattutto da un’inadeguatezza, eccezioni personali a parte, delle competenze di pianificazione.

Il rapporto è frutto, nel suo insieme, dello sforzo collettivo di Italia Nostra, che attraverso i suoi Consigli regionali e oltre duecento sezioni ha consentito un’indagine estesa praticamente all’intero territorio nazionale. Pur con i limiti derivati, fra l’altro, dalla difficoltà di reperimento di informazioni affidabili, e con una disomogeneità che rispecchia, d’altronde, quella territoriale, il presente rapporto, il primo di questo genere in Italia, fornisce un quadro drammaticamente chiaro della situazione italiana.

A partire da questo primo risultato Italia Nostra intende costituire un Osservatorio indipendente e permanente sul paesaggio che assicuri un monitoraggio duraturo della pianificazione paesaggistica e che estenda, nelle prossime tappe, la propria analisi a tutti i fattori che agiscono sul nostro paesaggio.

A cominciare dal federalismo demaniale e dal perverso intreccio di una congerie di provvedimenti normativi di varia natura (piano casa, semplificazioni dell’autorizzazione paesaggistica e nuove regole per le conferenze dei servizi) che rischiano di innescare un micidiale meccanismo di accelerazione alle trasformazioni sul territorio difficilmente governabile dall’attuale sistema delle tutele.

Come le recentissime linee guida per l’autorizzazione alla costruzione di impianti alimentati da fonti rinnovabili (Dm 10/9/2010), pur emanate in concerto con il ministero Beni culturali, che presentano veri e propri profili di illegittimità laddove tendono ad annullare la preminenza della tutela del paesaggio rispetto a ogni altro interesse pubblico sancita dall’art. 9 della Costituzione.

1. Com’è noto, i piani paesaggistici previsti dal Codice del paesaggio devono essere elaborati “congiuntamente tra Ministero e regioni” (art. 135, c. 1). Questa è una delle differenze sostanziali con i piani paesistici ovvero paesistico-territoriali della legge 431 del 1985 (cosiddetta Galasso) che erano di esclusiva competenza regionale.

L’elaborazione congiunta Stato regioni è evidentemente un rilevante passo avanti, dal nostro punto di vista, rispetto al trionfante e indistinto regionalismo dei giorni nostri, tanto più apprezzabile in quanto opera, in gran parte, di una maggioranza politica che fa del federalismo un suo tratto distintivo. D’altra parte, la partecipazione dello Stato alla formazione dei piani paesaggistici era una condizione indispensabile per realizzare la previsione di cui all’art. 131, c. 2, del Codice e cioè la tutela del paesaggio “relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali”: parole che riprendono quelle scritte da Benedetto Croce in occasione della legge 778 del 1922, da lui voluta (“Il paesaggio è la rappresentazione materiale e visibile della Patria con le sue campagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo”).

Che la partecipazione dello Stato non debba essere solo nominale, e comunque subordinata alle diverse iniziative regionali, ma debba essere invece unitariamente concepita è puntualizzato dall’art. 145, c.1 del Codice: “La individuazione, da parte del Ministero, delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione, costituisce compito di rilievo nazionale, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di principi e criteri direttivi per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali”.

L’art. 145 assume quindi un’importanza capitale, e va apprezzato il ritorno al lessico, da ascrivere a Massimo Severo Giannini, del noto e colpevolmente disatteso art. 81 del Dpr 616 del 1977, che prevedeva la funzione centrale di indirizzo e coordinamento in materia di urbanistica.

Ma quest’aspetto davvero innovativo del Codice, è totalmente disatteso. Delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione” non c’è traccia. Non è stata possibile neanche l’individuazione dell’ufficio ministeriale che dovrebbe occuparsene.

E non basta. Dall’indagine condotta da Italia Nostra [cfr. il seguente punto3.] in nessuna regione risulta effettivamente operante l’elaborazione congiunta con lo Stato dei piani paesaggistici e il ministero non ha neppure provveduto a definire criteri uniformi per la redazione degli accordi di pianificazione.

