Altraeconomia, 1 luglio 2016 (c.m.c)
Un uomo dai tratti duri, completamente glabro a eccezione per i baffetti hitleriani, Julius Streicher apparve quasi irriconoscibile -emaciato, spettinato- sul banco degli imputati del processo di Norimberga, che esattamente 70 anni fa si celebrava per punire i “principali criminali di guerra” del Terzo Reich.
Fu condannato a morte per “crimini contro l’umanità” benché non fosse un militare (ma fu un dirigente del regime nazista). Sin dal 1923 - dieci anni prima dunque dell’ascesa di Hitler - Streicher era infatti soprattutto l’editore di una pubblicazione violentemente antisemita, Der Stürmer (“L’attaccante”), settimanale illustrato che raggiunse la tiratura di quasi 500.000 copie. Finì a Norimberga con l’accusa di essere uno dei principali istigatori dell’odio razziale nei confronti della popolazione ebraica e non solo. Il Tribunale internazionale (una realtà fino ad allora inedita nella storia) riconobbe per la prima volta in maniera lampante la responsabilità dell’utilizzo di talune parole -della parola in generale- in caso di crimini efferati.
Più recentemente, nel 1994, durante i cento giorni delle violenze in Rwanda dove morirono un milione di tutsi e hutu moderati, l’emittente radiofonica “Radio Mille Colline” -nota anche come “radio machete”- fu uno dei più «sinistri esempi di come i media possono favorire lo sterminio di massa» (Fulvio Beltrami).
Mandiamo in stampa questo numero della rivista pochi giorno dopo l’assassinio della deputata laburista Jo Cox -uccisa per le sue posizioni di integrazione e accoglienza- e della strage omofoba di Orlando. Nell’uno e nell’altro caso sono emerse evidenti le responsabilità dei media, dei social network e di tutte quelle persone che, attraverso di essi, hanno alimentato odio e acrimonia: la verità è che a furia di inneggiare ai fucili, qualcuno finisce per imbracciarli davvero (soprattutto se si comprano anche al supermercato).
A partire dal 1936, la casa editrice Stürmer-Verlag di proprietà di Streicher intraprese anche la pubblicazione di libri per bambini. Illustrati, contenevano filastrocche inneggianti la supremazia della razza ariana e i pericoli di “contaminazione”.
È nelle scuole che inizia il lavoro di responsabilizzazione della parola -insieme, o a volte in contrasto, con le famiglie-. Ecco perché forse non diamo mai abbastanza riconoscimento al ruolo indispensabile di maestri e insegnanti, categoria perlopiù bistrattata: il ruolo di chi contribuisce alla formazione della coscienza critica degli individui.
In un Paese di furbi «che cercano sempre di approfittare degli altri» come l’Italia, scriveva Bruno Munari sulla rivista Azione non violenta nel 1998, “se non cambiamo la mentalità dei bambini, se non insegniamo loro che essere furbi è una scelta arida, non riusciremo ad aprire una via verso la civiltà”. Le scuole sono chiuse e riapriranno a settembre.
I bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze che vi studiano oggi sono le donne e gli uomini che presto affronteranno le grandi sfide della nostra epoca: il cambiamento climatico, i conflitti, le migrazioni, la disuguaglianza. Emergenze alle quali noi “adulti” ci siamo addirittura assuefatti, e che non fanno quasi più notizia (ma non vale per tutti). Non cambiare mai, non rassegnarci, non abituarci all’orrore.
«Se succedesse a me, l’anestesia del cuore, preferirei morire. Tutta la mia energia è nel fare, nell’agire, perché ho dovere e responsabilità, ma una dose è per difendere la mia capacità di piangere, di urlare e quindi di ridere, se arrivano vivi» ha scritto il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini). Le affronteranno meglio di quanto forse abbiamo saputo fare noi.