Ciò che sta accadendo nella Provincia di Ancona non è che l’ultimo atto di uno stato di agonia a cui è stata ridotta la pianificazione del territorio nelle Marche. Legge dopo legge, interpretazione dopo interpretazione, abbiamo assistito in questi anni alla progressiva riduzione dell’incidenza e della “tenuta” delle determinazioni di Piano e dei vincoli posti a tutela del paesaggio.
Un duro colpo è stato sferrato nel 2000 con lo stesso Piano Territoriale di Coordinamento provinciale, figlio di una insistita discussione sulla necessità di garantire maggiore “flessibilità” allo strumento di pianificazione. L’articolazione tra norme, direttive ed indirizzi, in base alla quale è stato costruito il Piano ha portato ad un drastico spostamento delle già magre scelte di progetto verso la dimensione del “suggerimento” aprendo alla pressoché totale possibilità dell’Amministrazione locale di assumere decisioni diverse e perfino avverse a quanto suggerito dal PTC.
Fu la volta poi della modifica della legge urbanistica regionale, avvenuta con la L.R. n.19 del 2001, in base alla quale la Provincia, in sede di istruttoria dei PRG comunali, non interviene più nel merito della qualità del progetto ma “esprime un parere sulla conformità del PRG con la normativa vigente e con le previsioni dei piani territoriali e dei programmi di carattere sovracomunale e, in particolare, con le previsioni e gli indirizzi del PPAR, del PIT e del PTC, ove vigenti”.
Verificare la conformità di un PRG rispetto ad un PTC costruito essenzialmente da direttive ed indirizzi, non aventi quindi cogenza normativa, significa poter potenzialmente approvare di tutto, salvo il poter dare maggiore o minore peso, in modo discrezionale, al contenuto della direttiva o indirizzo per contrastare scelte non gradite. Il PTC mantiene quindi la funzione di filtro politico rispetto alle proposte avanzate dai PRG comunali, salvo scaricare sugli organi tecnici la responsabilità dell’azione di controllo.
Su questa situazione di fondo si innesta poi l’uso spregiudicato dell’intesa interistituzionale e della conferenza dei servizi come momento decisorio e perfino progettuale sostitutivo rispetto sia alla competenza tecnico-disciplinare del progetto territoriale che a quella amministrativa, propria degli organi rappresentativi del popolo, come i Consigli comunali e provinciali.
Con la legge obiettivo e l’intesa Stato-Regioni nelle Marche sono state fatte scelte infrastrutturali in totale autonomia e contrasto con gli stessi piani regionali (PIT e Piano dei trasporti), al di fuori di un qualsivoglia dibattito nei consigli comunali, senza alcuna discussione democratica che abbia visto coinvolti i cittadini residenti nelle aree interessate dalle scelte infrastrutturali.
Il caso della “Quadrilatero Umbria-Marche” è soltanto la più nota di una serie di operazioni decise completamente all’interno delle stanze istituzionali ma che non per questo possono dirsi immuni da evidenti interessi di natura privata. La “Quadrilatero” è un vero e proprio atto di pianificazione territoriale, non previsto da alcun regolamento che disciplina l’attività di pianificazione, attraverso il quale vengono espropriati terreni in funzione di operazioni immobiliari la cui necessità o strategicità non è motivata da alcuna analisi di tipo urbanistico, ma soltanto dalla possibilità di ricavare risorse economiche per realizzare infrastrutture anch’esse stabilite con l’intesa Stato-Regioni, senza alcuno spazio dato allo studio di alternative possibili.
A Falconara è accaduto che qualcuno ha messo in discussione la scelta di aderire al progetto Quadrilatero. Invece dell’avvio di un dibattito nei contenuti si è assistito ad una snervante pressione da parte della Regione, operata attraverso le strutture di partito, affinché Falconara non scardinasse l’intera costruzione con una eventuale fuoriuscita dall’accordo. Alla fine si è arrivati alla spaccatura in seno alla maggioranza che governava la città ed alle dimissioni del Sindaco pur di non mettere in discussione l’operazione decisa da Stato e Regione.