Particolarmente critica appare poi la fase dei monitoraggi. Mentre le regioni stanno provvedendo in ordine sparso e senza riscontri certificati ad alcune delle verifiche previste dal Codice (art. 159: le regioni provvedono a verificare la sussistenza, nei soggetti delegati all'esercizio della funzione autorizzatoria in materia di paesaggio, dei requisiti di organizzazione e di competenza tecnico-scientifica stabiliti dall'articolo 146, comma 6, apportando le eventuali necessarie modificazioni all'assetto della funzione delegata), il ministero non ha ancora attivato l’osservatorio nazionale sul paesaggio, da tempo costituito, pur se con compiti alquanto vaghi e neppure ha mai fornito criteri omogenei per la costituzione degli osservatori regionali che, per quanto risulta dalle documentazioni disponibili, appaiono del tutto privi di quelle caratteristiche di terzietà basilari per garantirne efficacia ed indipendenza di giudizio.

2. Prima di dar conto delle situazioni regionali quali emergono dai documenti di Italia Nostra, va sottolineata un’altra importante novità del Codice relativa alla possibilità di individuare direttamente ulteriori beni paesaggistici (art. 134, c. 1 lett. c) oltre a quelli derivanti da provvedimenti amministrativi (art.136) e a quelli stabiliti per legge (art. 142). Tre piani paesaggistici, Sardegna, Marche e Lazio si sono avvalsi, seppure con forme differenti, di tale possibilità.

Cadono in tal modo molte riserve sulla effettiva portata della tutela da parte del piano paesaggistico – considerato erroneamente settoriale e circoscritto – che trova in questo modo la possibilità di estendere ai territori con prerogative di conservazione del paesaggio la propria diretta azione di salvaguardia e tutela.

3. La sintesi che proponiamo, fondata in massima parte sulle relazioni dei referenti urbanistici di Italia Nostra, riguarda di fatto l’intero territorio nazionale, comprendendo, quindi, anche le regioni escluse, in virtù del loro statuto di autonomia, dall’obbligo di adeguamento della pianificazione ai sensi del Codice (Valle d’Aosta, Province di Trento e Bolzano, Sicilia).

La regione Piemonte fu tra le prime a dotarsi di una legge urbanistica regionale (la famosa legge Astengo, 56/1977) lungimirante in materia di tutela del territorio ma successivamente tradita e snaturata. Non si è mai dotata invece di piani paesistici (ma solo di alcuni cosiddetti piani settoriali). Nel 2005 si è messo mano al piano paesaggistico adottato in giunta nel dicembre 2009, oggetto di puntuali osservazioni e critiche formulate dal consiglio interregionale di Italia Nostra. La prevista attuazione del piano paesaggistico tramite i piani territoriali di coordinamento provinciali (scarasamente cogenti); la mancata subordinazione del piano territoriale regionale al piano paesaggistico; l’assenza di norme immediatamente prescrittive a far data dall’adozione del piano medesimo (art. 143, c. 9 del Codice) se non per i “corridoi” delle grandi infrastrutture e per i vincoli ope legis; la mancata indicazione dei laghi e delle fasce contermini fra i beni da tutelare: questi sono solo alcuni dei difetti e degli errori denunciati da Italia Nostra. Si chiedeva pertanto un’accurata revisione del piano, individuando una specifica criticità nelle problematiche di gestione. Con il cambiamento del quadro politico regionale, l’iter del Ppr langue. Ad oggi non è stata ancora costituita la commissione regionale per il paesaggio,mentre operano quelle locali che garantiscono ai comuni l’esercizio della subdelega.

La regione Liguria si era dotata in tempi assai brevi (adozione nel 1986) di un piano territoriale di coordinamento paesistico, esteso a tutto il territorio, ai sensi della legge Galasso. Ai fini della tutela del paesaggio, l’efficacia di tale strumento, caratterizzato peraltro da margini interpretativi assai ampi, è stata fortemente attenuata, negli anni, dalla deroga ai comuni in materia di definizione dei vincoli, dall’uso generalizzato di varianti di programma e conferenze di servizi. Tali pratiche distorte di pianificazione hanno agevolato quegli effetti di “rapallizzazione” per cui il territorio ligure è tristemente noto. Nel luglio 2009 è stata adottata una variante del piano territoriale di coordinamento relativa a 82 comuni quale primo adeguamento al Codice che però non appare dotata di quell’efficacia in grado di operare un’inversione di tendenza rispetto alla crescente pressione edilizia in atto.

