Sono stati pubblicati sulla stampa quotidiana (Gazzettino, 7 settembre; Corriere della Sera, 9 settembre) stralci della sentenza 2645/08 con la quale il Tar del Veneto, accogliendo i ricorsi di alcuni proprietari di terreni, ha reso fabbricabili aree che il prg di Cortina d’Ampezzo, già adottato dal comune e approvato dalla regione, aveva dichiarato non edificabili.
Ampio risalto è stato dato alle reazioni degli amministratori locali che, oltre a contestare la competenza di un tribunale amministrativo ad entrare nel merito delle scelte urbanistiche, hanno espresso preoccupazioni per l’impatto ambientale dei nuovi insediamenti e, soprattutto, per il rischio che la speculazione immobiliare favorisca l’espulsione di abitanti non in grado di accedere a questo tipo di mercato.
Più che per gli aspetti giuridici, la vicenda è interessante per le molte implicazioni di ordine specificamente disciplinare che meriterebbero di essere analizzate con attenzione. Dice la sentenza:
“[…] se si considera che la destinazione di aree alla edilizia popolare viene ad inserirsi in una località che è pervenuta al più alto livello reddituale ed economico, potrà essere chiaro quanto sia del tutto inappropriato prevedere nel contesto cosiddetto turistico della zona un insediamento a carattere popolare. E per scorgere tale incongruenza basterebbe pensare ad una politica della casa in località quali ad esempio Capri o Portofino, ciò che apparirebbe parimente non credibile, come di fatto è Cortina d’Ampezzo”.
Innanzitutto, se va riconosciuto al Tar la mancanza di ipocrisia nel fare esplicito riferimento ai criteri di zonizzazione sociale che molte amministrazioni di fatto perseguono, è grave che tali criteri diventino giurisprudenza.
Non è, infatti, una novità prendere atto che dal momento che il valore del suolo non è uniforme, le aree di maggior pregio vengono destinate a chi dispone di più denaro e/o potere, ma dire che in alcune località l’edilizia popolare è inappropriata, perché la presenza dei suoi abitanti deprezza il territorio, significa legittimare l’uso dell’urbanistica come strumento di discriminazione sociale. In questo senso, la sentenza allo stesso tempo recepisce quello che è il comune sentire ed è un preoccupante segnale dello sdoganamentodell’urbanistica razzista.
Un secondo spunto di riflessione, più che dal testo della sentenza, è offerto dalla peculiarità del conflitto che contrappone residenti e non residenti, ancorché tutti proprietari di terreni. Ne dovrebbero trarre un avvertimento coloro che, proclamando lo slogan padroni a casa nostra,adottano provvedimenti per escludere dal proprio territorio individui e gruppi di popolazione ritenuti inappropriati perché poveri. Quel che accade a Cortina dimostra che se il diritto a insediarsi in una determinata zona dipende dal denaro, si può anche diventare inappropriati alla propria terra. Secondo questa logica, poco sorprende che alcuni cittadini della regina delle Dolomiti, meno ricchi dei nuovi arrivati, a questi debbano soccombere.
Postilla
abbiamo ricevuto la sentenza del TAR, che riportiamo in allegato qui sotto. Invitiamo a leggere gli ultimi capoversi del 2° paragrafo delle considerazioni in DIRITTO. Incredibili. Siamo curiosi di sapere chi sono stati i quattro autorevoli consulenti tecnici
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