Quanto accaduto a Falconara ha dato la più chiara dimostrazione, per chi ne avesse avuto bisogno, di come l’Amministrazione locale sia chiamata a sottostare passivamente agli accordi interistituzionali senza alcuna possibilità di veto o di emendamento rispetto ad una decisione presa dai vertici della politica regionale e nazionale.
D’altro canto però alle Amministrazioni locali viene assicurata la pressoché totale potestà di intervento nel proprio territorio anche in sfregio ai vincoli paesistici e senza che le procedure di valutazione ambientale possano in alcun modo recare pregiudizio a scelte già prese, limitandosi a definire semmai le modalità di mitigazione tali da renderle ambientalmente compatibili.
Questa sorta di spartizione tra Comuni e Regione, nella liceità di disporre a proprio piacimento del territorio sotto il controllo delle gerarchie politiche, è già in atto prima ancora di essere ratificata nella nuova proposta di legge urbanistica regionale.
Il caso della Variante urbanistica di Falconara, già nota come la Variante-scandalo di Montedomini, è un caso esemplare. Il Comune di Falconara, dove è presente una Raffineria e sono individuati diversi siti inquinati di interesse nazionale, è posto al centro di un’area che nel 2000 è stata dichiarata ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale e che, come tale, è soggetta ad un Piano di Risanamento, approvato nel 2004, tendente a ridurre le pressioni sull’ambiente.
Per le ingenti problematiche ambientali e sanitarie, evidenziate da un recente studio epidemiologico, la popolazione di Falconara negli ultimi anni è in costante calo, passando dai 30.000 abitanti negli anni ’90 agli attuali 27.000.
Il PRG di Falconara è stato approvato nel 2003 e fino ad oggi è stato realizzato non più del 25% della sua capacità edificatoria. Nel settembre 2007, come accennato, l’amministrazione di centro-sinistra cade sulla questione della Quadrilatero. Subentra il Commissario prefettizio che oltre a ratificare l’adesione alla Quadrilatero, assume un’iniziativa quanto meno estemporanea rispetto al suo mandato che è quello di traghettare il governo cittadino alle successive elezioni di primavera: nella volontà di chiudere il bilancio preventivo, il Commissario prefettizio adotta una variante urbanistica ad una settimana dalle elezioni comunali dell’aprile del 2008. La Variante prevede la “traslazione” della edificabilità prevista in un’area soggetta a sopravvenuto vincolo del Piano di Assetto Idrogeologico, in quanto esondabile, in un’altra area, a destinazione agricola nel vigente PRG, usufruendo di quanto previsto dalla legge 308/2004 meglio nota come Legge Matteoli.
Questa traslazione però comporta un incremento del 100% della SUL prevista dal PRG, in modo da “soddisfare” anche la proprietà ospitante. Gli abitanti teorici insediabili passano quindi da 400 a 900, tenuto conto che la variante coinvolge anche altre realtà minori in un ridisegno di una vasta area di 28 ettari, a fronte di un utilizzo di circa 4 ettari previsti dal piano vigente. Occorre poi precisare che questi 28 ettari insistono su un’area ove il PRG, adeguato al Piano Paesistico Ambientale Regionale, pone un vincolo di tutela integrale (inedificabilità) del paesaggio storico e rurale. L’area interessata infatti si estende nel basso pendio di una collina dominata dalla cinquecentesca villa di Montedomini ed a fianco di un interessantissimo complesso edilizio storico che comprende una chiesa con affreschi del ‘400. Grazie a questa “operazione” i privati garantiscono, attraverso un processo di monetizzazione preordinato, quasi 3 milioni di euro con i quali si può chiudere il bilancio preventivo 2008.