Non ancora avviata è l’attività di copianificazione con il ministero.

La Val d’Aosta, esclusa dal proprio statuto di autonomia amministrativa dall’adeguamento della propria pianificazione ai sensi del Codice, è dotata di un Piano territoriale paesistico approvato nel 1998, non orientato specificamente alla valenza paesaggistica, tant’è vero che i beni culturali e ambientali sono solo una delle nove “orientations sectorielles”. Il Ptp ha un carattere prevalentemente descrittivo; generalizzata è la delega ai comuni per quanto riguarda le attività di tutela del paesaggio. Preoccupanti segnali derivano dalle recenti iniziative in materia di progetti territoriali (v. VdA Nature Métro) che, utilizzando finanziamenti europei, paiono coniugare gli ormai abusati riferimenti alla valorizzazione e alla green economy principalmente in termini di infrastrutture, impianti di energia rinnovabile e

“sviluppo di dinamiche di crescita economica”.

In Lombardia non esiste un piano paesaggistico. È stato recentemente predisposto uno schema di piano paesaggistico, all’interno del Piano territoriale regionale, approvato nel gennaio 2010, in contrasto con il Codice nello spirito, nel metodo e nei contenuti. Il documento, unilateralmente predisposto dalla regione, si limita a una descrizione del territorio senza regole né norme e non è sottoscritto dal direttore regionale dei Beni culturali, anche se sono sempre più forti le pressioni regionali in tal senso.

Pur esclusa grazie all’autonomia speciale dalla copianificazione ai sensi del Codice (Corte costituzionale sentenza 2009/226), la Provincia di Trento è dotata di un piano urbanistico provinciale fin dal 1967 che, soprattutto in anni passati, si è rivelato efficace nella tutela del paesaggio. Attualmente, però (l’ultima revisione risale al 2008) tale strumento non appare adeguato a contrastare i fenomeni di dispersione urbana e l’espansione selvaggia delle infrastrutture in zona montana.

Allo stesso modo esclusa dalle procedure pianificatorie stabilite dal Codice, la Provincia di Bolzano esercita le attività di tutela del paesaggio elaborando, sulla base della legge provinciale 16/1970, le Linee guida natura e paesaggio Alto Adige, alle quali si devono conformare i piani paesaggistici veri e propri, redatti su base comunale, che contengono il “piano dei vincoli paesaggistici”, considerato dalla stessa Amministrazione provinciale, un "prodotto di successo" in quanto “nessuna regione all'interno o all'estero può annoverare tra le sue conquiste un sistema di zone protette esteso alla quasi totalità della sua superficie”.

In linea con questo risultato appare d’altro canto la strategia generale di pianificazione, imperniata sul presupposto che “l'applicazione della tutela naturale e paesaggistica abbia la precedenza di fronte agli utilizzatori del territorio”.

La regione Friuli Venezia Giulia risulta a tutt’oggi priva di piano paesaggistico. Nella vigente, recente legge regionale 22/2009 con cui si avviano le procedure per l’elaborazione del piano di governo del territorio, è del tutto assente ogni normativa specifica sulla pianificazione paesaggistica, demandata alla futura copianificazione ai sensi del Codice. La cosiddetta Carta dei valori, una sorta di elaborato introduttivo al piano, appare un documento dalle finalità poco chiare e improntate ad un lessico a dir poco ambiguo: a tal punto che il termine paesaggio non viene praticamente mai utilizzato.

Il Veneto dispone di un piano territoriale regionale di coordinamento, adottato nel 1986 e approvato nel 1991, al quale era stata data efficacia ai fini della legge Galasso, in particolare mediante alcuni “piani d’area” successivamente approvati: tra questi, il piano d’area della Laguna di Venezia, dotato di adeguate prescrizioni di tutela. A norma del Codice la regione avrebbe dovuto procedere all’adeguamento di tali strumenti alle nuove prescrizioni legislative. Invece la regione ha adottato, nel 2009, un Ptrc del tutto inefficace, riservandosi di procedere solo successivamente alla formazione di un vero e proprio piano paesaggistico, secondo il percorso prescritto dal Codice.

