Italia Nostra ha presentato ieri un interessante rapporto curato da Vezio De Lucia e Maria Pia Guermandi, dal titolo "Primo rapporto sulla pianificazione paesaggistica" che dà conto della sostanziale inadempienza di tutti gli organi dello Stato in materia.
Il quadro è desolante: le esperienze migliori sono quella sarda, che la giunta di centro destra sta smantellando; i 15 piani paesistici, ormai di 15 anni fa, redatti in Campania e approvati nel 1996 dall'allora Ministro Paolucci scavalcando la regione.
Le regioni del tradizionale buon governo urbanistico: Toscana, Emilia Romagna, Umbria, sembrano regredire in una visione meramente urbanistico - edilizia della pianificazione. La Toscana in qualche modo ha perseverato (come non ricordare la vicenda della delibera 296 a seguito del Decreto Galassopo legge 412 del 1985); le altre rischiano concretamente di tornare indietro: l' Emilia Romagna abbandonando il piano territoriale redatto con Felicia Bottino assessore, l'Umbria rinunciando al "cuore verde d'Italia".
Il Lazio ha una buona proposta di piano. Ma il cambio di maggioranza di governo sembra preludere al peggio, magari sfruttando le 18000 osservazioni presentate.
Bolzano è ancorata al presupposto che l'applicazione della tutela naturale e paesaggistica abbia la precedenza di fronte agli utilizzatori del territorio e questo fin'ora ha consentito buoni risultati che pero appaiono anche fortemente radicati in una cultura di tradizionale attaccamento alla terra, all'agricoltura.
Il Ministero non ha dettato le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio con finalità di indirizzo della pianificazione, non c'è ufficio ministeriale che deve occuparsene, non c'è copianificazione con le regioni come previsto dal codice dei beni culturali, d'altra parte le soprintendenze sono state stremate.
Sorge il dubbio se esistano le regioni, o meglio se queste siano state ridotte alla funzione di produzione di indirizzi senza sostanziale cogenza e funzionalità, per responsabilità politica, ma non solo.
Le province sono state ridotte a ruoli marginali, tanto che si ha l'impressione che i piani territoriali di coordinamento siano al meglio strumenti di valenza ricognitoria senza capacità alcuna di influire sulle sorti del territorio quando la pianificazione di area vasta appare irrinunciabile.
I comuni comunque fanno, però nei casi migliori le amministrazioni formano il consenso anche sull'urbanistica e l'edilizia, seppure contemperando vari interessi, nei peggiore scambiano i mattoni con voti e potere.
Non c'è dubbio: "Paesaggio: la tutela negata", come sintetizzano Vezio de Lucia e Maria Pia Guermandi. Ciò detto e dato il merito ad Italia Nostra di aver mostrato una situazione che potremmo definire disastrosa, bisogna cercare di ragionare per cercare di porre rimedio.
E' indubbio che si debbano superare errate e negative applicazioni del titolo V della Costituzione in merito alla concezione della sussidiarietà, del pluralismo istituzionale paritario, che per esempio hanno trovato esasperata e negativa applicazione in Toscana.
Altrettanto sembra evidente che si debba richiedere la formazione di una rinnovata classe dirigente ministeriale in sede centrale ed in sede decentrata dove la tutela è ridotta a limitare il danno imponendo soluzioni edilizio - architettoniche che scimmiottano sempre peggio l'edilizia storica, ma pur sempre nuove costruzioni propongono; una classe dirigente capace di elaborare piani paesaggistici ed urbanistici (nel senso che introiettano il piano paesaggistico come presupposto, invariante strutturale del territorio) unitamente alle regioni.
Ma non possiamo neanche tacere delle evidenti lacune delle scuole di architettura ed urbanistica (quest'ultime sempre meno e sempre meno affollate, mentre imperano le archistar); la grave latitanza di istituti culturali, come l'INU, che della tutela del paesaggio e del territorio, della difesa ed affermazione della pianificazione quale unico strumento di governo del territorio hanno fatto, almeno fino alle soglie degli anni 90 del secolo scorso, il connotato apprezzato a tutti i livelli, anche nello scontro talvolta radicale tra vedute diverse, uno strumento di motivazione di nuove leve tecniche e professionali.
Insomma, se non vogliamo assumere il rapporto di Italia Nostra come occasione di flagellazione, ma quale impulso positivo per una nuova stagione, dobbiamo cercare di dare un contributo ad una svolta con la speranza che qualche forza politica raccolga l'esito del rapporto e le esigenze che da esso scaturiscono, assumendole come fondative del proprio programma per rifondare anche l'organizzazione legislativa, per redistribuire le competenze, per superare assurdi convincimenti circa l'equipollenza assoluta in termini di competenze e poteri tra il piccolo comune di 300 anime e una città di 300.000 abitanti; con l'auspicio che si torni a discutere, condividere, fare quanto è possibile; non già a comunicare decisioni assunte nella logica del fare ad ogni costo.
Nella tutela del paesaggio non c'è niente di rivoluzionario. C'è la condizione per il successo di ogni intrapresa umana, perché solo la qualità del paesaggio (inteso in senso olistico), può garantire la vivibilità, l'appetibilità di fruizione del territorio, esagerando anche i mattoni che si vanno mettendo insieme, magari e soprattutto, ristrutturando l'esistente. Lo si vuole capire?