Il progetto di variante adottato viene dichiarato “non soggetto a procedura di VAS” e la popolazione di Castelferretti (frazione storica di Falconara) apprende soltanto dai giornali ed a cose fatte della scelta operata dal Commissario. Nel Giugno 2008 la nuova Amministrazione comunale di centro-destra controdeduce le osservazioni ed adotta definitivamente la Variante con una lieve diminuzione delle SUL edificabili. Tra le osservazioni, una in particolare mette in evidenza la illegittimità dell’atto, in quanto la Variante è per legge soggetta a VAS ed a VIA. Il Comune respinge l’osservazione ribadendo la non assoggettabilità.
Nel corso dell’istruttoria, la Provincia di Ancona si accorge che la Variante è in effetti soggetta a VAS ed a VIA, ma invece di restituire il Piano per la rielaborazione, avvia “a posteriori” la procedura di VAS senza alcuna forma di evidenza pubblica e posticipa la VIA alla fase attuativa della lottizzazione.
Con due diverse interrogazioni, alcuni rappresentanti politici chiedono chiarimenti in merito alla legittimità di tale procedura. La Provincia ribadisce che la procedura è conforme alla legge, mentre la Regione afferma il contrario ed invita la Provincia a ripensarci pur sottolineando che non è compito della Regione dirimere la questione, ma dell’autorità giudiziaria!
In questa situazione kafkiana, la Provincia approva l’atto con prescrizioni, imponendo al Comune una “significativa riduzione” dell’edificabilità che deve “tendere possibilmente” alle quantità stabilite dal vigente PRG. Tuttavia lascia alla discrezionalità del Comune definire la quantità della riduzione e se tale riduzione debba essere fatta in sede di approvazione della Variante o in sede di attuazione della lottizzazione! Il Comune respinge le prescrizioni chiedendo di poter posticipare le valutazioni sulla necessità di una riduzione alla fase attuativa in sede di procedura di VIA. Ora siamo tutti in trepida attesa del responso della Provincia, col sospetto che il copione di questa assurda commedia sia stato già scritto, compreso l’atto liberatorio finale.
Assistiamo quindi già a procedure che vengono stabilite a tavolino attraverso pseudo-intese interistituzionali. In altri termini, una volta che i soggetti politici che governano le istituzioni raggiungono un accordo, il problema è risolto, al di fuori ed in assenza di un qualsiasi dibattito democratico ed una qualsiasi verifica qualitativa di tipo disciplinare. Le ragioni della buona pianificazione del territorio, le ragioni dell’architettura, semplicemente non servono più. Contano soltanto le ragioni della politica [di ciò dia cui la politica è stata oggi ridotta – ndr].
Questa non è, come può sembrare, una deduzione personale volutamente esasperata, rispetto alla situazione in essere. Questo è quanto stabilito nella stessa proposta di modifica della legge urbanistica regionale in merito alla possibilità di modificare ogni atto di pianificazione attraverso semplici accordi interistituzionali: “in sede di adozione dei piani gli enti interessati possono proporre espressamente modificazioni agli strumenti di pianificazione sovraordinati o sottordinati (PPAR, PIT, PTC, PRG comunali). L’atto di approvazione del piano, quando accoglie le proposte di modifica, comporta la variazione del piano sovraordinato o sottordinato, purché sulle modificazioni sia stato acquisito l’assenso dell’ente o dell’organismo competente per tale variazione”
Art. 12 (Conferenze di pianificazione).