Il Ptrc ha confermato i pesanti, e spesso inutili, interventi di infrastrutture soprattutto stradali e le numerose new cities giustificate solo da interessi immobiliaristici, e presenta un’assoluta mancanza di cogenza delle esortazioni di difesa del territorio rurale; ha inoltre sancito l’esplicito (e illegittimo) “superamento” delle poche prescrizioni di tutela contenute nei previgenti strumenti di pianificazione: la tutela diviene “possibile” e non cogente, ed è comunque lasciata alla buona volontà di questo o quel comune, disomogenea e a pelle di leopardo.

Il Ptrc è stato oggetto di una fortissima contestazione organizzata da una rete che ha raccolto oltre un centinaio di associazioni e comitati, fra i quali le diverse strutture di Italia Nostra Veneto: la rete ha presentato 14 mila osservazioni, col risultato di bloccare l’iter del piano.

Non risulta che l’attuale giunta regionale stia procedendo con le attività di copianificazione ai sensi del Codice se non in senso di una mera ricognizione tecnico-giuridico-cartografica dei vincoli.

L’Emilia Romagna si dotò a suo tempo, nel 1993, del piano paesistico da molti ritenuto il più efficace e rigoroso. Prescrizioni direttamente operative a tutela dei crinali e del sistema collinare, della costa, dei corsi d’acqua, delle zone d’interesse storico e paesaggistico ambientale, unite a precisi indirizzi e direttive per i piani sotto-ordinati e per le altre amministrazioni: tutto ciò ha sicuramente portato a risultati importanti preservando il paesaggio e orientando positivamente l’azione degli enti locali e la formazione degli strumenti urbanistici. Ma i principi ispiratori del piano paesistico del 1993 sono stati a mano a mano dimenticati. Nella recente legge regionale per il paesaggio (n.23/2009) è evidente la rinuncia a dettare norme cogenti e il futuro piano paesaggistico è configurato come mera sommatoria dei piani di coordinamento provinciali e dei piani strutturali comunali senza quegli approfondimenti (per esempio in materia di controllo degli interventi di trasformazione delle aree già urbanizzate) che Italia Nostra si aspettava.

La Toscana è sempre stata una regione congenitamente contraria a qualsivoglia autonomia della pianificazione del paesaggio rispetto a quella urbanistica. Il protagonismo dei comuni è assoluto. Fin dal 1979 furono subdelegate ai comuni le funzioni delegate nel 1977 dallo Stato alle regioni. In coerenza con questa impostazione non sono mai stati redatti i piani paesistici della legge Galasso né i piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali. La centralità comunale è stata rafforzata dalla legge urbanistica del 1995, quella che prevede l’articolazione del piano regolatore in due componenti: piano strutturale e regolamento urbanistico. Ancora più marcata è l’autosufficienza comunale stabilita dalla successiva legge regionale urbanistica del 2005 che si rifà a un’esasperata concezione di quel “pluralismo istituzionale paritario” che sarebbe il portato delle infelici modifiche al titolo V della Costituzione del 2001, e a un’altrettanto esasperata concezione della sussidiarietà. Con sentenza del 2006, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la legge toscana del 2005 per contrasto con il Codice del paesaggio. Ma la regione non demorde e attribuisce valore di piano paesaggistico al Pit – piano di indirizzo territoriale – un piano che non assume mai efficacia immediatamente precettiva e che, secondo Italia Nostra, risponde a una prevalente concezione del territorio come “motore dello sviluppo” cui è subordinata la tutela. Ma in Toscana, come si sa, anche a seguito di un vivace dibattito sviluppato a partire dal 2006 dalle organizzazioni ambientaliste sulle carenze regionali in materia di controllo dei valori paesaggistici, è stato operato un radicale rinnovamento della giunta regionale che ha avviato una positiva revisione della tradizionale politica urbanistica.

