Il nuovo Piano territoriale regionale di coordinamento è il ground zero della pianificazione urbanistica nel Veneto. Per la precisione non ha alcuna caratteristica degli strumenti di piano, è un manifesto ideologico del laisser faire, la proclamazione della filosofia liberista senza più remore e timidezze: “Pochi, pochissimi vincoli nuovi, il minimo indispensabile”, recita lapidaria la prima pagina del Prologo. Il governatore Galan lo aveva detto presentando il Ptrc agli operatori immobiliari della regione, forte di un consenso politico che evidentemente sente incontrastato.
In coerenza e continuità con la nuova legge urbanistica del 2004 si completa il rovesciamento di qualche secolo di cultura del territorio: d’ora in poi le trasformazioni urbane non saranno più autorizzate e concesse dai poteri pubblici secondo disegni strategici autonomi mirati a perseguire un interesse generale, ma al contrario saranno i proponenti e i promotori degli interventi, proprietari dei terreni e immobiliaristi, a costituire de facto e di diritto gli assetti futuri del Veneto.
I vincoli ambientali che ancora resistevano del Ptrc del 1992 vengono azzerati. Il Codice dei beni culturali e ambientali non viene attuato. Nelle premesse si afferma che serve un “ulteriore lavoro da svolgere per costruire un piano paesaggistico unico, statale e regionale” da “integrare” (quando?) nel Ptrc. Così nemmeno l’Atlante del paesaggio previsto dalla Convenzione europea già recepita nella legislazione italiana nel 2006 viene adottato, ma semplicemente inserito in un articolo appiccicato alla fine senza alcuna conseguenza pratica. “I perimetri degli ambiti di paesaggio individuati hanno valore indicativo e non costituiscono vincolo”. Così come: “gli obiettivi di qualità paesaggistica hanno valore di indirizzo, non prescrittivo” (art. 71).
Non viene prevista nessuna nuova area protetta. Anzi i Siti e le Zone di interesse comunitario delle Direttive Natura 2000 e Habitat sono messi sotto attacco con proposte di revisione e con il grimaldello delle “compensazioni”. Rimane l’indicazione data a Province e Comuni di individuare “Corridoi ecologici” (art. 25), ma con cautela, poiché gli enti locali dovranno “ispirarsi al principio dell’equilibrio tra finalità ambientale e lo sviluppo economico ed evitando, per quanto possibile, la compromissione del diritto di iniziativa privata”.
Chi vuole costruire costruisca. Sul giardino di casa propria utilizzando il cosiddetto Piano casa (in approvazione la settimana prossima) e poi nelle aree definite dal Ptrc “periurbane” e “agro-politane” - un nuovo nome per le vecchie aree di espansione - dove i comuni dovranno: “garantire lo sviluppo urbanistico attraverso l’esercizio non conflittuale delle attività agricole”(Art. 9). Chissà come si fa a costruire sui campi senza comprometterne i raccolti.
Straordinaria la norma sulle aree “afferenti ai caselli autostradali, agli accessi alla rete primaria ed al Servizio ferroviario metropolitano” (praticamente mezzo Veneto) dove “per un raggio di 2 Km dalla barriera stradale” la Regione espropria le competenze ai Comuni ed adotta per proprio conto “appositi progetti strategici” (art 38). Oltre che in queste aree, la Regione ha deciso di intervenire direttamente con una serie di progetti elencati in un pacchetto aperto ad ulteriori sviluppi: diportistica, aeroporti, hub della logistica, porto di Venezia, senza dimenticare le ville di Palladio, i percorsi della grande Guerra, la via Ostiglia, una città della musica a Verona e un “urban labor” a Rovigo. Per cominciare. La visione del legislatore è “utile per la sua prospettiva generale e di grande scala” - recita il Prologo del Ptrc - ma evidentemente rimangono da soddisfare molti appetiti ben localizzati.
Contrariamente a quanto avveniva nel passato, il sacco del territorio non abbisogna di alcuna giustificazione. Viene consentito, anzi auspicato in base all’imperativo della crescita economica, e basta. Il Ptrc, infatti, non contiene alcuna previsione demografica, alcuna stima sulla domanda effettiva di nuove costruzioni, alcuna valutazione sullo stato di attuazione dei piani urbanistici vigenti, alcun dimensionamento delle offerte, alcuna valutazione delle tendenze del mercato immobiliare. Nulla di quantificato, misurabile e verificabile. Nessun obiettivo di qualità ambientale viene indicato a fronte di una regione che ha una impronta ecologica esorbitante e tassi di inquinamento dell’aria tra i peggiori d’Europa. Ci si limita a dire che gli ambiti naturali devono essere “di sufficiente estensione” e che “rumori e PM10” (quando oramai le direttive europee impongono di misurare le polveri sottili di diametro di 2,5 micron) devono essere sottoposti a una generica “mitigazione”.
Se ci sforziamo di immaginare quale Veneto può scaturire da questo piano vedremmo un territorio ancora più informe e casuale, privo di intenzionalità e di identità.
Eppure gli estensori del nuovo Ptrc hanno sentito il bisogno di pubblicare – tra gli altri - a titolo di premessa, scritti dei compianti Rigoni Stern e Eugenio Turri. Quest’ultimo scriveva, a proposito della “megalopolizzazione” della pianura padana e del modello Los Angeles che tanto sembra piacere al governatore Galan, che l’urbanizzazione in atto trasforma le città e le campagne in una “sterminata periferia senza forma e senza sentimento”, una “ampia poltiglia” di cemento e asfalto, una “metastasi urbana”. (E. Turri, La megalopoli padana, Marsilio 2000). Le autocritiche che in passato si sentivano fare sulla proliferazione di capannoni e villettopoli, sullo scarso rispetto del paesaggio e sull’eccessivo consumo di suolo, sullo “sprawl” urbano (espansione a macchia d’olio) e sui costi di congestione e i disservizi che tutto ciò provoca, sono spariti sotto la pressione della crisi del settore delle costruzioni (che tanta parte di Pil ha dato al Veneto) e dell’imperativo della “competitività” intesa come libertà di scelte ubicative per chiunque abbia sufficiente denaro da investire.
Le normative del Ptrc contraddicono e lasciano senza risposte anche i poderosi studi preliminari che l’accompagnano. La filosofia che esce vincente è invece quella ben illustrata dal nuovo ideologo dello sviluppo, Paolo Feltrin, che negli scritti introduttivi indica il futuro del Veneto nella “densificazione” degli insediamenti attorno ai caselli autostradali e nella loro “verticalizzazione”. Poiché, secondo le sue stime (mezzo milione di abitanti in più), “una nuova ondata di sviluppo può affacciarsi all’orizzonte. Non è dunque possibile pensare a blocchi o limiti generalizzati delle aree produttive, direzionali, terziarie, commerciali, residenziali”. Quindi: “L’opzione allo sviluppo verticale avrebbe un alto valore simbolico esprimendo la volontà di sganciarsi dalla nostalgia del passato per dare una forma scelta alla contemporaneità”. Ed è forse per questo – nel mentre si festeggiano anniversari della nascita del Futurismo – il nostro politologo scrive: “La valenza paesaggistica del piano non deve quindi tradursi nel disperato tentativo di salvare i segni di un’identità passata. Al contrario, l’obiettivo principale dovrebbe essere quello di dare indicazioni e idee che aiutino a fare i conti con la modernità”.
E noi che pensavamo che la principale sfida fosse quella della definitiva crisi di un modello di sviluppo che si è rivelato insostenibile, ambientalmente e socialmente.