1. Le conferenze di pianificazione sono lo strumento attraverso cui si realizza la collaborazione tra enti pubblici territoriali e altre amministrazioni preposte alla cura degli interessi pubblici coinvolti nel governo del territorio al fine di costruire un quadro conoscitivo condiviso del territorio e dei limiti e condizioni per il suo sviluppo sostenibile, nonché per esprimere valutazioni in merito agli obiettivi e alle scelte di pianificazione prospettati dall’amministrazione procedente. (…)
3. Le conferenze di tipo deliberativo possono essere convocate durante il processo di formazione dei Piani ed hanno lo scopo di concordare una decisione tra più amministrazioni pubbliche anche attraverso la sottoscrizione di un accordo di pianificazione. Alle conferenze di tipo deliberativo, oltre alle amministrazioni coinvolte o interessate dalle scelte di pianificazione, intervengono tutte le amministrazioni competenti al rilascio dei pareri, delle intese e degli atti di assenso, comunque denominati, necessari ai fini dell’operatività del piano.
Art. 13 (Accordi territoriali)
1. I Comuni, la Provincia e la Regione possono promuovere accordi territoriali, ivi compresi gli accordi di programma di cui all’articolo 34 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), per concordare obiettivi e scelte strategiche di comune interesse. I Comuni, anche d’intesa con la Provincia e con la Comunità montana, possono altresì stipulare accordi territoriali per lo svolgimento in collaborazione di tutte o parte delle funzioni di pianificazione urbanistica, nonché per l’elaborazione in forma associata degli strumenti urbanistici e per la costituzione di un apposito ufficio di piano o di altre strutture per la sua redazione e gestione.
2. Gli accordi territoriali possono prevedere forme di compensazione territoriale, anche attraverso la costituzione di un fondo finanziato dagli enti locali con risorse proprie o con quote dei proventi degli oneri di urbanizzazione e delle entrate fiscali conseguenti alla realizzazione degli interventi concordati.
3. Agli accordi territoriali si applica, per quanto non previsto dalla presente legge, la disciplina degli accordi tra amministrazioni di cui all’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241
Quindi, di fronte alla possibilità di modificare Piani attraverso intese interistituzionali è evidente il venir meno della tenuta dei piani sovraordinati rispetto a quelli sottordinati, ma anche il venir meno della tenuta dei contenuti fondanti posti dal piano strutturale, che anziché configurarsi come un importante “statuto dei luoghi” rischia di ridursi ad una paginetta di banali intenzioni politiche lasciando spazio alla enorme discrezionalità gestionale del piano operativo nelle mani dei Sindaci.
Per chi è depositario di un “sapere” urbanistico, che deriva dalla storia dell’architettura delle città, dalle riflessioni circa i modi dell’abitare, dagli studi sull’organizzazione funzionale dei territori, dal pensiero che indaga i molteplici aspetti del concetto di paesaggio, resta solo lo sconcerto. Lo sconcerto di vedere il proprio sapere violentato pubblicamente per strada. Lo sconcerto di vedere i propri “colleghi” pronti a negare che ci sia mai stato un modo di intendere il territorio che sia altro dalla logica della sparizione e dell’occupazione. Lo sconcerto di trovarsi solo, come mi sto trovando, a combattere contro la negazione della bellezza dei luoghi, contro la negazione del primato del diritto pubblico su quello privato, contro la negazione della legalità.
Certo sono a fianco di cittadini volenterosi, di comitati sorti nella passione di difendere la propria terra, ma resta il dolore profondo di vedere tutti coloro che hanno condiviso un insegnamento, gettarlo via o tenerlo nascosto come qualcosa di cui ci si debba vergognare. E accade allo stesso modo per i valori dell’onestà, dell’etica, del rispetto, della sensibilità.
Le Marche sono note nel mondo per la straordinaria armonia che emana dal suo paesaggio rurale. Questo paesaggio rischia oggi seriamente di morire nell’indifferenza, salvo imbalsamarne alcune porzioni da offrire a turisti dilettanti in fotografia. Non so dire se si tratti di eutanasia o di assassinio volontario, ma poco mi importa. Ciò che importa è la gravità della perdita. Lo so che è antipatico e disdicevole, ma non ho altra possibilità (e quindi nemmeno vergogna) che chiedere aiuto fuori dalla mia regione.