La regione Marche nel 1989 si era tempestivamente dotata di un piano paesistico ambientale “semplice ma al contempo intelligente ed immediatamente efficace”. A partire dal 2001 è iniziata però una irreversibile inversione di rotta a opera di una politica ammaliata dalla deregulation e dalle pratiche derogatorie che hanno progressivamente indebolito a livello di gestione l’efficacia del piano del 1989. Recentemente la giunta regionale ha messo mano all’adeguamento del piano paesistico al Codice del paesaggio con un documento che preoccupa Italia Nostra. Di fondamentale importanza, secondo la nostra associazione, è il recupero, da parte della regione, di forti e importanti funzioni di coordinamento e controllo, da esercitare insieme alle soprintendenze, “unico deterrente valido per controllare e gestire in modo adeguato i particolarismi e i campanilismi pubblici e privati sempre presenti o latenti, nonché indicare nella provincia l’ambito ottimale per individuare e sancire le invarianti paesistico-ambientali in alcun modo derogabili a livello degli adeguamenti comunali”.

Particolarmente preoccupante la situazione dell’Umbria dove la regione pare intenzionata a rinnegare 40 anni di tutela. Nel documento d’avvio del nuovo piano urbanistico territoriale si legge che “l’idea guida assunta alla base del Disegno strategico territoriale reinterpreta un’immagine consolidata, quella di «Umbria verde» o di «Umbria cuore verde d’Italia»”. Si propone “il superamento” di quell’immagine, “stante il suo valore evocativo più che descrittivo”, per sostituirla con “Umbria territorio-snodo”, cioè soprattutto asfalto e cemento. Ma “in Umbria batte ancora forte un cuore verde” assicura Italia Nostra.

Il piano territoriale paesistico regionale della regione Lazio, adottato e tuttora in corso di formazione, costituisce forse il primo organico tentativo di applicazione delle innovazioni introdotte dal Codice dunque va seguito con attenzione soprattutto per verificare l'esito delle controdeduzioni alle 18 mila osservazioni, pervenute a seguito della pubblicazione, che potrebbero stravolgerne l'impostazione.

Il piano presenta luci e ombre. Fra le prime si segnalano: la corretta applicazione dell'articolo 134 lettera c) in particolare vengono individuati quali nuovi beni paesaggistici tutti i centri storici dei comuni del Lazio e ampie zone della campagna romana e delle aree agricole delle bonifiche oltre ad altri beni identitari quali casali agricoli e beni storici ed archeologici; inoltre il dettaglio dell’impianto conoscitivo (base cartografica 1:10.000); infine che alla sua formazione ha partecipato il Ministero con tutte le soprintendenze. Le ombre riguardano la modifica dei vigenti piani territoriali paesistici (discendenti dalla legge Galasso) attraverso l'accoglimento, da parte del consiglio regionale, di numerose osservazioni comunali che, come prescrive la legge regionale, sono preliminari all'adozione, peraltro senza adeguate forme di pubblicità, una particolare indulgenza è stata rivolta al comune di Roma ed al suo nuovo Prg; inoltre non appare del tutto evidente con quali criteri è stata operata la traslazione delle tutele dai vigenti piani paesistici al nuovo piano territoriale paesaggistico adottato.

In Abruzzo, fin dall’inizio, il piano paesistico – approvato nel 1990, articolato in 11 ambiti (in effetti 11 piani paesistici) – è stato caratterizzato “dalla soccombenza della tutela del paesaggio ai differenti interessi economici”. In particolare, il piano vigente ha escluso dagli ambiti della propria competenza tutte le aree agricole della collina adriatica. Risulta così privo di ogni forma di tutela proprio il territorio più prossimo alla conurbazione costiera interessata dai più rilevanti processi di crescita edilizia. Le pressioni insediative in questi delicati contesti si sono trasformate in significative tendenze al consumo del suolo e alla compromissione di delicati paesaggi agrari. Nel 2006 è stata affidata all’esterno la formazione del nuovo piano paesaggistico che, con ritardi sensibili rispetto ai tempi previsti, è giunta alla presentazione delle analisi dalla cui lettura emergono gravi carenze nei contenuti e preoccupanti negligenze nell’impostazione, soprattutto per quanto riguarda lo spazio rurale. Il deficit di partecipazione finora registrato dovrà comunque essere colmato, è la legge che lo impone, con l’avvio della Vas.

Resta da dire, dell’assenza di qualsivoglia politica di tutela paesaggistica nel territorio dell’Abruzzo colpito dal terremoto dell’aprile 2009. Il Comitatus aquilanus e il Circolo per la valorizzazione delle terre pubbliche hanno denunciato che il commissariato per la ricostruzione propone illegittimamente come riferimento-base di tutela, “non il piano regionale paesistico vigente, ma il controverso nuovo piano paesaggistico in elaborazione” (a cura di Ecosfera-Inu)”, e soprattutto la sua “devastante e liberatoria Carta dell’armatura urbana”.

Il Molise si dotò, nel 1989, di un piano territoriale in adeguamento alla legge Galasso a carattere quasi esclusivamente descrittivo e quindi privo di quelle caratteristiche di prescrittività indispensabili per una adeguata tutela paesaggistica. Da allora, nulla si è mosso su questo versante e la regione non ha mai iniziato, neppure formalmente, l’iter per l’adeguamento della propria legislazione al Codice.

La Campania, regione più di ogni altra devastata dall’abusivismo e dal malgoverno, non si è mai dotata di un piano paesistico, a eccezione del piano urbanistico territoriale della Costiera amalfitana e della Penisola sorrentina approvato con legge regionale nel 1987 (in effetti, il Put deriva da un piano territoriale di coordinamento che Italia Nostra aveva “imposto”, per così dire, al ministero dei Lavori pubblici prima dell’istituzione delle regioni). In Campania sono invece vigenti ben 14 piani paesistici formati dai funzionari delle soprintendenze (coordinati da Antonio Iannello) approvati nel 1996 con decreto del ministro Paolucci in sostituzione della regione. Nel 2005 la regione ha approvato con legge un piano territoriale regionale, ma assente è l’iniziativa in materia di tutela.

La regione Basilicata non è ancora dotata di un piano paesaggistico esteso all’intero territorio regionale, attualmente in fase di redazione ai sensi del Dgr 366/2008. Tale strumento dovrebbe ovviamente rispondere alle prescrizioni del Codice, ma la fase di copianificazione con il ministero non si è ancora avviata, neppure a livello formale.

La Puglia dispone di un piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio (Putt/p) del 2000 che non ha posto un argine al malgoverno del territorio, al sovradimensionamento dei piani, al dilagare dell’abusivismo. Nel 2010 è stata adottata la proposta di nuovo piano paesaggistico. Italia Nostra, che ha attivamente seguito l’iter di formazione e ha contributo alla procedura Vas, si ritiene però insoddisfatta dei risultati raggiunti. Teme che “la democrazia partecipata” di cui sono permeate le norme possa non essere efficace nel contrastare progetti di manomissione del territorio ed ha presentato apposite osservazioni.

La regione Calabria non dispone di piani paesistici. A gennaio 2010 la precedente Giunta era riuscita ad approvare il quadro territoriale regionale con valenza paesaggistica (Q.T.R./p.) con il quale la Calabria si sarebbe dotata, per la prima volta, di uno strumento di regolazione del territorio esteso a tutta la regione; nel dicembre 2009 era altresì iniziato, almeno formalmente, l’iter di copianificazione. Ma il Q.T.R./p., pur di efficacia limitata, non è mai stato approvato dal consiglio regionale e non è quindi vigente. Attualmente ogni attività pianificatoria pare bloccata, mentre continua inarrestabile, fra abusivismo e dissesto idrogeologico, lo sfacelo del territorio.

Neanche la regione Sicilia dispone di piani paesistici ai sensi della legge Galasso e risulta comunque esclusa dall’obbligo della copianificazione ai sensi del Codice. Nel 1999 è stato approvato un documento di “Linee guida” per formare 17 piani paesistici affidati alle 9 soprintendenze regionali. I piani paesistici sono attualmente in formazione (alcuni adottati). Significativo appare quanto accaduto in queste ultime settimane per quanto riguarda l’ultimo di questi piani, quello relativo alla provincia di Ragusa: dopo averne boicottato l’iter di formazione, gli enti locali e le associazioni di categoria, una volta adottato dalla regione nell’agosto 2010, si sono violentemente scagliate contro il piano considerato come una vera e propria minaccia allo “sviluppo” del territorio. Addirittura le associazioni sindacali, per una volta unite nell’impresa, in un incredibile documento hanno definito le prescrizioni del piano “aggressioni in puro stile terroristico contro il progresso economico” ordite da parte di “una dittatura intellettuale”, rappresentata in particolare dalla locale soprintendenza ai beni culturali e ambientali.

La regione Sardegna rappresenta un caso affatto particolare in quanto, pur dotata di un recentissimo piano adeguato ai sensi del Codice, ne ha già iniziato la revisione. Dopo una lunga fase di sostanziale assenza di strumenti di una qualche efficacia ai fini della tutela paesaggistica – i 14 piani paesaggistici emanati in adeguamento alla legge Galasso all’inizio degli anni Novanta sono poi stati annullati, tutti tranne uno, poiché ritenuti addirittura in contrasto con l’esigenza di tutela del paesaggio – con la giunta Soru, 2004-2008, la regione ha conosciuto una decisiva inversione di tendenza. Nel 2004, la così detta legge “salvacoste”, legge regionale 8/2004, diviene il primo tassello del piano paesaggistico regionale approvato in via definitiva nel settembre 2006. Fra gli elementi di innovazione del PPR sardo, la suddivisione in due successivi livelli normativi: il primo relativo alla tutela dei beni paesaggistici veri e propri (fra i quali è inserita la fascia costiera nella sua interezza), l’altro che detta le prescrizioni sugli ambiti di paesaggio individuati. Così pure rilevante appare l’inserimento dei centri e dei nuclei storici fra beni paesaggistici tutelati. Ma soprattutto, in perfetto allineamento con il contemporaneo Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’elaborazione del piano paesaggistico regionale sardo si è conformata, per espresso volere degli organi regionali, ad una copianificazione con gli organi del ministero, anche se, per evidenti motivi, non ha potuto tenere conto degli ultimi emendamenti del Codice stesso introdotti nel 2008. Lo stesso ministero ne ha comunque riconosciuto di fatto l’adeguamento ai criteri stabiliti dal Codice stesso.

L’iter di applicazione del piano si è scontrato da subito con la fortissima opposizione da parte, fra gli altri, degli enti locali. Purtroppo, la nuova giunta Cappellacci ha fatto della revisione del Ppr uno dei punti qualificanti della sua azione di governo. Tale revisione, iniziata a partire dal giugno 2010 sotto la stravagante denominazione di “Sardegna Nuove Idee”, affida la propria strategia alle parole d’ordine di “concertazione” e “compartecipazione” che lasciano prefigurare un cedimento generalizzato alle pressioni edificatorie degli enti locali.

4. Come abbiamo visto il quadro generale della pianificazione presenta gravissimi elementi di criticità. In generale, i piani paesaggistici elaborati dalle regioni possiedono solo raramente elementi prescrittivi e una definizione chiara di procedure e regole atte a regolamentare l’uso del territorio e a delimitare senza ambiguità le aree tutelate e i diversi livelli di tutela. Anche quelle che, soprattutto in adeguamento alla legge Galasso, avevano elaborato piani adeguati ad una efficace tutela paesaggistica (Emilia Romagna, Marche, Umbria) ne hanno progressivamente indebolito l’impianto. Un contraccolpo fortemente negativo alla pianificazione è rappresentato poi dagli avvicendamenti dovuti all’ultima tornata elettorale a seguito dei quali alcune regioni che, faticosamente, avevano completato l’iter di formazione (e in un caso di approvazione) di un piano paesaggistico, rischiano di tornare al punto di partenza affrontando revisioni radicali degli strumenti elaborati (Sardegna, Lazio), mentre in altri casi (Calabria, Friuli), l’iter di copianificazione appena avviato è ora di nuovo confinato in una indeterminatezza priva di prospettive temporali ragionevoli.

In generale, la disciplina del paesaggio rimane invischiata nel sistema della pianificazione territoriale ordinaria dove comanda sempre il livello comunale, al quale è riconosciuta, un’autonomia ampia, quando non amplissima, mentre a livello regionale generalizzata è la rinuncia a operazioni di strategia territoriale su area vasta. A questa situazione di grave debolezza del sistema della tutela su base regionale, il ministero pare incapace di opporre alcuna strategia di rilancio delle operazioni di copianificazione.

Come detto, non solo le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale ai fini della tutela del paesaggio previste nell’art. 145, sono restate finora una pura dichiarazione d’intenti, ma tale compito, seppur mai esplicitamente rinnegato, nell’attuale situazione di collasso organizzativo e di irrilevanza politica del ministero Beni culturali appare a dir poco velleitario.

Ma a mancare, a livello centrale, è anche l’elaborazione di un quadro univoco di regole e metodologie, di procedure e codici di comportamento e di indirizzo scientificamente mirati che, solo, potrebbe consentire una reale omogeneità di obiettivi e di risultati, mentre ugualmente relegata alla dimensione della ipotesi futuribile sembra l’organizzazione sul territorio di un sistema costante di monitoraggio e di verifica del raggiungimento di tali risultati.

Ma soprattutto ci appare pericolosa l’ultima deriva “interpretativa” che l’amministrazione, a livello centrale e periferico, sta propugnando negli ultimi tempi, ormai sempre più esplicitamente anche in documenti ufficiali. Tale orientamento tende in sostanza ad oscurare il carattere di prevalenza e preminenza della tutela del paesaggio rispetto ad ogni altro interesse pubblico, pur eretto limpidamente a valore primario dalla disciplina costituzionale, per sostituirlo con un ben più accomodante ‘contemperamento’ fra la salvaguardia di tali valori e la esigenze della libera attività imprenditoriale anche laddove quest’ultima comporta pesanti interventi di trasformazione del territorio (v. da ultimo le sopra ricordate Linee guida per l’autorizzazione alla costruzione di impianti alimentati da fonti rinnovabili).

5. Eppure, anche se la situazione appare per certi versi drammatica, la vicenda della copianificazione paesaggistica non può essere abbandonata nel novero delle battaglie perdute. Troppo importante è la sua rilevanza: la pianificazione del paesaggio è la madre di tutte le battaglie per le sorti del territorio e del patrimonio culturale italiano.

Per queste ragioni Italia Nostra intende non solo limitarsi a una denuncia degli inadempimenti, ma sollecitare innanzi tutto il Ministero perchè si faccia promotore di un decisivo rilancio delle attività di copianificazione

A partire dalla redazione delle “linee fondamentali” dell’art. 145, per le quali Italia Nostra intende formulare proposte di merito che saranno oggetto di un apposito successivo approfondimento con il contributo delle indispensabili competenze. Un primo riferimento che evidenziamo riguarda i due elementi costitutivi basilari del paesaggio italiano, sui quali incombono gravissimi rischi di manomissione:

i centri storici

lo spazio rurale e naturale.

Riguardo ai centri storici riteniamo di dover riproporre, tra l’altro, il vincolo ope legis che da tempo Italia Nostra sollecita.

Il tema dello spazio rurale che comprende, appunto, quei territori sui quali appare più urgente la tutela in quanto teatro di alterazioni e modificazioni profonde e spesso irreversibili, riporta invece alla questione ormai ineludibile dello stop al consumo del suolo.

Per quanto riguarda le procedure di copianificazione, Italia Nostra richiede che il ministero stabilisca, a livello centrale, attraverso una definizione puntuale del contenuto degli accordi di pianificazione, le regole e i criteri affinchè i piani possiedano le prescrizioni e le cogenze necessarie a tutelare l’identità dei paesaggi propri delle singole regioni (standard cartografici, georeferenziazione aggiornata dei vincoli, strumenti di monitoraggio indipendenti, ecc.) verificando la congruenza delle attività di copianificazione svolte e in svolgimento a tali parametri e ricostituendo l’Osservatorio nazionale del paesaggio in modo che divenga un presidio di indirizzo e controllo realmente operativo e culturalmente aggiornato.

A Stato e regioni Italia Nostra evidenzia poi come, per interpretare compiutamente lo spirito del Codice, l’attività di pianificazione deve tendere a una espansione piuttosto che a una contrazione dei beni paesaggistici: anche laddove i valori originari siano stati alterati o compromessi deve essere privilegiata la riqualificazione. Conformando comunque gli obiettivi a quella preminenza dei valori di tutela del paesaggio stabiliti dalla nostra Costituzione.

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg